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Ambiente, 10 poesie dedicate alla Terra e alla sua fragilità

In occasione della Giornata della Terra, abbiamo raccolto per voi dieci poesie dedicate al pianeta Terra e alla sua fragilità

In occasione della Giornata Mondiale della Terra, abbiamo raccolto per voi cinque poesie dedicate alla Terra e alla sua fragilità. Dal “Cantico delle creature” di San Francesco d’Assisi ai versi ecologici di Giorgio Caproni, ecco alcune delle poesie più belle e significative che siano state scritte per celebrare la bellezza del nostro Pianeta. 

La Giornata della Terra

La Giornata della Terra rappresenta la manifestazione più sostenibile dell’anno per la salvaguardia dell’ambiente e del Pianeta. Circa un milione di specie viventi (su un totale stimato di circa 8,7 milioni) sono minacciate dall’estinzione e la biodiversità di diversi ecosistemi sono in pericolo a causa delle emissioni di CO2 sempre più alte.

L’attuale ritmo di estinzione delle specie fa ritenere gli scienziati che siamo di fronte alla sesta grande estinzione massa. Molti ecosistemi sono stati distrutti, degradati, frammentati e solo una piccola percentuale è rimasta intatta.

Le poesie dedicate all’ambiente e alla tutela della Terra

Sono diversi i poeti e le poetesse che nel corso dei secoli hanno dedicato i loro versi alla bellezza della natura, ma anche alla fragilità degli ecosistemi, alla prepotenza dell’uomo che ne ha intaccato la ricchezza. Noi abbiamo scelto cinque poesie dedicate al Pianeta, che, nonostante il mutare dei tempi, risuonano ancora incredibilmente attuali. 

L’incanto nei boschi senza sentiero di Lord Byron

Vi è un incanto nei boschi senza sentiero.
Vi è un’estasi sulla spiaggia solitaria.
Vi è un asilo dove nessun importuno penetra
in riva alle acque del mare profondo,
e vi è un’armonia nel frangersi delle onde.
Non amo meno gli uomini, ma più la natura
e in questi miei colloqui con lei io mi libero
da tutto quello che sono e da quello che ero prima,
per confondermi con l’ universo
e sento ciò che non so esprimere
e che pure non so del tutto nascondere.

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Versicoli quasi ecologici di Giorgio Caproni

Non uccidete il mare,
la libellula, il vento.
Non soffocate il lamento
(il canto!) del lamantino.
Il galagone, il pino:
anche di questo è fatto
l’uomo. E chi per profitto vile
fulmina un pesce, un fiume,
non fatelo cavaliere
del lavoro. L’amore
finisce dove finisce l’erba
e l’acqua muore. Dove
sparendo la foresta
e l’aria verde, chi resta
sospira nel sempre più vasto
paese guasto: Come
potrebbe tornare a essere bella,
scomparso l’uomo, la terra.

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Nella macchia di Giovanni Pascoli

Errai nell’oblio della valle
tra ciuffi di stipe fiorite,
tra querce rigonfie di galle;
errai nella macchia più sola,
per dove tra foglie marcite
spuntava l’azzurra viola;
errai per i botri solinghi:
la cincia vedeva dai pini:
sbuffava i suoi piccoli ringhi
argentini.

lo siedo invisibile e solo
tra monti e foreste: la sera
non freme d’un grido, d’un volo.
lo siedo invisibile e fosco;
ma un cantico di capinera
si leva dal tacito bosco.

E il cantico all’ombre segrete
per dove invisibile io siedo,
con voce di flauto ripete,
Io ti vedo?

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Il vento di Emily Dickinson

Come la luce,
Delizia senza forma
E come l’ape,
Melodia senza tempo

Come i boschi,
Segreto come brezza
Che, senza frasi, agita
Gli alberi più superbi

Come il mattino,
Perfetto sul finire,
Quando orologi immortali
Suonano mezzogiorno!

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Il glicine di Pier Paolo Pasolini

… e intanto era Aprile,
e il glicine era qui, a rifiorire.
Prepotente, feroce
rinasci, e di colpo, in una notte, copri
un’intera parete appena alzata, il muro
principesco di un ocra
screpolato al nuovo sole che lo cuoce …
E basti tu, col tuo profumo, oscuro,
caduco rampicante, a farmi puro
di storia come un verme, come un monaco:
e non lo voglio, mi rivolto – arido
nella mia nuova rabbia,
a puntellare lo scrostato intonaco
del mio nuovo edificio.
Tu, che brutale ritorni,
non ringiovanito, ma addirittura rinato,
furia della natura, dolcissima,
mi stronchi, uomo già stroncato
da una serie di miserabili giorni,
ti sporgi sopra i miei riaperti abissi,
profumi vergine sul mio eclissi,
antica sensualità…

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Da “Cedi la strada agli alberi” di Franco Arminio

Abbiamo bisogno di contadini, di poeti, gente che sa fare il pane,
che ama gli alberi e riconosce il vento.
Più che l’anno della crescita,
ci vorrebbe l’anno dell’attenzione.
Attenzione a chi cade, al sole che nasce
e che muore, ai ragazzi che crescono,
attenzione anche a un semplice lampione,
a un muro scrostato.
Oggi essere rivoluzionari significa togliere
più che aggiungere, rallentare più che accelerare,
significa dare valore al silenzio, al buio, alla luce,
alla fragilità, alla dolcezza.

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Il cantico delle creature di Francesco d’Assisi

Altissimo, Onnipotente Buon Signore, tue sono le lodi, la gloria, l’onore e ogni benedizione.
A te solo, o Altissimo, si addicono e nessun uomo è degno di menzionarti.

Lodato sii, mio Signore, insieme a tutte le creature, specialmente per il signor fratello sole, il quale è la luce del giorno, e tu tramite lui ci dai la luce. E lui è bello e raggiante con grande splendore: te, o Altissimo, simboleggia.

Lodato sii o mio Signore, per sorella luna e le stelle: in cielo le hai create, chiare preziose e belle.
Lodato sii, mio Signore, per fratello vento, e per l’aria e per il cielo; per quello nuvoloso e per quello sereno, per ogni stagione tramite la quale alle creature dai vita.

Lodato sii mio Signore, per sorella acqua, la quale è molto utile e umile, preziosa e pura.
Lodato sii mio Signore, per fratello fuoco, attraverso il quale illumini la notte. Egli è bello, giocondo, robusto e forte.

Lodato sii mio Signore, per nostra sorella madre terra, la quale ci dà nutrimento e ci mantiene: produce diversi frutti variopinti, con fiori ed erba.
Lodato sii mio Signore, per quelli che perdonano in nome del tuo amore, e sopportano malattie e sofferenze.

Beati quelli che le sopporteranno serenamente, perché dall’Altissimo saranno premiati.
Lodato sii mio Signore per la nostra sorella morte corporale, dalla quale nessun essere umano può scappare, guai a quelli che moriranno mentre sono in peccato mortale.

Beati quelli che troveranno la morte mentre stanno rispettando le tue volontà. In questo caso la morte spirituale non procurerà loro alcun male.
Lodate e benedite il mio Signore, ringraziatelo e servitelo con grande umiltà.

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Madre Terra di Henry Van Dyke

Madre di tutti i poeti e cantanti di alto spessore che se ne sono andati,
Madre di tutta l’erba che tesse sulle loro tombe la gloria del campo,
Madre di tutte le molteplici forme di vita, protettiva, paziente, impassibile,
Silenziosa covatrice e nutrice di gioie e dolori poetici!
Da te, sì, sicuramente dalla fertile proprietà del tuo seno,
emetti in qualche strano modo, tu che giaci immobile, senza voce,
tutti i canti della natura, ritmici, appassionati, struggenti,
che provengono come musica dalla terra, ma non ritornano alla terra.

Polvere sono i cuori rosso sangue che battono a tempo di queste note,
Tu li hai riportati a te stesso, segretamente, irresistibilmente.
attirando le correnti creative della vita giù, giù, giù
di nuovo nel tuo seno, come il fiume si perde nella sabbia.
Ma le anime dei cantanti sono entrate nelle canzoni che le hanno rivelate.
Canzoni appassionate, canzoni immortali di gioia e dolore, amore e desiderio:
fluttuano da un cuore all’altro dei tuoi figli e riecheggiano sopra di te:
Non parlano forse al tuo cuore, le voci di coloro che ti amano?

Da tempo giacevi come una regina trasformata da un antico incantesimo
in una forma aliena, misteriosa, bella, senza parole,
non sapevi chi eri, finché il tocco del tuo Signore e Amante
Ha ridestato l’uomo-bambino a respirare del tuo segreto.
Tutti i tuoi fiori e gli uccelli e le foreste e le acque che scorrono
non sono che forme incantate per incarnare la vita dello spirito;
Tu stessa, terra-madre, in montagna, prato e oceano,
racchiudi il poema di Dio, il pensiero e l’emozione eterni.

(Traduzione Libreriamo)

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Storia Universale di Gianni Rodari

In principio la terra era tutta sbagliata,
renderla più abitabile fu una bella faticata.
Per passare i fiumi non c’erano ponti.
Non c’erano sentieri per salire sui monti.
Ti volevi sedere? Neanche l’ombra di un panchetto.
Cascavi dal sonno? Non esisteva il letto.
Per non pungersi i piedi, né scarpe, né stivali.
Se ci vedevi poco non trovavi gli occhiali.
Per fare una partita non c’erano palloni:
mancava la pentola e il fuoco per cuocere i maccheroni,
anzi a guardare bene mancava anche la pasta.
Non c’era nulla di niente. Zero via zero e basta.
C’erano solo gli uomini, con due braccia per lavorare,
e agli errori più grossi si poté rimediare.
Da correggere, però, ne restano ancora tanti,
rimboccatevi le maniche, c’è lavoro per tutti quanti!

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La primavera non c’è più di Bertolt Brecht

“Molto tempo prima.
Che ci gettassimo su petrolio, ferro e ammoniaca
C’era ogni anno
Il tempo degli alberi che verdeggiavano irresistibili e violenti.

Noi tutti ricordiamo
I giorni più lunghi
Il cielo più chiaro
L’aria mutata
Della primavera destinata a venire.

Ora leggiamo nei libri
Di questa celebrata stagione
E pure da molto tempo
Non sono stati scorti sulle nostre città
I famosi stormi di uccelli.

La gente ancora seduta sui treni è la prima
A sorprendere la primavera.
Le pianure la mostrano
Nell’antica chiarezza.
Certo negli alti spazi sembrano passare tempeste:
Esse toccano solo le nostre antenne”.

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