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Eugenio Montale, le 10 poesie più belle

Eugenio Montale è uno dei più grandi poeti del Novecento italiano, vincitore di un premio Nobel per la letteratura. Ecco alcune tra le sue poesie più belle

Il 12 ottobre 1896 nasceva a Genova Eugenio Montale

Eugenio Montale è uno dei più grandi poeti della letteratura italiana del Novecento.

Tutta la sua poetica è contrassegnata dal dubbio, dall’incapacità di cogliere il senso profondo dell’esistenza, che si intuisce appena e sfugge di continuo.

Eugenio Montale è scomparso il 12 settembre 1981.

Abbiamo scelto alcuni dei più grandi capolavori di Montale, tratti dalla raccolta Ossi di seppia del 1925.

In questa raccolta troviamo alcune delle poesie più famose di Montale.

"Ho sceso, dandoti il braccio" di Eugenio Montale, una poesia sull'amore davanti alla prova del tempo

“Ho sceso, dandoti il braccio” di Eugenio Montale, una poesia sull’amore davanti alla prova del tempo

“Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale”.
Riscopriamo la toccante lirica di Eugenio Montale, una delle più belle dichiarazioni d’amore della poesia italiana, in occasione del compleanno dell’autore ligure.

Le poesie celebri di Eugenio Montale

Non chiederci la parola che squadri da ogni lato

Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.

Ah l’uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l’ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.

"A galla" di Eugenio Montale: poesia contro il "mal di vivere"

“A galla” di Eugenio Montale: poesia contro il “mal di vivere”

Le poesie possono possono regalarci le giuste motivazioni, soprattutto nelle difficoltà. “A galla” ci dona la forza di ricominciare a vivere

Meriggiare pallido e assorto

Meriggiare pallido e assorto
presso un rovente muro d’orto,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi
schiocchi di merli, frusci di serpi.

Nelle crepe del suolo o su la veccia
spiar le file di rosse formiche
ch’ora si rompono ed ora s’intrecciano
a sommo di minuscole biche.

Osservare tra frondi il palpitare
lontano di scaglie di mare
mentre si levano tremuli scricchi
di cicale dai calvi picchi.

E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com’è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia

Mediterraneo di Montale, la poesia che esprime l'emozione di rivedere il mare

Mediterraneo di Montale, la poesia che esprime l’emozione di rivedere il mare

E’ sempre bello riscoprire il sapore dei piccoli gesti, delle piccole cose che prima davamo per scontate. In questa poesia Eugenio Montale ci racconta l’emozione di rivedere il mare

La solitudine

Se mi allontano due giorni
i piccioni che beccano
sul davanzale
entrano in agitazione
secondo i loro obblighi corporativi.

Al mio ritorno l’ordine si rifà
con supplemento di briciole
e disappunto del merlo che fa la spola
tra il venerato dirimpettaio e me.

A così poco è ridotta la mia famiglia.
E c’è chi ne ha una o due, che spreco, ahimè!

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Spesso il male di vivere ho incontrato

Spesso il male di vivere ho incontrato
era il rivo strozzato che gorgoglia
era l’incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.

Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.

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L’abbiamo rimpianto a lungo l’infilascarpe

L’abbiamo rimpianto a lungo l’infilascarpe,
il cornetto di latta arrugginito ch’era
sempre con noi. Pareva un’indecenza portare
tra i similori e gli stucchi un tale orrore.

Dev’essere al Danieli che ho scordato
di riporlo in valigia o nel sacchetto.
Hedia la cameriera lo buttò certo
nel Canalazzo. E come avrei potuto
scrivere che cercassero quel pezzaccio di latta?
C’era un prestigio (il nostro) da salvare
e Hedia, la fedele, l’aveva fatto.

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Forse un mattino

Forse un mattino andando in un’aria di vetro,
arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me, con un terrore di ubriaco.

Poi come s’uno schermo, s’accamperanno di gitto
alberi case colli per l’inganno consueto.
Ma sarà troppo tardi; ed io me n’andrò zitto
tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.

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Prima del viaggio

Prima del viaggio si scrutano gli orari,
le coincidenze, le soste, le pernottazioni
e le prenotazioni (di camere con bagno
o doccia, a un letto o due o addirittura un flat);
si consultano le guide Hachette e quelle dei musei,
si cambiano valute, si dividono
franchi da escudos, rubli da copechi;
prima del viaggio s’informa
qualche amico o parente, si controllano
valige e passaporti, si completa
il corredo, si acquista un supplemento
di lamette da barba, eventualmente
si dà un’occhiata al testamento, pura
scaramanzia perché i disastri aerei
in percentuale sono nulla;
prima del viaggio si è tranquilli ma si sospetta che
il saggio non si muova e che il piacere
di ritornare costi uno sproposito.
E poi si parte e tutto è O.K. e tutto
è per il meglio e inutile.

E ora, che ne sarà
del mio viaggio?
Troppo accuratamente l’ho studiato
senza saperne nulla. Un imprevisto
è la sola speranza. Ma mi dicono
che è una stoltezza dirselo

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I limoni

Ascoltami, i poeti laureati
si muovono soltanto fra le piante
dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.
lo, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
fossi dove in pozzanghere
mezzo seccate agguantano i ragazzi
qualche sparuta anguilla:
le viuzze che seguono i ciglioni,
discendono tra i ciuffi delle canne
e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.

Meglio se le gazzarre degli uccelli
si spengono inghiottite dall’azzurro:
più chiaro si ascolta il susurro
dei rami amici nell’aria che quasi non si muove,
e i sensi di quest’odore
che non sa staccarsi da terra
e piove in petto una dolcezza inquieta.
Qui delle divertite passioni
per miracolo tace la guerra,
qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza
ed è l’odore dei limoni.

Vedi, in questi silenzi in cui le cose
s’abbandonano e sembrano vicine
a tradire il loro ultimo segreto,
talora ci si aspetta
di scoprire uno sbaglio di Natura,
il punto morto del mondo, l’anello che non tiene,
il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
nel mezzo di una verità.
Lo sguardo fruga d’intorno,
la mente indaga accorda disunisce
nel profumo che dilaga
quando il giorno più languisce.
Sono i silenzi in cui si vede
in ogni ombra umana che si allontana
qualche disturbata Divinità.

Ma l’illusione manca e ci riporta il tempo
nelle città rumorose dove l’azzurro si mostra
soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.
La pioggia stanca la terra, di poi; s’affolta
il tedio dell’inverno sulle case,
la luce si fa avara – amara l’anima.
Quando un giorno da un malchiuso portone
tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni;
e il gelo dei cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d’oro della solarità.

Le 20 più belle poesie d'amore di tutti i tempi

Le 20 poesie d’amore più belle di tutti i tempi

Scopri le migliori poesie d’amore più celebri, emozionanti, profonde di sempre. I più grandi autori mondiali protagonisti in una breve raccolta pensata per te.

Portami il girasole ch’io lo trapianti

Portami il girasole ch’io lo trapianti
nel mio terreno bruciato dal salino,
e mostri tutto il giorno agli azzurri specchianti
del cielo l’ansietà del suo volto giallino.

Tendono alla chiarità le cose oscure,
si esauriscono i corpi in un fluire
di tinte: queste in musiche. Svanire
è dunque la ventura delle venture.

Portami tu la pianta che conduce
dove sorgono bionde trasparenze
e vapora la vita quale essenza;
portami il girasole impazzito di luce.

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Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale (Xenia II, 1967)

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.

Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.

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