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“Piccolo testamento”, l’eredità di Eugenio Montale in un mondo fragile e ferito

Racchiusa nella sezione "Conclusioni provvisorie" de "La bufera e altro", "Piccolo testamento" è una poesia commovente, che con la sua fragile bellezza disarma chi la legge, invitandolo a riflettere sul senso della vita e sul valore delle idee che muovono il nostro agire a questo mondo.

Piccolo testamento“.

Si intitola così il componimento con cui Eugenio Montale chiude “La bufera e altro” e la sezione Conclusione provvisorie, insieme a “Il sogno del prigioniero”; e ci sembra che non esistano versi più adatti per ricordare Eugenio Montale nel giorno in cui ricorre l’anniversario della sua scomparsa. “Piccolo testamento” è un titolo che vive di contrasti, e lascia trasparire il senso di ineffabilità e fragilità che permea la poesia dell’autore ligure.

“Piccolo testamento” di Eugenio Montale

Questo che a notte balugina
nella calotta del mio pensiero,
traccia madreperlacea di lumaca
o smeriglio di vetro calpestato,
non è lume di chiesa o d’officina
che alimenti
chierico rosso, o nero.

Solo quest’iride posso
lasciarti a testimonianza
d’una fede che fu combattuta,
d’una speranza che bruciò più lenta
di un duro ceppo nel focolare.
Conservane la cipria nello specchietto
quando spenta ogni lampada
la sardana si farà infernale
e un ombroso Lucifero scenderà su una prora
del Tamigi, dell’Hudson, della Senna
scuotendo l’ali di bitume semi-
mozze dalla fatica, a dirti: è l’ora.

Non è un’eredità, un portafortuna
che può reggere all’urto dei monsoni
sul fil di ragno della memoria,
ma una storia non dura che nella cenere
e persistenza è solo l’estinzione.
Giusto era il segno: chi l’ha ravvisato
non può fallire nel ritrovarti.
Ognuno riconosce i suoi: l’orgoglio
non era fuga, l’umiltà non era
vile, il tenue bagliore strofinato
laggiù non era quello di un fiammifero.

Il piccolo testamento, ovvero cosa resiste all’oblio della memoria

“Piccolo testamento” è una poesia da leggere e rileggere con cura, da assaporare con lentezza gustandone le parole singole, e poi i versi, e poi la sua interezza. In essa, Eugenio Montale racchiude il senso dell’intera raccolta, di cui è infatti posta a conclusione. Non sono la religione, con i riti e le credenze rassicuranti, o la fede politica, con parole e ideali altisonanti, a salvarci.

Non è nemmeno la fiducia in una Storia che ha deluso in tutti i sensi, con la guerra, la povertà, e tutti i grandi stravolgimenti del Novecento. Sembra non esserci spazio se non per il dolore, in un mondo governato da politica, guerre e religione.

Ma qualcosa ci salva, e Montale ce ne fa dono con “Piccolo testamento”. Sono cose piccole, fragili, precarie. Ma possono tenerci attaccati alla vita, lontani dall’oblio del tempo e dall’orrore della violenza La poesia, la memoria, l’amore: ecco il piccolo testamento di Eugenio Montale.

Eugenio Montale

Eugenio Montale nasce a Genova il 12 ottobre 1896 da una famiglia benestante. Il padre di Eugenio è infatti proprietario di una ditta che produce prodotti chimici. L’infanzia e l’adolescenza di Eugenio Montale sono segnate dalla salute precaria, che non permette al giovane di condurre la vita gioiosa e spensierata che si addice ai ragazzi della sua età.

A causa delle continue polmoniti, Montale viene indirizzato verso gli studi tecnici, più rapidi e meno impegnativi di quelli classici. Diplomatosi in ragioneria con ottimi voti nel 1915, Eugenio coltiva tuttavia la passione per la cultura umanistica studiando da autodidatta e frequentando le lezioni di filosofia della sorella Marianna, iscritta alla facoltà di Lettere e Filosofia.

Intanto, la Prima Guerra Mondiale esige nuove reclute. È così che, nel 1917, Montale viene arruolato nella fanteria dopo aver svolto il servizio militare e combatte fino al 1920, quando viene congedato con il grado di tenente.

Negli anni ’20, il fascismo comincia a diffondersi in Italia. Eugenio Montale è uno dei tanti intellettuali che nel 1925 sottoscrive il “Manifesto degli intellettuali antifascisti” concepito da Benedetto Croce. Questo è un anno fondamentale nella vita del poeta: al 1925 risale, infatti, la prima pubblicazione di “Ossi di seppia”, che segna un punto di svolta nella carriera letteraria di Montale.

Nel 1927, l’autore di “Piccolo testamento” si trasferisce a Firenze, dove collabora con importanti riviste e dirige il Gabinetto Vieusseux, incarico da cui viene allontanato nel 1938 a causa della sua riluttanza nei confronti del fascismo. Nonostante ciò, il soggiorno fiorentino è uno dei periodi più pieni e vivaci della vita di Montale, che qui compone le “Occasioni” e incontra per la prima volta Irma Brandeis e in seguito anche Drusilla Tanzi, che diventerà moglie del poeta.

Eugenio Montale si trasferisce a Milano nel 1948. Qui, comincia a collaborare con il Corriere della Sera, giornale per cui scrive critiche letterarie, reportage e articoli più generici. Montale continua a pubblicare opere in versi e in prosa, nel 1962 sposa finalmente Drusilla Tanzi, dopo 23 anni di fidanzamento.

Il matrimonio non è destinato a durare: Drusilla muore nell’ottobre del 1963, dopo un periodo di dolore e malattia. A lei è dedicata la raccolta “Xenia”. La poesia montaliana si fa più cupa, disillusa: i versi cantano il distacco dalla vita, i cambiamenti della modernità, le trasformazioni culturali. Nel 1975, il poeta viene insignito del Premio Nobel per la Letteratura “per la sua poetica distinta che, con grande sensibilità artistica, ha interpretato i valori umani sotto il simbolo di una visione della vita priva di illusioni”.

Muore il 12 settembre 1981 nella clinica San Pio X. Viene sepolto a Firenze, accanto alla moglie Drusilla.

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