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“Canto delle donne”, la poesia della Merini sulle donne prevaricate dai bruti

L'omicidio di Sarah Everard ha scosso l’intera opinione pubblica. La sua storia, come quella di tante altre donne, ci fanno tornare alla mente i versi di una celebre poesia di Alda Merini,

Il femminicidio è un grande problema non ancora sradicato nelle società, che con il covid purtroppo ha visto un acuirsi dei casi. L’ultimo è quello di Sarah Everard, trentatreenne di Londra. Il fatto è avvenuto il 3 Marzo scorso quando Sarah stava tornando a casa dopo una cena da un’amica e a meno di un chilometro da casa è svanita nel nulla. L’ 11 Marzo sono stati ritrovati i resti del suo corpo. C’è indignazione in Inghilterra ma no solo, i social sono esplosi mostrando tutta la rabbia per un’ingiustizia a cui, purtroppo, sembriamo esserci abituati. La sua storia, come quella di tante altre donne, ci fanno tornare alla mente i versi di una celebre poesia di Alda Merini, una delle poche artiste  rendere bene a parole il disagio e le problematiche dell’universo femminile.

La violenza degli uomini bruti

Giulia, Bianca, Vita Bello. Le donne cantate da Alda Merini in questa poesia urlante sono tutte vittime di assurde violenze. L’impudicizia di quegli uomini rotti alla lussuria del vento che violentava le donne, un grido di dolore contro tutti quegli uomini che troppo spesso vedono nella donna la nullità. Ci ripromettiamo sempre che le cose cambieranno e che migliorerà l’educazione maschile in modo che si comprenda davvero la parità tra la donna e l’uomo.

Eppure ogni volta la notizia di uno stupro o di una violenza oppure di un omicidio rompono la promessa (in Italia sono già 12 i femminicidi commessi dall’ inizio del 2021). L’ultimo caso lo possiamo trovare a Londra, con la morte di Sarah Everard, uccisa da un poliziotto mentre tronava a casa da sola. Lo sgomento ha pervaso l’opinione pubblica e in queste situazioni, per fortuna, anche la voce di tanti uomini giusti si schiera contro la ferocia inaudita che trasforma il maschio in una bestia e rende le donne vittime inermi. Ma ancora, purtroppo, non basta.

“Canto delle donne” di Alda Merini

Io canto le donne prevaricate dai bruti

la loro sana bellezza, la loro “non follia”

il canto di Giulia io canto riversa su un letto

la cantilena dei salmi, delle anime “mangiate”

il canto di Giulia aperto portava anime pesanti

la folgore di un codice umano disapprovato da Dio.

Canto quei pugni orrendi dati sui bianchi cristalli

il livido delle cosce, pugni in età adolescente

la pudicizia del grembo nudato per bramosia.

Canto la stalla ignuda entro cui è nato il “delitto”

la sfera di cristallo per una bocca “magata”.

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Canto il seno di Bianca ormai reso vizzo dall’uomo

canto le sue gambe esigue divaricate sul letto

simile ad un corpo d’uomo era il suo corpo salino

ma gravido d’amore come in qualsiasi donna.

Canto Vita Bello che veniva aggredita dai bruti

buttata su un letticciolo, battuta con ferri pesanti

e tempeste d’insulti, io canto la sua non stagione

di donna vissuta all’ombra di questo grande sinistro

la sua patita misura, il caldo del suo grembo schiuso

canto la sua deflorazione su un letto di psichiatra,

canto il giovane imberbe che mi voleva salvare.

Canto i pungoli rostri di quegli spettrali infermieri

dove la mano dell’uomo fatta villosa e canina

sfiorava impunita le gote di delicate fanciulle

e le velate grazie toccate da mani villane.

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Canto l’assurda violenza dell’ospedale del mare

dove la psichiatria giaceva in ceppi battuti

di tribunali di sogno, di tribunali sospetti.

Canto il sinistro ordine che ci imbrigliava la lingua

e un faro di marina che non conduceva al porto.

Canto il letto aderente che aveva lenzuola di garza

e il simbolo-dottore perennemente offeso

e il naso camuso e violento degli infermieri bastardi.

Canto la malagrazia del vento traverso una sbarra

canto la mia dimensione di donna strappata al suo unico amore

che impazzisce su un letto di verde fogliame di ortiche

canto la soluzione del tutto traverso un’unica strada

io canto il miserere di una straziante avventura

dove la mano scudiscio cercava gli inguini dolci.

Io canto l’impudicizia di quegli uomini rotti

alla lussuria del vento che violentava le donne.

Io canto i mille coltelli sul grembo di Vita Bello

calati da oscuri tendoni alla mercé di Caino

e canto il mio dolore d’esser fuggita al dolore

per la menzogna di vita

per via della poesia.

 

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