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Cos’è la cancel culture e perché oggi può essere un problema

La "cancel culture" e la cultura del boicottaggio sono sempre più al centro del dibattito pubblico. Ma cosa significa? Come nasce questo fenomeno? Quali sono le sue ripercussioni nella società oggi?

La “cancel culture” è negli ultimi tempi al centro del dibattito pubblico dopo i recenti e controversi episodi di vera o presunta censura dovuta a un eccesso di politicamente corretto. Il dibattito si è nuovamente acceso nelle ultime ore, in seguito alla rimozione della foto di Benito Mussolini presente presso il ministero dello Sviluppo economico, insieme a quella degli altri ministri, in occasione delle iniziative di carattere storico e culturale per i 90 anni di Palazzo Piacentini. Il caso, però, ha suscitato polemiche tra le diverse fazioni politiche e non solo, con il neopresidente del Senato, Ignazio La Russa, che ha affermato: “Facciamo “cancel culture” anche noi?”

Ma che cos’è la cancel culture? Come nasce questo fenomeno? Quali sono le sue ripercussioni nella società oggi?

Cos’è la cancel culture

La locuzione cancel culture o call-out culture (dall’inglese cultura della cancellazione o cultura del boicottaggio) è usata per indicare una forma moderna di ostracismo nella quale qualcuno verrebbe estromesso da cerchie sociali o professionali – sia online sui social media, che nel mondo reale, o in entrambi. Questa pratica è intesa come lo “smettere di dare supporto a una determinata persona”.

L’esistenza effettiva della cancel culture è infatti criticata da molti, che la ritengono un fenomeno inesistente, gonfiato, inventato e/o ininfluente. A sostegno di queste tesi, si fa notare come ogni presunto “caso” di cancel culture possa essere considerato un caso del tutto ordinario di critica o applicazione di normali e legittime scelte editoriali.

L’espressione cancel culture ha infatti connotati per lo più negativi e viene comunemente usata nei dibattiti che sostengono presunte minacce alla libertà d’espressione in nome del cosiddetto politically correct.

Esempi di cancel culture 

Tra i casi di cancel culture che hanno fatto più clamore ultimamente c’è quella della biografia di Philip Roth, scritta da Blake Bailey, di cui è stata sospesa la vendita dalla casa editrice W.W. Norton dopo che l’autore è stato accusato di stupro. Si tratta di una scelta editoriale lecita, ma che tradisce appunto una cultura della cancellazione e della presunzione di colpevolezza.

10 maggio 1933, quando il nazismo mise al rogo la cultura

10 maggio 1933, quando il nazismo mise al rogo la cultura

La notte del 10 Maggio 1933, cinque mesi dopo l’ascesa di Hitler al potere, Berlino fu illuminata dal rogo dei libri. Più di 20.000 volumi furono gettati dentro un unico falò

Spesso la cancel culture si manifesta verso opere d’ingegno del passato, come libri e film, sentite portatrici di valori deprecati e talvolta offensivi, togliendole dal contesto in cui sono state ambientate o scritte, oppure verso personaggi famosi storicamente apprezzati attuando quindi un processo di revisionismo. Ma anche in questi casi non sono riportati casi effettivi di censura o cancellazione di opere del passato, ma al massimo critiche, più o meno autorevoli, come nel caso della polemica sul bacio del Principe “non consensuale”.

Il caso Black Lives Matter

Esempio lampante di calcel culture è stato quello avvenuto in America dopo la morte di George Floyd avvenuta il 25 maggio 2020, ucciso da un agente della polizia di Minneapolis. Dopo quella data, si sono registrati numerosi episodi di iconoclastia volti a rimuovere statue o monumenti, come quelli di Cristoforo Colombo e Winston Churchill, considerati simboli di un passato razzista e schiavista. In controtendenza, il 7 luglio 2020 circa 150 intellettuali (tra cui Noam Chomsky, J.K. Rowling, Salman Rushdie, Margaret Atwood e Francis Fukuyama) hanno pubblicato su Harper’s Magazine “A Letter On Justice And Open Debate“, una lettera aperta per lanciare un avvertimento sui pericoli di “una nuova serie di standard morali e schieramenti politici che tendono a indebolire il dibattito aperto in favore del conformismo ideologico”. 

La cancel culture e il rogo dei libri

Molti associano la cancel culture al rogo di libri avvenuto a Berlino nel 1933: un post del direttore del Tg di La7 Enrico Mentana pubblicato sui suoi social così recita: “Bisogna avere il coraggio di dirlo: per molti aspetti la cancel culture ricorda i roghi dei libri del nazismo”, con una foto in bianco e nero che ritrae alcuni libri dati alle fiamme dalle truppe di Hitler.

 

 
 
 
 
 
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Alcune riflessioni

Nel giudicare la storia, nel valutare le opere d’arte o letterarie a distanza di secoli con “lo sguardo di oggi”, si rischia di fare confusione e non riuscire a contestualizzare fatti e situazioni. Giudicati oggi, il comportamento di molti artisti e personaggi della storia rischia di diventare negativo. Censurarli, però, non è la cosa giusta da fare. Anzi, capire certe dinamiche, approfondire le situazioni che hanno portato alla realizzazione di opere e azioni che hanno avuto ripercussioni poi nella vita sociale dell’epoca serve a comprendere la storia e aiuta spesso a non commettere più certi errori. Proprio la lettura dei libri ci aiuta a comprendere gli errori del passato per far sì che non vengano ripetuti.

Se non la si vuole ripetere, la storia va studiata, non censurata in nome di ideali o lotte sociali. Nella società veloce di oggi in cui “tutto è a portata di un click”, l’approfondimento e la contestualizzare risultano il miglior “vaccino” contro l’ignoranza e il giudizialismo, che spesso portano a cancellare o, peggio, nascondere ciò che è invece utile a comprendere la realtà e vivere meglio.

 

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