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“Un malato di cuore” di De André, la canzone che celebra la bellezza della vita e dell’amore

Una canzone/poesia di De André che racconta la bellezza della vita e dell'amore e ci invita a goderne appieno, senza restare in contemplazione.

L’11 gennaio 1999 si spegneva a Milano Fabrizio De André, uno dei più grandi cantautori italiani, entrato coi suoi testi nelle antologie scolastiche e ritenuto fra gli artisti più influenti ed innovativi del panorama musicale nazionale. Per ricordarlo, vi portiamo alla scoperta di “Un malato di cuore”, una profonda canzone tratta da “Non al denaro non all’amore né al cielo“, l’album pubblicato da De André nel 1971 insieme alla casa discografica Produttori Associati

De André e l’Antologia di Spoon River

“Un malato di cuore” è la quinta traccia dell’album che De André ha dedicato all’interpretazione dell’Antologia di Spoon River, capolavoro del poeta americano Edgar Lee Masters. Questo magnifico testo di De André è infatti ispirato ad una delle nove poesie selezionate dal cantautore genovese fra le 244 composte da Masters per raccontare l’uomo, la vita e il mondo.

Come nell’Antologia di Spoon River, Fabrizio De André costruisce le sue storie tentando di portare un nuovo sguardo sulla realtà, demistificandola e mostrando il volto autentico delle scelte e delle azioni degli esseri umani.

Nell’album “Non al denaro non all’amore né al cielo” i temi fondamentali toccati da De André sono due: l’invidia e la scienza. Il testo che fra poco andremo a leggere è legato alla prima tematica.

La vita pensata, la vita vissuta

Il protagonista di “Un malato di cuore” è un uomo malato di cuore che rende l’anima a Dio nel momento in cui conosce l’amore toccando le labbra di una donna. L’indicibile emozione provocata dall’istante in cui si concretizza il bacio conduce l’uomo alla morte, lui che sin da piccolo, a causa della sua malattia, non ha vissuto veramente.

Francis Turner, così si chiama il protagonista del componimento di Masters che ha ispirato la canzone di De André, ha sempre e solo guardato, talvolta da lontano, talvolta da vicino, la vita che scorre e si compie negli individui che lo circondano:

“Da ragazzo spiare i ragazzi giocare
al ritmo balordo del tuo cuore malato
e ti viene la voglia di uscire e provare
che cosa ti manca per correre al prato,
e ti tieni la voglia, e rimani a pensare
come diavolo fanno a riprendere fiato”.

La malattia fisica si trasforma presto in malattia del cuore: la solitudine attanaglia il protagonista del testo, lo priva di tutto ciò che egli riesce a scorgere nelle vite degli altri. Rimane bloccato, inerte, immobile in un mondo che si muove con trasporto e che, nonostante ciò, non riesce a coinvolgerlo. Narra “la vita dagli occhi”, la pensa, la medita, la analizza e la sogna, senza viverla mai:

“Da uomo avvertire il tempo sprecato
a farti narrare la vita dagli occhi
e mai poter bere alla coppa d’un fiato
ma a piccoli sorsi interrotti,
e mai poter bere alla coppa d’un fiato
ma a piccoli sorsi interrotti”.

Tuttavia, alla fine del testo scopriamo che il malato di cuore trova una via per uscire dalla contemplazione ed aprirsi alla vita: l’amore. A differenza degli altri “invidiosi” dell’album di De André, lui scopre la straordinaria forza dell’amore, e si tuffa senza difese nel mare della vita, spogliandosi della sua armatura.

Così, giunge la felicità, una felicità talmente potente da condurre il giovane alla morte. Non dovremmo forse vivere così, al massimo delle nostre potenzialità, guidati dall’amore e dalla bellezza, senza temere le conseguenze dei gesti belli, buoni, genuini, che troppo spesso ci lasciamo alle spalle per paura? Dovremmo riuscire a vivere la vita senza pensarci troppo, ché a pensarla soltanto, la vita scorre senza avvertirci.

Un malato di cuore di Fabrizio De André

“Cominciai a sognare anch’io insieme a loro
poi l’anima d’improvviso prese il volo.”

Da ragazzo spiare i ragazzi giocare
al ritmo balordo del tuo cuore malato
e ti viene la voglia di uscire e provare
che cosa ti manca per correre al prato,
e ti tieni la voglia, e rimani a pensare
come diavolo fanno a riprendere fiato.

Da uomo avvertire il tempo sprecato
a farti narrare la vita dagli occhi
e mai poter bere alla coppa d’un fiato
ma a piccoli sorsi interrotti,
e mai poter bere alla coppa d’un fiato
ma a piccoli sorsi interrotti.

Eppure un sorriso io l’ho regalato
e ancora ritorna in ogni sua estate
quando io la guidai o fui forse guidato
a contarle i capelli con le mani sudate.

Non credo che chiesi promesse al suo sguardo,
non mi sembra che scelsi il silenzio o la voce,
quando il cuore stordì e ora no, non ricordo
se fu troppo sgomento o troppo felice,
e il cuore impazzì e ora no, non ricordo,
da quale orizzonte sfumasse la luce.

E fra lo spettacolo dolce dell’erba
fra lunghe carezze finite sul volto,
quelle sue cosce color madreperla
rimasero forse un fiore non colto.

Ma che la baciai questo sì lo ricordo
col cuore ormai sulle labbra,
ma che la baciai, per Dio, sì lo ricordo,
e il mio cuore le restò sulle labbra.

“E l’anima d’improvviso prese il volo
ma non mi sento di sognare con loro
no non mi riesce di sognare con loro”.

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