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Valentina Mira, il caso letterario con il libro “Dalla stessa parte mi troverai”

Intervista alla scrittrice Valentina Mira, finalista al Premio Strega con il libro "Dalla stessa parte mi troverai", diventato un caso letterario ma anche politico

Dopo l’ingresso nella dozzina dei finalisti Premio Strega 2024, Valentina Mira con il suo libro Dalla stessa parte mi troverai (Sem) è diventato un vero e proprio caso letterario.

L’opera ha ricevuto diversi attacchi dalla stampa di destra e da esponenti politici di quell’area a causa della tragica storia vera su cui si basa la trama del libro, ovvero l’omicidio di due attivisti di destra, divenuti “icone intoccabili del neofascismo” come descritto nella presentazione del libro, davanti alla sede del Movimento sociale italiano nel quartiere Appio Latino a Roma.

Analizziamo la trama dell’opera.

Dalla stessa parte mi troverai

Sinossi del libro

Questa storia comincia una sera d’inverno, il 7 gennaio 1978.

Davanti a una sede del Movimento sociale italiano nel quartiere Appio Latino, a Roma, vengono uccisi a colpi d’arma da fuoco due attivisti di destra.

Da quel momento, i morti di Acca Larentia diventano icone intoccabili del neofascismo.

Questa storia ricomincia il 30 aprile 1987, quando viene arrestato Mario Scrocca, un militante di estrema sinistra.

Secondo gli inquirenti, Scrocca avrebbe fatto parte del commando che colpì ad Acca Larentia.

Lo troveranno cadavere ventiquattro ore più tardi, impiccato in una cella di Regina Coeli.

Ma troppe cose non tornano…

Questa storia senza fine ricomincia – una volta ancora – un pomeriggio di giugno del 2021.

Due donne si incontrano sotto il cielo di Roma.

Rossella ha sessant’anni ed è la vedova di Mario Scrocca.

Valentina, di anni, ne ha trenta, è cresciuta dalle parti di Acca Larentia, in passato ha frequentato dei neofascisti e si porta dentro le cicatrici di quelle frequentazioni.

Dalla stessa parte mi troverai è il racconto di un amore vissuto a mille nei giorni in cui tutto era ancora possibile e di una vita spezzata al tempo del disincanto collettivo, prima di essere consegnata all’oblio.

Con un rigore che non ammette sconti, Valentina Mira fa luce sul vittimismo osceno dei carnefici, demolendo retoriche, alibi, miti di quella destra che si è presa l’Italia.

Intervista a Valentina Mira

Sentiamo dalla voce diretta dell’autrice come stanno realmente le cose.

Perché pensi che ai benpensanti “censori del potere” il tuo libro sia in qualche modo da censurare?

Perché alle persone abusanti non piace essere chiamate col loro nome. Figuriamoci ai fascisti.

Mi viene in mente un caso di cronaca recente: siamo a Portogruaro, in provincia di Venezia. Una coppia di coniugi guarda la televisione, si parla del femminicidio di Giulia Cecchettin. Il marito commenta: «Chissà cosa aveva combinato» (lei, che secondo lui se la sarebbe cercata). La moglie la difende, gli fa: «Ma che cosa stai dicendo? Parli proprio come un criminale».

Lui si sente visto, smascherato, le dà un pugno in pancia e la accoltella. Un caso di tentato femminicidio che mi sembra l’emblema di come ragionano gli abusanti, quando smascherati.

Il mio libro chiama questa gente col suo nome, e lo fa in modo non denunciabile ma solo raccontando fatti: è questo che li ha fatti impazzire, credo.

Da parte del mondo della letteratura hai trovato solidarietà?

Dipende. Da quelli che conoscevo, e da qualcuno che non conoscevo, c’è stato molto affetto inaspettato. Non da tutti. Non nego che certe modalità hanno anche saputo farmi male. Nel mondo intellettuale c’è molto classismo e sconnessione dalla realtà, la cosa mi ha sorpresa in negativo.

Trovo meschino da parte di gente che ha il doppio dei miei anni porsi in modo competitivo e non supportivo.

Ci sono state però anche delle sorprese incredibilmente positive, e certi articoli e trasmissioni radiofoniche li porterò sempre nel cuore.

Tra le attuali battaglie sociali e civili, ritieni che quella contro la censura sia un’altra battaglia quotidiana da dover affrontare con unità in un avanzamento politico a prescindere dalle parti?

Non lo so. Lavoro (anche) nel giornalismo dal 2010, forse 2011. Ho a che fare da sempre con le forme di controllo dell’informazione che ci sono in questo paese.

Ce ne sono di insidiose e non solo da parte dello Stato (basta farsi due ricerche sulle proprietà dei giornali, su chi li finanzia e così via).

Detto questo, la battaglia per la libera espressione va portata avanti eccome, non da oggi ma soprattutto oggi. Basta che non venga ridotta a un gioco di ruolo strumentalizzabile dalla politica partitica.

Il tuo libro nasce da un incontro, avvenuto sotto il cielo della città eterna, con Rossella vedova di Mario Scrocca. Cosa ricordi di quell’incontro e qual è stata, di fatto, la scintilla che ha prodotto poi il libro?

Lo racconto nel libro stesso, c’è un capitolo dedicato a quell’incontro e non mi va di riassumere un momento così importante in poche parole.

Nel mio secondo libro, “Per scaldarci noi” (misconosciuto perché pubblicato con una piccola casa editrice, Le Piagge, in una nuova collana in cui ci siamo io e Wu Ming) parlo di inciampare nella felicità.

Della sequenza di Fibonacci, di conigli e di un senso, contro tutte le volte in cui un senso non c’è.

L’incontro con Rossella è stato uno di quei momenti in cui il senso l’ho intravisto come una filigrana in controluce.

Queste reazioni e critiche forse più politiche che letterarie, cosa stanno provocando nel tuo paesaggio emotivo non solo come persona ma anche come scrittrice?

Ansia, dispiacere, paura, rancore, rabbia. Poi mi sento e mi vedo con chi invece sta davvero dalla stessa parte e c’è anche un po’ di speranza. Questo è il mio paesaggio emotivo al momento. Come persona e come scrittrice, due aspetti che in me non sono scissi ma coincidono con esattezza.

Cosa ti vien da dire ai giovani rispetto alla diffusione di pensieri non omologati né omologabili al pensiero di massa del momento?

Non vi fidate. O meglio, non vi affidate: la fiducia va bene, la fede no. E non abbiate miti né capri espiatori, nessun essere umano è totalmente buono o cattivo. Un momento fondamentale della crescita, non so se di tutti ma di certo di molti, è la delusione.

Ma si può provare solo rispetto a ciò di cui ci s’illude. Più che illudersi e consegnare mani e piedi il proprio raziocinio e la parte irrazionale a qualcuno, è importante imparare ad ascoltarsi.

La cosa che avrei voluto imparare prima dei 25 anni è proprio ad ascoltare la mia voce, mentre ascoltavo solo quelle degli altri.

Non dobbiamo essere Eco né Narciso. Questo direi. Ascoltarsi. Respirare.

Dopo questo libro, su cosa si pone la tua attenzione letteraria, sociale e anche umana tanto da trasferirla in una nuova opera?

Non parlo mai di un libro che non ho ancora scritto. Posso solo dire: attenti a non finirci dentro.

La censura e l’impopolarità nella letteratura

Oltre quarant’anni fa Pier Paolo Pasolini scriveva: “Il primo dovere di uno scrittore è quello di non temere l’impopolarità”. 

Pasolini aveva vissuto sulla propria pelle la morsa feroce della censura e nella solitudine, sua forza e indipendenza, non si è mai autocensurato non arretrando di un passo.

La censura è stata rifiutata, anche costituzionalmente, già con la fine del secondo conflitto mondiale, andando progressivamente a difendere il diritto d’autore, la diffusione delle opere letterarie anche di autori internazionali per esercitare democraticamente una lettura critica nel pieno principio di libertà di espressione tenendo anche contro delle diversità culturale e delle epoche in cui i testi stessi venivano pubblicati e redatti.

La lettura critica dei testi è una realtà e oggi che siamo rimbalzati e abbuffati dallo storytelling mediatico abbiamo bisogno di rappropriarci della sana critica e rilettura anche della realtà prendendo le distanze da quella che è la falsificazione e decostruzione delle interpretazioni sociali e storiche.

Con le nuove e silenti forme oscurantiste si vorrebbe omologare le interpretazioni, come un vecchio proverbio che recita: “Di notte tutti i gatti sono grigi”.

Ed è proprio questo opprimente grigiore che in questa notte ci rifiutiamo di attraversare. Sessant’anni dopo il testimone passa a un altro intelletto letterario: quello di Valentina Mira.

L’autrice

Valentina Mira ha collaborato con vari quotidiani e siti di informazione, tra cui ‘Il Manifesto’ e il ‘Corriere della Sera.’

Scrive per Radiotelevisione svizzera e ha esordito nel 2021 con “X” (Fandango Libri), una storia vera, diventata un caso editoriale, che racconta la violenza di genere.

 

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