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“L’ora nostra” di Umberto Saba, un inno alla vita e al tempo che precede il riposo

"Sai un'ora del giorno che più bella sia della sera?" Nella poesia "L'ora nostra", Umberto Saba celebra la vita e il suo fluire nell'attimo prima della quiete.

Racchiusa nel Canzoniere, “L’ora nostra” è una significativa poesia in cui Umberto Saba immortala la magia dell’attimo che precede il riposo raccontandoci, al tempo stesso, la vita esteriore e quella interiore.

“L’ora nostra” di Umberto Saba

Sai un’ora del giorno che più bella
sia della sera? tanto
più bella e meno amata? È quella
che di poco i suoi sacri ozi precede;
l’ora che intensa è l’opera, e si vede
la gente mareggiare nelle strade;
sulle mole quadrate delle case
una luna sfumata, una che appena
discerni nell’aria serena.

È l’ora che lasciavi la campagna
per goderti la tua cara città,
dal golfo luminoso alla montagna
varia d’aspetti in sua bella unità;
l’ora che la mia vita in piena va
come un fiume al suo mare;
e il mio pensiero, il lesto camminare
della folla, gli artieri in cima all’alta
scala, il fanciullo che correndo salta
sul carro fragoroso, tutto appare
fermo nell’atto, tutto questo andare
ha una parvenza d’immobilità.

È l’ora grande, l’ora che accompagna
meglio la nostra vendemmiante età.

Mentre tutto scorre

“L’ora nostra” incanta chi la legge. Gli enjambements si susseguono danzando con le immagini, con le rime, con le figure retoriche utilizzate dal poeta.

Non si fatica a immaginare ciò che Umberto Saba racconta a parole ne “L’ora nostra”: una Trieste pullulante di gente dedita nelle ultime faccende del giorno, in cui il tempo è scandito dal “lesto camminare”, dal “fanciullo che correndo salta sul carro fragoroso”, dalla gente che si riversa per le strade come se fosse un mare ondeggiante.

Ed è proprio questo il momento della giornata che Saba preferisce. Questa è “l’ora nostra” cui il titolo si riferisce. Non è il riposo, ma il momento di poco precedente. Non è il traguardo, ma l’ultimo tratto prima di raggiungerlo. È il momento della riflessione, della contemplazione.

Così, mentre la vita scorre inesorabile insieme al tempo, il cuore del poeta si ferma, innamorato della vita e di ciò che ancora gli resta da vedere.

Umberto Saba

Umberto Saba è lo pseudonimo di Umberto Poli, nato nel 1883 a Trieste. Di origini ebraiche per parte di madre, il piccolo Umberto Saba viene accudito nei primi anni di vita da Peppa, una balia slovena cattolica a cui lui resterà per sempre legato.

Quando la madre lo riprende con sé e lo allontana da Peppa, Umberto subisce un trauma che in seguito racconterà nelle sue poesie.

Dopo aver trascorso alcuni anni a Padova da parenti, il giovane ritorna a Trieste e vive con la madre e le zie, in totale assenza di una figura maschile, poiché il padre aveva abbandonato la famiglia prima della nascita dello stesso Umberto Saba.

Il periodo dell’adolescenza è segnato dalla malinconia e dallo studio dei classici della letteratura.

Nel 1903 si trasferisce a Pisa per frequentare alcuni corsi dell’università; inizia con le lezioni di letteratura italiana, ma ben presto li lascia per seguire quelli di archeologia, tedesco e latino. In questo periodo, viene colto per la prima volta da un attacco di nevrastenia.

Vive a Firenze, si trasferisce a Salerno per il servizio militare e infine, nel 1908, torna a Trieste, dove sposa con rito ebraico Carolina Wölfler, l’amata Lina celebrata nei suoi versi. L’anno seguente nasce Linuccia.

Nel 1911 pubblica sotto pseudonimo la sua prima raccolta. Comincia per lui la carriera di poeta. Vincitore di numerosi premi, l’autore di “L’ora nostra” non abbandonerà mai la passione per la scrittura, neanche dopo aver assistito agli orrori del XX secolo.

Nel Dopoguerra, si avvicina a Carlo Levi ed Eugenio Montale, amici a cui resterà legato fino alla morte, avvenuta nel 1957 a Gorizia, nella clinica in cui si era fatto ricoverare sperando di mitigare gli attacchi nervosi da cui era affetto.

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