Sei qui: Home » Fotografia » Renato Marcialis, “La fotografia? Tutta ‘colpa’ di mio padre”

Renato Marcialis, “La fotografia? Tutta ‘colpa’ di mio padre”

Nell'intervista ci ha raccontato i suoi esordi e la tecnica utilizzata per creare immagini in perfetto “stile Caravaggio”

MILANO – Non chiamate i suoi scatti in cucina “nature morte”, le fotografie e il cibo sono sacri, una tradizione incredibilmente viva. Stiamo parlando dei celebri lavori di Renato Marcialis, il “Caravaggio della cucina”. Nell’intervista il fotografo ci racconta i suoi esordi e la tecnica utilizzata per creare immagini in perfetto “stile Caravaggio”, ossia la cosiddetta luce pennellata o light painting.

 

– Quando ha cominciato a fotografare?

Potrei rispondere in modo ironico “da quando me lo ha imposto mio padre!”. Il fatto è che da piccolo avevo una passione sfegatata per la musica e avevo fondato un gruppo che chiaramente mi teneva molto impegnato, più di quanto faceva la scuola. Questo ovviamente a mio padre non stava bene; così si impegnò a trovarmi un lavoro nello studio fotografico di alcuni conoscenti, così da sapere sempre dove trovarmi. Erano i primi anni ‘70 quando iniziai  a osservare con vera curiosità il lavoro di questi fotografi specializzati in meeting aziendali e matrimoni della Milano bene. Poco tempo dopo venni promosso stampatore da un fotografo specializzato in riprese industriali e a 17 anni mi sentii pronto a fare da me, minacciai il titolare di dimettermi se non avesse consentito a farmi fotografare in sala posa. Poi mio fratello iniziò la sua avventura nella fotografia di gastronomia e nel 1976 decise di coinvolgermi, lavorammo insieme per 10 anni e da lì tutto è cambiato, ho aperto il mio studio e ho capito che la mia vita sarebbe stata nella fotografia.

 

– Che strumenti utilizza e utilizzava?

Riguardo alle mie attrezzature, tendo a non analizzare in dettaglio ogni modello sul mercato dal punto di vista tecnico. Le prime immagini le ho realizzate con un banco ottico Sinar P2 con obbiettivo Rodenstok da 300mm, simultaneamente con Mamiya RZ 6×7 con una gamma di ottiche che andavano dal 140mm Macro al 360mm. Con l’esperienza, però, ho capito che le immagini non sono il risultato di una determinata macchina, ma sono il connubio tra cuore e cervello; possiamo chiamarlo “C&C”. Oggi, dopo una pausa con la Nikon D810, sono tornato ad utilizzare la  Canon 5D Mark II con uno zoom 70-300mm.

 

– Perché ha scelto il cibo come soggetto?

Probabilmente perché il cibo è sempre stato il leitmotiv della mia famiglia, i nostri cromosomi sono nati con le posate e la bavaglia addosso. Mio nonno faceva lo chef sulle navi da crociera, mio zio era chef Cordon Bleu de France, mio papà un famoso chef barman a cui sono stati riconosciuti premi importanti. La ristorazione, anche ad alti livelli, è sempre stata di casa e stiamo portando avanti la tradizione, infatti anche mio figlio è un cuoco. In ogni mia foto, uso ogni cura possibile sui miei soggetti, non amo chi li definisce “nature morte” perché sono molto più vivi di tante persone che conosco! I soggetti di “Caravaggio in Cucina” arrivano direttamente dal mio orto, posso testimoniare che sono più che a Km zero, non potrei lavorare se non su primizie freschissime che restituiscano quei colori e quella bellezza che voglio ottenere immortalandoli.

 

– Qual è la tecnica utilizzata per creare immagini in perfetto “stile Caravaggio”?

Si tratta di una tecnica antichissima, possiamo definirla luce pennellata o light painting. Prende vita illuminando il soggetto con una fonte di luce potente ma concentrata che, impugnata con la mano destra e vibrando sulla composizione, illumino dove opportuno.  È un ritorno ai tempi in cui non era possibile illuminare in modo uniforme grandi ambienti. In quei casi gli assistenti del fotografo si spostavano tra gli ambienti facendo luce di volta in volta su porzioni diverse prima con le fiaccole, poi con le lampade a seconda del momento storico. Io ho trasferito questa tecnica utilizzata solitamente sui grandi spazi ai miei soggetti. Da questo si capisce come la luce sia l’anima di questo progetto.

 

Sagra della fava, Renato Marcialis
Sagra della fava, Renato Marcialis

– Progetti per il futuro?

Tanti….troppi…meno male. Per una questione di segretezza non posso rivelare cosa e come,  non per fare il prezioso, ma solo per una correttezza verso coloro che si sono rivolti a me per dei progetti che ritengo molto interessanti da ambo i lati. In questi casi si dice “mettere la carne sul fuoco”…l’importante è non farla bruciare.

 

– Che ne pensa della situazione della fotografia in Italia?

 Conosco in dettaglio il mio settore e su questo posso fare un commento. Per quanto riguarda il food, definirei l’attuale scenario tendenzialmente drammatico: con la crisi che ha colpito tutti i settori merceologici, molti si sono riversati in questo settore senza alcuna esperienza e ignari che oggi le remunerazioni sono un quinto di dieci anni fa. Inoltre ci sono gli improvvisati che sulla scia di alcune immagini “azzeccate” per pura fortuna si definiscono food photographer, creando un abbassamento della qualità sul mercato. La colpa però non è da imputare a loro, bensì ai committenti, magari bravissimi a produrre alimenti, ma non lungimiranti allo stesso modo se non investono adeguatamente sull’immagine.

 

 

Lucia Antista

© Riproduzione Riservata