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Le tragedie di oggi nei volti di Mc Curry in mostra a Pordenone

Senza Confini è la nuova retrospettiva di Steve McCurry dedicata alla città di Pordenone, ospitata alla Galleria Harry Bertoia fino al 12 giugno Si tratta di un’esposizione particolarmente vasta: saranno presenti infatti circa 100 fotografie del famoso fotografo per percorrere i suoi 40 anni da freelance attraverso 120 fotografie, con l’intento di offrire allo spettatore un viaggio attraverso molte culture e diverse spaccature della vita quotidiana di tutto il mondo.  In occasione della rassegna è stato consegnato al fotografo americano dal Craf di Spilimbergo l’International Award of Photography giunto ormai alla 21a edizione per il suo stile “che non risponde a stilemi o calcoli intenzionali precisi, ma che ferma le regole della composizione fotografica in un’ispirazione”, come lo definisce Biba Giacchetti, referente dell’Agenzia Sudest57 e curatrice della mostra.  Se l’ispirazione è il denominatore comune, Senza Confini, nella sua installazione espositiva, mescolando tempi e luoghi, lascia il visitatore libero di muoversi e creare un suo personale percorso, dalle 50 icone più amate e commentate personalmente da McCurry nel catalogo, ai progetti più recenti dedicati all’Africa, al Giappone alla Birmania per arrivare alla sezione inedita tutta su Cuba.

Grazie a Mc Curry il mondo scoprì l’Afghanistan

Nato in Pennsylvania nel 1950, Steve Mc Curry, dopo gli studi universitari,  decide di partire per l’India come fotografo freelance. La sua carriera decolla quando, poco prima dell’invasione russa, decide di attraversare il confine tra Pakistan ed Afghanistan travestito da mujahidin. Tornato con i rullini di pellicola cuciti tra i vestiti, documenta per la prima volta la cruda realtà di quel conflitto: fu senza dubbio il primo a testimoniare l’importanza nevralgica di quel paese per il fragile equilibrio del mondo e la conseguente odissea dei rifugiati che gli ha valso uno degli scatti più celebri di tutti i tempi: Sharbat Gula, la bambina afgana  con gli occhi spalancati sul mondo in grado di esercitare per 30 anni la medesima forza magnetica.  Queste immagini, pubblicate in tutto il mondo, hanno vinto riconoscimenti  prestigiosi come la Robert Capa Gold Medal, il premio assegnato ai fotografi che si sono distinti per eccezionale coraggio.

Dai confini veri a quelli simbolici

Dopo l’Afghanistan McCurry ha continuato a documentare i principali conflitti degli ultimi decenni, tra cui le guerre in Iran e in Iraq, a Beirut, in Cambogia, nelle Filippine, in Afghanistan e la Guerra del Golfo, prediligendo i ritratti.  La sua capacità di cogliere l’anima delle persone incontrate nelle città, nei paesi devastati dalle guerre, fatta di occhi, di volti, di istanti di vita, si ritrova intatta proprio nella galleria di ritratti, dove egli si immerge in soggettiva, con tenacia e caparbia, perché : “Se sai aspettare, le persone si dimenticano della tua macchina fotografica e la loro anima esce allo scoperto”. Così racconta di aver aspettato ore prima di immortalare un bimbo passare in bicicletta lungo le vecchie strade de L’Avana, uno dei suoi progetti più recenti, assieme all’Africa, al Giappone, alla Birmania. L’ultima ricerca di Mc Curry è infine rivolta ai confini simbolici: ecco che il fotografo americano cerca e documenta le etnie in via di sparizione, le diverse condizioni sociali, i modi più particolari di concepire i gesti più semplici: immagini che raccontano una condizione umana fatta di sentimenti universali  e di sguardi che,  con fierezza,  affermano la medesima dignità.

Alessandra Pavan

 

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