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Concetta Lemma, storia della sedicenne uccisa dalla ‘ndrangheta

Per la campagna “A ricordare e riveder le stelle”, oggi conosciamo la storia di Concetta Lemma, una ragazza di sedici anni, vittima di ‘ndrangheta, uccisa l'11 gennaio 1964.

I ragazzi dell’Istituto Superiore G. La Pira di Pozzallo sono i protagonisti della campagna “A ricordare e riveder le stelle”. L’iniziativa, che rievoca Dante Alighieri, ha visto i ragazzi adottare ognuno una stella, ovvero il nome di una vittima della mafia, fare una ricerca e ricostruirne la storia con tutti i sentimenti che può evocare e conoscere meglio queste biografie per molti sconosciute. Oggi conosciamo la storia di Concetta Lemma, una ragazza di sedici anni, vittima di ‘ndrangheta, uccisa l’11 gennaio 1964.

La storia di Concetta Lemma

Il profumo del caffè quasi pronto inondava la mia cucina e il sole invernale di Feroleto della Chiesa, paesino in provincia di Reggio Calabria, mi illuminava il volto riempiendo il cuore di gioia. Era una bella giornata fin dalle prime luci dell’alba e non vedevo l ora di sedermi a tavola con mamma, assaporando quel tanto atteso caffè tra le nostra mura di casa e programmando gli impegni della giornata. Ma ero ignara del fatto che da un momento all’altro le mura più sicure di ogni genere umano, mi avrebbero tradita. Quelle mura che dovevano nascondermi da ogni cattiveria esterna, le quali invece rappresentarono il luogo della mia morte.

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Per la Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, i ragazzi dell’Istituto Superiore G. La Pira di Pozzallo sono stati protagonisti di un lavoro di scrittura creativa

Avevo 16 anni e a quest’età la tua mente pensa solo a sogni e speranze, le stesse che si frantumarono dopo quei colpi di lupara. La mia unica colpa era di trovarmi nel posto sbagliato al momento sbagliato, anche se quello doveva essere il mio porto sicuro. Mio padre Rocco lavorava i campi e dava la sua vita in ciò che faceva per mantenere la propria famiglia. Un giorno però scoppiò una lite che si concluse nel più atroce dei modi tra mio padre e un ragazzo diciottenne, Fortunato Furfaro; anch’egli pastore di professione il cui bestiame invadeva la nostra proprietà.

Mio padre gli sparò e in quanto consapevole di ciò che aveva fatto fu spinto dal dovere della coscienza e tormentato dai sensi di colpi tanto che andò dai carabinieri raccontando la vicenda. Era il 15 Dicembre 1963, una data che rimase incisa sulla mia pelle quando mio padre venne arrestato. Sentii fin da subito la mancanza di mio padre, quella protezione che ogni persona dovrebbe avere; soprattutto quando entrò in gioco Giuseppe, fratello maggiore di Fortunato, assetato di vendetta che volle emulare la morte di suo fratello, ricambiando la stessa identica moneta provocandogli lo stesso dolore.

Sentii un boato dentro al mio stomaco quando la porta di ingresso si aprì all’improvviso, mi sentivo sospesa in aria come una bolla di sapone. Il rumore della caffettiera insieme a quello delle mie urla crearono un atmosfera lugubre. Prima ci fu uno sparo e dopo un altro ancora. Le giornate all’aria aperta, il rincorrere gli animali nei campi riecheggiavano nella mia mente, ma adesso con le mani ricoperte di sangue capì che era ormai giunta la fine. Un volto vidi, quello di mia madre Carmela.

Pensavo che morisse anche lei, ma fu risparmiata! In questi casi procurare dolore, sofferenza e disperazione è il primo grande obiettivo in chiave di vendetta. Il caffè assunse un odore di bruciato, sicuramente il più amaro che mia madre abbia mai sorseggiato; lo stesso che la vita ti riserva quando decide di strapparti ogni tipo di gusto.

Lorenzo Nifosì

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