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“Neve” di Gabriele D’Annunzio: Poesia sulla purezza della natura

Vivi la suggestiva poesia di Gabriele D'Annunzio che celebra la bellezza e l'ispirazione della neve. Un capolavoro letterario per sognare e riflettere.

Molto spesso la parola neve viene associata alla parola “poesia”. Sarà per l’atmosfera suggestiva che solo un paesaggio imbiancato riesce a offrire.

Sarà per il manto bianco che evoca sensazioni prettamente natalizie, ma una poesia sulla neve è qualcosa di magico, capace di scaldare i cuori ed ispirare autori di ogni tempo.

È il caso di Gabriele D’Annunzio, il quale ha composto una poesia chiamata appunto “Neve”.

Una poesia che definisce un attimo di grazia, di gradevole fusione dell’uomo con la natura, offrendo alla neve vita e personalità.

Un’immagine onirica che prende forma e sostanza offrendo a chi legge la voglia di vivere quell’esperienza. 

Un momento in cui il lettore può fondersi con il paesaggio e la natura, immergendovisi dentro per vivere un attimo di pace e serenità.

Non a tutti piace , ciò non toglie che le sue poesie sono opere da tutelare e condividere.

Scende la neve su la terra madre,
placidamente. E lei bianca riceve
la terra ne’ suoi giusti ozi, da poi
che all’uomo copia di frutti ha partorito.
Guarda il bifolco splendere a’ sudati
campi la neve, mentre siede al desco;
e a lui dal cuor la speme e dal bicchiere
sorride la primizia del vino.
Scendi con pace, o neve; e le radici
difendi e i germi, che daranno ancora
erba molta agli armenti, all’uomo il pane.
Scendi con pace, sì che, al novel tempo,
da te nutriti, lungo il pian ridesto,
corran qual greggia obbedienti i fiumi.

Una poesia sperimentale 

In questa poesia, Gabriele D’Annunzio descrive  la placida discesa della neve sulla “terra madre”, quasi approfittando del momento invernale, durante il quale la terra non “partorisce” frutti.

La neve viene osservata dal guardiano dei boi, il bifolco, ricoprire i campi su cui ha lavorato durante le stagioni precedenti, nella speranza che quei “sudati campi” tornino a portare frutti in futuro.

La neve descritta da D’Annunzio scende in terra quasi come per proteggerla, nell’attesa che ricresca l’erba per nutrire gli armenti, ovvero i buoi, e l’uomo attraverso il sorgere di campi di grano in primavera.

Una neve che, una volta sciolta “al novel tempo”,  darà nutrimento alla terra, su cui “lungo il pian ridesto” torneranno a pascolare buoi e cavalli. 

Questo componimento di D’Annunzio fa parte del libro Isaotta Guttadàuro, ed altre poesie. (Roma, Editrice La Tribuna, 1886), una raccolta di poesie in celebrazione di una favoleggiata Isotta, e su altri simili temi che ne ripetono il tono.

In quest’opera Gabriele D’annunzio si propose il tentativo di abbandonare il modello di poesia romantica confessione di sé.

Sviluppò invece un tipo di poesia puro giuoco parnassiano, di immagini già stilizzate e poetiche, che possiedono la preziosa perfezione delle cose vuote.

Allo stesso tempo, in questo gioco virtuoso D’Annunzio raggiunse un rigore di stile, uno splendore, un impegno di raffinatissima arte.

In questa raccolta, come si evince anche in Neve  l’autore si propose la “semplice e pura ed anche, se si vuole, oziosa esercitazione di stile e di metrica”

La critica all’opera

Di questa raccolta Edoardo Scarfoglio fece su Il Corriere di Roma una parodia intitolata Risaotta al Pomidauro, cosa che suscitò le ire di Gabriele D’Annunzio.

Questi sfidò Scarfoglio addirittura ad un duello all’arma bianca, uscendone con una ferita alla mano.

Scarfoglio era il marito di Matilde Serao.

A partire dal 16 ottobre 1886, Edoardo Scarfoglio pubblica in cinque puntate una serie di liriche riunite sotto il titolo di Risaotto al pomidauro, con lo pseudonimo di Raphael Panunzio.

L’uscita del testo voleva a tutti i costi puntare il dito contro il linguaggio poetico di D’annunzio, canzonandolo in modo intelligente e piccante. 

Se ci pensiamo sembra rivivere alcune dispute presenti oggi nei nostri media.

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