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10 parole della lingua italiana che non si usano più

La lingua cambia ed evolve nel corso del tempo. Capita, quindi, che per le parole nuove che entrano a far parte del vocabolario, ce ne sono altre che cadono purtroppo in disuso

Ogni anno entrano nella nostra lingua neologismi che fanno storcere il naso agli amanti della lingua italiana. Si tratta di parole nate in seguito alle funzionalità dei nuovi social network come “taggarsi” oppure “friendzonare”, o vocaboli stranieri che entrano nel nostro vocabolario sostituendosi alle originali. Espressioni che potremmo benissimo utilizzare nella loro forma italica, come già vi abbiamo parlato in un precedente articolo.

Purtroppo, la conseguenza di tutto ciò è il fatto che ci sono parole che con il passare del tempo sono sempre più cadute in disuso, termini che per molti oggi possono apparire del tutto nuove.

Nella maggior parte delle occasioni, queste parole vengono sostituite nel linguaggio comune da neologismi e termini stranieri che man mano stanno sopravanzando nella frequenza d’utilizzo i corrispettivi vocaboli italiani.

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10 parole italiane che non si utilizzano sempre meno

Vediamo insieme alcuni di questi vocaboli, raccolti da Babbel.com che nella lingua comune sono stati messi da parte e dimenticati. Ve ne vengono in mente altri?

 

Sagittabondo: che scocca sguardi che fanno innamorare. Deriva dalla voce latina sagittare “lanciare frecce” col suffisso aggettivale “-bundus”.

Sgarzigliona: fanciulla prosperosa, avvenente.

Inanità: inutilità, vacuità, che non si accorge degli sforzi.

Sacripante: uomo grande e grosso, briccone.

Pletorico: più numeroso del necessario, eccessivo.

Trasecolare: rimanere sbalordito e sconcertato, allibire.

Bislacco: di chi si comporta in modo strambo.

Smargiasso: persona che si vanta di capacità o imprese inventate o ingigantisce le proprie qualità.

Luculliano: (riferito ai pasti) abbondante e raffinato, lussuoso.

Vattelappesca: chi lo sa, vallo a sapere. Utilizzato di frequente in espressioni d’incertezza, dubbio, ignoranza assoluta.

 

L’importanza di salvaguardare la lingua italiana

Salvaguardare le parole della lingua italiana che utilizziamo sempre meno rientra nel discorso globale relativo alla tutela della nostra lingua madre. Su questo tema abbiamo più volte discusso con l’ex Presidente dell’Accademia della Crusca Claudio Marazzini (sostituito dal 28 aprile 2023 da Paolo D’Achille), il quale ha sempre ribadito l’unicità e l’importanza che la lingua italiana ha avuto e ancora ha per la nostra Nazione.

“Tutti i popoli devono essere orgogliosi della propria lingua, a maggior ragione gli italiani, la cui lingua è lo specchio di una tradizione culturale antica. La lingua madre di una Nazione è come la mamma per un figlio: ognuno deve amarla e non può sostituirla con un’altra in maniera artificiosa.”

Ma cosa rende unica la nostra lingua? Secondo il professor Marazzini la lingua italiana ha un’unicità storica che consiste nell’aver creato un’unità ancor prima dell’esistenza di uno Stato, mentre solitamente una lingua tende a formarsi dopo la creazione di uno Stato politico. ”

Gli italiani hanno avuto un’identità molto forte, raggiungendo in primis la classe dirigente dalla Sicilia fino alle Alpi già molti secoli prima che ci fosse uno Stato politico. Proprio per questo, la nostra è una lingua che ha fatto delle conquiste di pace: tra tutti i paesi europei, siamo quelli con una tradizione coloniale minore rispetto ad esempio a francesi ed inglesi, sintomo di una forte identità culturale interna.”

Nonostante il sempre più frequente uso di neologismi e la tendenza di avere parole italiane che cadono in disuso, per il professor Marazzini una lingua con una tradizione forte come quella italiana non può che stare bene; ad avere “problemi” sarebbero invece gli italiani.

“Recenti ricerche e studi internazionali non ci vedono ai primi posti, esiste un deficit nonostante esportiamo eccellenze a grandissimo livello, abbiamo difficoltà a formare un cittadino italiano medio sufficientemente acculturato. Più si guardano modelli stranieri e si importano nella nostra lingua, peggio andranno le cose.”

 

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