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Giacomo Scarpelli, ”Nel mio libro una versione parodistica de ‘L’isola del Tesoro’ di Stevenson per i più piccoli”

Recuperare un senso favolistico infantile: questo l'intento con cui, afferma l'autore Giacomo Scarpelli, nasce ''Estella e Jim nella meravigliosa Isola del Tesoro'', rivisitazione parodistica del romanzo di Stevenson. Lo storico della filosofia, scrittore e sceneggiatore italiano racconta come questo libro ha preso vita dal lavoro suo e di suo padre Furio, famoso disegnatore – sono sue le illustrazioni del libro – e celebre firma del cinema...

L’autore presenta il suo “Estella e Jim nella meravigliosa Isola del Tesoro”, con illustrazioni del padre Furio Scarpelli

MILANO – Recuperare un senso favolistico infantile: questo l’intento con cui, afferma l’autore Giacomo Scarpelli, nasce “Estella e Jim nella meravigliosa Isola del Tesoro”, rivisitazione parodistica del romanzo di Stevenson. Lo storico della filosofia, scrittore e sceneggiatore italiano racconta come questo libro ha preso vita dal lavoro suo e di suo padre Furio, famoso disegnatore – sono sue le illustrazioni del libro – e celebre firma del cinema, autore insieme ad Agenore Incrocci – il duo Age&Scarpelli – di tante indimenticabili sceneggiature.

Come nasce l’idea del libro?
In origine l’idea mia e di mio padre era quella di fare un cartone animato, poi invece strada facendo abbiamo deciso di renderlo un vero e proprio libro anche per via delle sollecitazioni da parte dell’editore Gallucci, che teneva molto a utilizzare alcuni disegni di mio padre per questa pubblicazione. La prima professione di mio padre era stata proprio quella di disegnatore: cominciò da ragazzino, negli anni Trenta, pubblicando i suoi lavori su giornali umoristici per bambini e poi nel secondo dopoguerra su giornali satirici come il Marc’Aurelio, il Bertoldo o il Don Basilio. Erano anni in cui a quei giornali poté lavorare insieme al giovane Scola, a Fellini, Zacconi e tanti altri. E anche se in seguito si dedicò al cinema, per tutta la vita non smise mai di disegnare. L’ultimo suo lavoro è stato il fumetto “Tormenti”, da cui poi mio cugino Filiberto ha tratto un “film disegnato” che è uscito l’anno scorso, ma prima di morire è riuscito a lavorare molto anche sull’“Isola del tesoro”: io e l’editore abbiamo allora deciso di raccogliere e mettere insieme il materiale in questo libro, che è una rivisitazione parodistica del romanzo di Stevenson, di questa grande avventura di pirati, velieri, oceani, foreste e  tesori. L’intento era proprio quello di recuperare un senso favolistico infantile, di attuare un ritorno all’infanzia nel modo più puro e più serio al tempo stesso, benché si tratti un romanzo comico. Mio padre diceva che l’infanzia è il momento più alto e profondo della vita prima della discesa nella quotidianità: l’infanzia contiene in sé il germe della creatività, che si perde quando si diventa  adulti. E con questo libro volevamo recuperare qualcosa del bambino che è in ognuno di noi. Lui peraltro aveva già scritto un romanzo per ragazzi, “Opopomoz”, per il quale aveva vinto il Premio Elsa Morante per Ragazzi: ne andava fiero, più che di tanti premi cinematografici ottenuti nella sua lunga carriera.

Il libro ripropone tutti gli indimenticabili personaggi di Stevenson e ne introduce anche di nuovi, tra cui in particolare Estella: una voce femminile che mancava in Stevenson…
In Stevenson e in genere in tutti i romanzi di avventura per ragazzi. Le novità di “Estella e Jim” sono sostanzialmente due: oltre alle illustrazioni di mio padre, i personaggi – alcuni rielaborati, alcuni del tutto nuovi. Estella è una ragazzina molto capricciosa e bisbetica, irrequieta e bislacca anche lei come il suo amico, cui vuole molto bene, ma non priva di una sua saggezza: a un certo punto del libro si rivolge a Jim, e sbuffando gli dice pressappoco “voi maschi avete sempre bisogno di sognare, di viaggiare, di uccidere, non state mai fermi”. Non si tratta comunque di un personaggio introdotto ex abrupto nella storia: all’inizio della narrazione interviene una voce femminile, quella di Valentina, cui il papà sta raccontando l’“Isola del tesoro” di Stevenson. La bambina si lamenta che sia una storia solo per maschi, al che il padre decide di aggiungere anche  un’altra protagonista: è questo l’espediente per inserire Estella, che compare fin dalle prime pagine. Una curiosità: il nome di Estella è ripreso da uno dei romanzi preferiti di mio padre e miei, “Grandi speranze” di Dickens. Ma ci sono anche altri personaggi nuovi, improntati a un realismo ironico tipico delle nostre parti – perché abbiamo cercato nei limiti del possibile e del legittimo di “italianizzare” il romanzo. Per esempio tra i marinai dell’Hispaniola c’è il napoletano Zito, anche lui una figura comica. C’è poi il topolino Cook, diventato amico di Jim, che se lo porta sempre in tasta. E naturalmente i personaggi del romanzo originale, alcuni accentuati in senso ironico, come il Capitano Smollett e il Dottor Livesey, complementari figure paterne di Jim, che è orfano, e il naufrago Ben Gunn, che essendo vissuto per tanti anni su un’isola deserta ha avuto una sorta di sdoppiamento della personalità e ha l’abitudine di parlare con se stesso – ma non solo parla, si accalora e si arrabbia anche. Da vecchio pirata che era, quest’ultimo si è trasformato in custode della meravigliosa isola, che in senso morale è essa stessa il vero tesoro della storia, più che i sesterzi e i dobloni del Capitano Flint. E ovviamente non poteva mancare John Silver, il capo della banda dei pirati, ora perfido e terribile, ora umano e ironico, un’anima con due facce – come anche nel romanzo originale del resto, ma qui questo tratto è particolarmente sottolineato. A proposito di doppiezza, si insinua qui un altro dubbio: il tesoro dell’isola di chi è davvero? È dei gentiluomini, come Jim, che però sono già ricchi di per sé, o in fondo anche la banda dei pirati se l’è meritato e può avanzare dei diritti su questo?

È facile immaginare che suo padre Furio abbia contribuito a far nascere in lei, fin da piccolo, la passione per le storie e la scrittura: è così? Può darci qualche suggerimento su come trasmettere questa passione e l’amore per i libri ai più piccoli?
Certamente ha contribuito, e credo a sua volta mio padre abbia ereditato la passione per la scrittura, nata parallelamente a quella per il disegno, da mio nonno Filiberto: anche lui era illustratore, narratore per ragazzi e condirettore del Giornalino della Domenica, il precursore del Corriere dei Piccoli pubblicato all’inizio del Novecento, su cui comparve a puntate il “Il giornalino di Gian Burrasca” di Vamba. La passione per la letteratura per ragazzi nasce in famiglia, è sempre stata presente. Poi mio padre si è trasferito al cinema e ha iniziato scrivendo i copioni per Totò, ma se ci pensiamo bene anche Totò ha qualcosa di infantile. La scrittura, il raccontare sono andati di pari passo con l’intento di tenere collegata la creatività alla sua matrice infantile.
Spesso ai ragazzi vengono imposte le letture, ma non dovrebbe essere così visto che l’arte affonda le sue radici nell’infanzia, e anche la filosofia ben vedere: Platone diceva che questa nasce dalla meraviglia, e la meraviglia è propria del bambino. Se i ragazzini schivano la lettura è perché la vedono come un costrizione. Genitori, insegnanti e anche autori, invece di far cadere dall’alto le loro scelte letterarie, dovrebbero semplicemente “sedersi” accanto ai bambini a raccontare, sia letteralmente sia metaforicamente, dovrebbero mettersi al loro livello.
Forse l’avversione alla lettura dipende anche dal fatto che in Italia non abbiamo avuto una produzione di grandi romanzi pari a quella di altri Paesi. Pensiamo per esempio al caso dei “Promessi Sposi”: sono l’unico nostro grande romanzo dell’Ottocento, per cui viene costantemente riproposto ai ragazzi come lettura obbligatoria, e i ragazzi finiscono per non amarli. Qualcuno ha detto che in Italia nel Novecento il cinema ha sostituito la narrazione: i film scritti da Age & Scarpelli, per esempio, compongono un grande romanzo storico, un affresco della storia d’Italia. Questo respiro è mancato ai letterati.

 

10 gennaio 2013

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