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La famiglia Arezzo, fulcro della vita imprenditoriale nella Sicilia dell’800

Questa sorta di trilogia sul mondo aristocratico della Sicilia ottocentesca si conclude con l'intervista di Tiziana Blanco a chi da anni ha studiato la famiglia Arezzo, l'architetto Giuseppe Nuccio Iacono.

Se nella parte occidentale della Sicilia tra l’Ottocento e i primi del Novecento imperavano i Florio, più in basso, ma solo geograficamente, un’altra famiglia aristocratica lasciò un notevole segno nell’isola, gli Arezzo. Nei due precedenti appuntamenti di Astratti furori abbiamo ampiamente sviscerato quanto realizzato nel ragusano dai baroni Francesco e Corrado; uno spaccato della vita nobiliare di una delle famiglie più importanti della Trinacria.

Non era da tutti, se pur facoltosi e influenti, possedere un castello e realizzare un’industria tessile, un teatro, una linea ferroviaria a pochi passi dalla propria dimora, un enorme labirinto in pietra identico a quello inglese di Hampton Court e un ospedale. Al contempo ricoprire cariche politiche di altissimo prestigio, aiutare il prossimo, viaggiare, organizzare ambitissimi ricevimenti e salotti culturali.

Tutto questo può venir fuori soltanto da quelle menti illuminate, colte, raffinate, di grandi virtù morali, nobili di progènie e d’animo in primis.

Linea ferroviaria nei pressi del Castello di Donnafugata. Foto storica di Giuseppe Leone.
Linea ferroviaria nei pressi del Castello di Donnafugata. Foto storica di Giuseppe Leone.

Il cursus honorum del barone Corrado lo vede tra i rivoluzionari antiborbonici partecipare attivamente all’Unità d’Italia e far parte del Parlamento siciliano e del comitato rivoluzionario dell’isola. Nel 1869 fu eletto deputato della prima legislatura del Regno d’Italia e nel 1861 fu nominato governatore della provincia di Trapani; più volte sindaco di Ragusa inferiore e prefetto di Noto.
Degna di nota è anche l’attività filantropica del barone a sostegno delle persone più bisognose della città alle quali forniva in inverno, periodo in cui c’era poco lavoro, diverse centinaia di pasti al giorno
Grande appassionato di esoterismo a paradigma della caducità della vita espressa in varie forme nel parco del suo castello.

Nella sua sontuosa dimora ospitò tra i tanti Francesco Crispi, il Principe di Camporeale, Domenico Beccadelli e Antonio Starrabba marchese di Rudinì (padre della splendida Alessandra, della quale s’invaghì Gabriele D’Annunzio, nonostante stesse frequentando Eleonora Duse. La giovane dopo varie vicissitudini prese i voti.)

Persino il mausoleo di famiglia annovera dei nomi di spicco nell’arte scultorea, selezionati tra i migliori di fine ‘800, Giovanni Scarfì e Gregorio Zappalà. Il 7 novembre 1908 Ignazia, sorella di Don Corrado, e la nipote Maria Paternò Arezzo in Marullo, ‘inaugurarono’ la cappella gentilizia all’interno della chiesa di S.Francesco all’Immacolata. Il busto di Don Corrado fu realizzato da Gregorio Zappalà. Questo artista siracusano lavorò tra Roma e Messina; in p.zza Navona realizzò gli elementi scultorei attorno al Nettuno centrale (due cavalli marini, sirene e amorini che giocano con i delfini). A Messina riprodusse la maestosa statua cinquecentesca di Nettuno del Montorsoli.

Un tragico destino accomunò lo scultore con la trentanovenne Maria, nipote del barone Corrado: morirono tra le macerie del terremoto del 28 dicembre 1908, poco dopo la cerimonia per il mausoleo.

Maria nel suo testamento olografo del 1900, a dimostrazione del fatto che nonostante avesse raggiunto il marito a Messina non aveva mai dimenticato la sua Ragusa, avrebbe espresso la volontà di donare parte del suo patrimonio per la costruzione di un ospedale. Nosocomio tutt’oggi in attività a Ragusa Ibla, il Maria Paternò Arezzo appunto.

Cappella gentilizia del barone Corrado, la moglie Concetta e la figlia Vincenzina, Ragusa Ibla. Immagini estrapolate dalla tesi di laurea ‘’Chiesa di S.Francesco all’Immacolata’’ di Ambra Tumino
Cappella gentilizia del barone Corrado, la moglie Concetta e la figlia Vincenzina, Ragusa Ibla.
Immagini estrapolate dalla tesi di laurea ‘’Chiesa di S.Francesco all’Immacolata’’ di Ambra Tumino.

 

Il su citato Teatro Donnafugata a Ragusa Ibla da un decennio è diretto dalle due sorelle Di Quattro, Vicky e Costanza, dopo il restauro avviato dal nonno, l’avv.Scucces, nel 1997.

Ma chi da anni è la vera anima di Donnafugata è il prof. Giuseppe Nuccio Iacono, colui che mi ha accompagnata in questa trilogia di articoli conducendo tutti noi in quella affascinante realtà aristocratica fatta di sfarzi, riunioni segrete, balli, metri e metri di tessuti preziosi, politica e tanto altro, frutto di un’assidua ricerca implementata con occhio indagatore affondato dentro le cose.

Architetto, museologo, ricercatore attento, da sempre sollecitato dalla fiamma della curiosità con la quale costruisce la propria conoscenza, coniugata con una vivida progettualità.

Ho a lungo conversato con lui e l’intervista che segue è soltanto un estratto del suo immenso sapere che, con estrema generosità, condivide con chi come lui ama l’arte a trecentosessanta gradi.

 Arch. Giuseppe Nuccio Iacono
Arch. Giuseppe Nuccio Iacono

 

L’intervista a Nuccio Iacono

Lei che, sin dagli anni ’80, si è appassionato alle molteplici vicissitudini della famiglia Arezzo chissà quanti aneddoti avrebbe da svelarci.

Come ci restituirebbe l’immagine, tanto poliedrica quanto carismatica, di quest’uomo risorgimentale?

Da studioso ragusano non potevo non indagare su questa figura illuminata, le cui gesta hanno lasciato segni indelebili in città.  

Il barone Corrado fu un mecenate, un brillante politico e un filantropo. Di considerevole importanza nell’esistenza del barone sono stati il padre, Francesco, e il genero francese, il visconte Gaetan Combes de Lestrade. Dal padre ha ereditato, oltre ovviamente il castello e altri beni meramente materiali, le grandi passioni per l’arte, i viaggi, i libri, il teatro, la musica, la botanica e quanto potesse elevare culturalmente e spiritualmente un giovane aristocratico di metà Ottocento. A proposito di botanica, suo padre fece arrivare dall’orto botanico di Palermo due rari esemplari di ficus senza radici pensili, visibili nel parco, oggi alti oltre trenta metri, dichiarati monumento botanico nazionale.

Sempre suo padre, ai primi dell’Ottocento, fece costruire nei bassi della loro residenza a Ragusa Ibla un delizioso teatro. Con i suoi cento posti è stato annoverato tra i più piccoli teatri europei ed insignito nel 2006 del prestigioso premio Eurispes “Le cento eccellenze italiane”. L’ottima acustica permette di poter evitare i microfoni.

Teatro Donnafugata a Ragusa Ibla. Foto di Tiziana Blanco
Teatro Donnafugata a Ragusa Ibla. Foto di Tiziana Blanco

 

E il visconte francese invece perché è stato importante per Corrado?

L’amicizia con il visconte francese gli tornò utile per i suoi agganci, in quanto ingegnere stimato in Europa e in Italia, anche nelle ferrovie italiane. Conoscenze, quest’ultime, che gli permisero, insieme alle personali influenze politiche (ricordiamoci che il barone era senatore), di realizzare un sogno: nel giugno del 1893 riuscì a far modificare il tracciato della ferrovia nel tratto Ragusa – Comiso in modo da farla passare nelle vicinanze del castello ed avere la propria stazione ferroviaria complementare a 500 metri dal castello, provvista anche di telegrafo. Purtroppo potè godersela poco perché morì due anni dopo.

Il visconte era anche un sociologo, un esteta e scrisse ben trentacinque libri. Gli interessi comuni erano tanti e il caso volle che diventassero pure parenti.

 

Sarà stato piuttosto intraprendente e caparbio. Immagino che la gente del posto non avrà visto di buon occhio questa sua iniziativa, anche perché quella non era una zona tanto popolosa da necessitare di uno scalo proprio lì, in aperta campagna.

Infatti. Il treno che da Siracusa andava a Licata, Canicattì, Caltanissetta faceva sosta al castello, quando invece sarebbe stato più logico passasse da marina di Ragusa dove c’era già lo scalo trapanese, luogo di scambio per le navi che da Trapani portavano qui il sale, mentre Ragusa forniva loro la pietra. Ma evidentemente lui non voleva sentirsi da meno del re delle Due Sicilie, Ferdinando II, che nel 1839 realizzò la Napoli-Portici, la prima linea ferroviaria del paese.

Per il barone far arrivare al castello gli amici in treno era un modo per accrescere il suo prestigio.

 

Contrariamente ai tanti signorotti latifondisti tediati dal dolce far nulla, gli Arezzo hanno sempre lavorato e contribuito al benessere della città di Ragusa, ce ne parli.

Il barone Francesco seguiva personalmente le piantagioni di ben sei qualità differenti di cotone e nel 1859 fondò la Filanda Donnafugata, a Ragusa Ibla. Lì dal cotone grezzo si ricavavano i filati, dando lavoro a ben cinquanta famiglie. Fu chiusa dopo vent’anni, nel 1874.

F

 

Il Figlio Corrado, divenuto in poco tempo uno dei politici più giovani e potenti della Sicilia orientale, ebbe vari titoli onorifici e nel 1865 fu eletto Commissario d’Italia all’Esposizione Internazionale di Dublino. In quella occasione, l’opificio fu anche premiato per i filati della sua filanda, definita all’epoca la Cotton factory dalla guida turistica tedesca Baedeker.

Nello stesso anno fu eletto Senatore del Regno per suffragio.

 Il barone Corrado Arezzo de Spuches
Il barone Corrado Arezzo de Spuches

 

Potrebbe raccontarci come nacque la parentela dai perfetti intrecci romanzeschi con il visconte Lestrade? Singolare come in famiglia sia stato sempre circondato da donne…

Allora, cercherò di accorciare i vari e complessi passaggi. Corrado Arezzo e la moglie, Concetta Arezzo di Trifiletti, hanno una sola figlia, Vincenzina. A soli 16 anni sposa (o diremmo meglio deve sposare) il principe Giuseppe Alvaro Paternò, un ricco vedovo, parecchio più grande di lei; dalla loro unione nasceranno due figlie, Maria e Clementina. Purtroppo il principe decide di lasciare la moglie e le figlie ed escogita un losco piano: chiedere l’annullamento per vizio. Dichiarò in tribunale di essere stato minacciato e costretto a sposare contro la sua volontà la figlia del barone Arezzo, citando anche la minaccia di una pistola.

Da alcuni documenti che ho ritrovato recentemente la storia è piuttosto complicata e differente…

Vincenzina ritrovatasi sola con due bambine in un contesto immaginiamo bigotto e conservatore, cade in una terribile depressione. Lascia le figlie ai nonni e inizia a viaggiare, prima in Italia tra Roma, Venezia, Genova, Firenze, ma poi aggravandosi si stabilisce a Parigi per essere curata dove morirà nel 1888.

Fu proprio l’amico francese, Gaetan Combes delle Lestrade ad essere incaricato a far rientrare la salma della figlia da Parigi. Al rientro dalla Francia conosce le due figlie della defunta e in brevissimo tempo nasce l’amore con Clementina. La giovane era ancora in lutto e sarebbe stato sconveniente sposarsi proprio in quel periodo.

I due innamorati, con la famosa fuitina, decidono di scappare a Malta. Nonno Corrado e qui i racconti ci dicono che, mandò il suo fidato campiere a riportarli al castello e da lì a poco si sposarono. Clementina diede poi alla luce Clara.

 

Clara sposerà il conte Vincenzo Testasecca. Alla loro morte il castello, ereditato dal figlio Gaetano Testasecca, nel 1982 per far fronte ai debiti accumulati e, aggiungerei anche, fatti accumulare da amministratori sprovveduti e non controllati, fu venduto al Comune di Ragusa per un miliardo di lire. Tutte le proprietà ereditate dai Testasecca, da tempo residenti in Francia, vennero vendute nel 2000.

Sono stato contattato dai discendenti, con i quali ho ottimi rapporti, quando tornarono in Sicilia per liberarsi della tomba di famiglia, monumento nazionale di Caltanissetta. Fu doloroso per loro abbandonare ogni legame fisico con la Sicilia.

 

 

Mi parlava di documenti inediti del barone Corrado appartenuti al suo lontanissimo discendente, l’avv. Gabriele Arezzo di Trifiletti, il collezionista. Di cosa si tratta?

Il giovane Corrado si trova a Palermo, a 24 anni fu deputato al Parlamento di Sicilia e fonda un giornale di principi liberali Il gatto. Questa immagine è un esemplare originale.

Il gatto rappresenta i Savoia, il sorcio i Borboni.

Queste pubblicazioni, feuilleton, da lui scritte e dirette, gli valsero la persecuzione Borbonica.

Il Gatto edizione luglio 1848 – Collezione Giuseppe N. Iacono
Il Gatto edizione luglio 1848 – Collezione Giuseppe N. Iacono

 

 

Questa invece è una missiva che Filippo Puglisi scrive da Siracusa dicendo che ha incontrato in città il politico Emilio Bufardeci e, tra le altre cose, che a giorni arriverà a Siracusa il loro caro e amato Francesco Crispi, Ciccio, assicurandogli che lo stesso Bufardeci lo avrebbe accompagnato in visita al Castello di Donnafugata.

La lettera testimonia l’amicizia con Crispi e che lo stesso si era recato più volte al castello, luogo anche di riunioni segrete.

 

 

Lettera che annuncia visita F.Crispi al castello. Collezione privata.

Lettera che annuncia visita F.Crispi al castello. Collezione privata.
Lettera che annuncia visita F.Crispi al castello. Collezione privata.

 

E a proposito di Siracusa lei mi accennava delle assidue frequentazioni, del Lestrade, con nobili aretusei come i Gargallo, i Cocuzza e altri.

Il visconte francese come già detto amava l’arte ed il teatro; approfondendo i miei studi su questo personaggio proprio in Francia sono venuto a conoscenza del fatto che lui, grande amico dei due pronipoti di Tommaso Gargallo, nel 1914 lavorò all’ideazione del primo spettacolo del Teatro Greco di Siracusa, l’Agamennone. Furono loro a convocare Duilio Cambellotti per il primo manifesto teatrale. Poi scoppiò la guerra e dovettero interrompere il tutto.

Un altro episodio, anch’esso inedito ma di cui ho trovato documentazione in Francia, è legato alla scultura in terracotta della fontana che il francese fece posizionare nella vasca antistante la Coffee House, nel parco del castello.

 

 Una grande conchiglia accoglie il gruppo scultoreo di tre putti e una tartaruga. Foto storica di Giuseppe Leone.
Una grande conchiglia accoglie il gruppo scultoreo di tre putti e una tartaruga. Foto storica di Giuseppe Leone.

 

Qual è quindi il legame con Siracusa? Ho letto che Gaetan la vide a Milano e ne acquistò due, una per Donnafugata e l’altra per la residenza francese a Saint Agne. Il suo amico siracusano, il sen. Federico Cocuzza, vedendola la volle anche lui per la villa in cui viveva nei primi del ‘900, Villa Andolina, nel vasto sito in cui è sorto il Museo Paolo Orsi. In tutte e tre le sculture è presente il punzone della ditta Dall’Ara.

Sono stato contattato dalla Sovrintendente di Siracusa e dal restauratore ai quali ho fornito ogni materiale utile per la ricostituzione della scultura.

 

 Gruppo scultoreo in terracotta presso Villa Landolina, Siracusa. Foto di Tiziana Blanco
Gruppo scultoreo in terracotta presso Villa Landolina, Siracusa. Foto di Tiziana Blanco

A breve dovrò tornare in Francia e poi andare a San Pietroburgo, son venuti alla luce degli elementi importantissimi per i miei studi sulla famiglia Arezzo e il visconte Lestrade, non posso non andare e aggiungere tasselli al mio complesso mosaico.

Le ricerche non si concludono mai, piuttosto si evolvono.

 

Leggendo la sua lunga biografia si evince quanto da sempre abbia amato entrare nel profondo delle sue passioni primarie, come ad esempio quella per i giardini.

Ci parlerebbe di un aspetto da lei analizzato su cui si è soffermato maggiormente?

Laureatomi in architettura con un taglio specifico su storia della stessa che include il design, i giardini, le ville, i castelli, ho studiato i giardini, orientali, italiani e francesi, ma questi ultimi mi hanno affascinato maggiormente in quanto veniva facile rapportare quella realtà alla nostra. Basti pensare come nel Rinascimento venivano chiamati nella corte di Fontainebleau gli italiani, Francesco Primaticcio e Rosso Fiorentino, per realizzare decori, pitture, stucchi, giardini, dando luogo al Manierismo internazionale.

Approfondendo le mie ricerche, mosso da una viva curiosità che mi ha sempre contraddistinto, ho scoperto come ad esempio i mercanti banchieri, lucchesi, fiorentini e genovesi, abbiano avuto in Francia una forte influenza nei più svariati settori.

 

Lione per l’importanza delle sue Fiere e per la Loggia del Cambio era il crocevia dei mercati internazionali e qui si riunivano i mercanti-banchieri in consorterie dette “Nazioni”, il fiorino aveva un discreto potere.

Gli artisti vi si recavano per presentare ai banchieri progetti, schizzi; pagavano una quota in deposito e confidavano di trovare un mecenate che sovvenzionasse gli eventuali lavori. I più fortunati, come Rosso Fiorentino, venivano piazzati nei castelli ed iniziavano subito a lavorare, altri invece meno fortunati non trovando chi sovvenzionasse i loro progetti e non avendo più i mezzi per rimanere in Francia, erano costretti a lasciare i loro disegni ai mercanti i quali, spesso, li vendevano a loro volta facendo realizzare ad altri chiese, palazzi, ville.

I Bonvisi erano esperti in questo campo.

Anche un ramo dei Medici viveva a Lione. La nazione altro non era che una consorteria nella quale vivevano i lucchesi, i genovesi, etc. ed ognuna aveva la sua chiesa.

Ed ecco che io mi sono andato a cercare quali fossero queste chiese e quali i palazzi e le ville extraurbane. In fase di ricerca ho trovato nei vari archivi anche i disegni antichissimi di una chiesa con cappelle di puro stile rinascimentale fiorentino, sempre a Lione. Questa chiesa che fu detta dell’Observance, purtroppo oggi non esiste più.

Nel caso della scomparsa Chiesa della Nazione Fiorentina detta des Jacobins, oggi al suo posto troviamo una delle maggiori piazze lionesi. della sua gloriosa storia oramai cancellata dal settecento resta solo il nome nella piazza. Cosa che ha creato confusione con il partito dei Giacobini rivoluzionari. Per questo, insieme al Comune e alle Associazioni e all’archivio dipartimentali abbiamo fatto posizionare una lapide (chiarificatrice sulla memoria storica) nel luogo esatto in cui si trovava la chiesa.

 

Quindi potremmo dire che mentre in Italia alla fine del ‘400 nacquero i monti di pietà e poi i banchi di cambio, a Lione qualche lustro più tardi queste figure dei potenti mercanti banchieri gettano le basi di quelle che saranno le prime banche.

Ma si sono anche occupati di politica, vero?

Ho scoperto che la ricca famiglia fiorentina dei Guadagni esiliò a Lione nel Quattrocento e un secolo dopo Tommaso Guadagni, mercante banchiere, realizzò grandi fortune sempre con gli artisti e le dinamiche di cui sopra. Per il Vasari fu colui che commissionò per la sua cappella gentilizia di Lione il dipinto dell’Incredulità di San Tommaso, di Francesco Salviati, oggi al Louvre nella stessa sala della Gioconda.

 

Ma il suo colpo di genio fu quello di, con scaltrezza e lungimiranza, prestare alla corona francese la somma di cinquantamila ducati per il riscatto del re Francesco I, caduto prigioniero di Carlo V a Madrid. Naturalmente con questa mossa entrò nelle grazie del re che lo ricoprì di privilegi.

Introdusse in Francia Caterina dei Medici che Francesco I fece sposare al suo secondogenito, Enrico.

La giovanissima fanciulla ebbe l’onore di mescolare il proprio sangue di mercanti-banchieri e mecenati con quello dell’alta aristocrazia di Francia. E subito al seguito di Caterina entrarono nelle stanze del potere sia politico che economico e religioso una schiera di personaggi e famiglie provenienti dalla toscana che presto si francesizzarono (Gondi-Panciatichi-Gucciardini).

Tommaso Guadagni, per le sue ricchezze e le sue prodezze fu denominato il Magnifico.

 

Ed ecco fortificato il legame tra l’Italia e la Francia, anche perché era inevitabile che gli italiani conducessero con loro sarti, cuochi e quanto contribuirà a diffondere lo stile italiano.

E le sue ricerche cos’altro le fanno scoprire?

Intanto gli italiani porteranno con sé anche quel gusto che fu noto come “Vivre à l’italienne” e quindi anche il piacere di banchettare assistendo a pièce teatrali dove le scenografie avevano sempre il gusto rinascimentale italiano. Così anche le effimere scenografie delle entrate reali furono anche il mezzo per introdurre i principi e lo stile fiorentino nei dettagli decorativi e nelle composizioni architettoniche (non a caso anche il grande architetto bolognese Sebastiano Serlio lavorò molto sulla teoria a Lione). Ovviamente ho approfondito quel settore.

 

Un lavoro che mi ha dato tanta soddisfazione, nel 1998, è stato quello di seguire le tracce del Tour Royale, cioè il giro delle città che i regnanti facevano di anno in anno per consolidare il loro potere.

Sono riuscito a risalire ad una villa fuori Lione con tantissimi ettari di parco, caduta in rovina, appartenuta proprio alla famiglia Guadagni e della quale erano visibili soltanto dei ruderi.

Venni a sapere che la Regione voleva demolire tutto per realizzare dei campi da golf. Insieme ad alcune associazioni del luogo riuscimmo a dimostrare la valenza del sito e a far bloccare i lavori. Già da anni hanno consolidato e recintato le rovine, riutilizzando l’antica limonaia, rendendo così quel parco fruibile per manifestazioni culturali, pic nic, sport all’aria aperta.

 

Ha pensato di rendere pubbliche queste sue ricerche?

Nel 2000 ho pubblicato il libro Les marchands-banquiers Florentins et l’architecture à Lyon au XVI siècle edito da Publisud-Paris con il patrocinio del Crédit Commercial de France e l’Associazione Lugdunum Florentia.

Contestualmente ho tenuto il ciclo di conferenze: Influenze dell’architettura fiorentina nella Francia del Rinascimento, tenutesi presso il Musée historique di Lione, Consolato Italiano a Lione, Prefettura e varie istituzioni.

 

Ognuno di noi, nell’arco temporale della propria esistenza, si avvicina a persone che si riveleranno fondamentali nel percorso lavorativo e umano, lei ne ha incontrate nel suo?

Nel periodo in cui la sete di sapere mi divorava, mosso sempre dal costante principio che se non vai a fondo nelle cose resti intrappolato nella morsa della superficialità e della mediocrità, ho voluto circondarmi di persone dalle quali apprendere il più possibile.

Tra Firenze e Lione, durante e dopo gli studi, ho infatti intessuto una rete di contatti sostanziali, sia a carattere formativo che umano. Se metaforicamente volessi associare la mia preparazione attuale ad una collana di perle, tutte importanti, preziose e diverse tra loro, ciascuno di loro ha rappresentato una ‘perla’.  Con ognuno si instaurava un rapporto di stima reciproca che esulava dall’ambito delle ricerche o del lavoro, tanto che con molti, se ancora in vita, ci si sente e ci si confronta tuttora.

Uno da cui ho imparato tanto è stato il prof. Eduard Le Jeune, aveva la cattedra di terapia polmonare a Lione; era anche uno storico che conduceva ricerche sugli studi anatomici di Leonardo da Vinci riportando i risultati sulle opere d’arte pittoriche e scultoree. Grazie a lui ho approfondito vari temi sulle committenze dei mercanti banchieri italiani.  

Grazie a Mathieu Meras consulente storico al Louvre, responsabile degli archivi municipali storici del sud della Francia, ho avuto accesso agli archivi per le mie ricerche sui mercanti banchieri e sulla storia dell’architettura e dei giardini; lo stesso con Jean Jacques Renauld mecenate studioso di architettura e museologia che comprò una fortezza in cui ha creato una struttura, Forte de Vaise, per artisti che lì soggiornavano e producevano opere.

Con loro ed altri, a Lione, ci si riuniva in un salotto letterario e si discuteva di teatro, di pittura, di giardini e dei molti interessi comuni.

A Firenze, alle riunioni, nel palazzo della principessa D’Ardia Vivarelli Caracciolo Colonna, ho conosciuto il prof. Gabriele Morolli, illustre storico dell’architettura e l’ebreo Misha ben Levy che mi introdussero negli studi della cabala e dell’esoterismo sempre legato all’arte dei giardini.

 

L’incarico di direttore fa sì che lei, con le sue competenze, possa conciliare rigore filologico e attenzione al nuovo.

Come lei a ragione sostiene, un museo non può chiamarsi tale se non è accessibile a tutti. Cosa manca ad oggi al MUDECO affinché questo diventi realizzabile?

Al Mudeco si entra in una dimensione nella quale il presente chiama il passato per aprirsi al futuro.

E proprio perorando la causa che un museo non aperto a tutti e non visitabile da tutti non è un vero museo, sono in cantiere parecchi progetti riguardanti le categorie più fragili.

Sono state già realizzate delle visite guidate per non vedenti prettamente sensoriali e numerosi laboratori didattici per bambini. Ma abbiamo presentato molti altri progetti atti a poter realizzare concretamente quanto serve per poter accogliere tutte le diversità, come ad esempio l’inserimento del sistema di lettura e scrittura tattile a rilievo, Braille, per non vedenti e ipovedenti. Attualmente non vi sono barriere architettoniche, ma si sta pensando comunque ad un miglioramento degli spazi con nuove tecnologie, anche per chi ha difficoltà cognitive.

Un altro fiore all’occhiello del museo è l’aspetto didattico formativo che ho voluto fortemente sin dall’inizio. Collaborazioni con accademie, università e centri studi di tutta Italia.

Ho lasciato libere tre sale proprio per dedicarle ad eventuali mostre di stagisti e giovani stilisti.

Che i giovani vengano a Donnafugata ed entrino al Mudeco soltanto per ammirare gli abiti non ha senso. Oggi spazi come questo devono essere fruiti come luogo di aggregazione e centro di studi culturali. Una apertura verso il mondo del costume a trecentosessanta gradi.

Ho anche guidato delle classi delle superiori, alternanza scuola-lavoro, a creare abiti dalla foggia antica ma con tessuti contemporanei. Anche i bambini trovano uno spazio in cui poter esternare la loro creatività.

N 2

 

 

 

“Se i grandi non riescono a diventare piccoli non potranno mai crescere” diceva il mio grande maestro Mathieu Méras, museologo e direttore degli archivi dipartimentali di Lyon. Era una frase che anticipava una nuova e moderna disciplina museologica: la didattica museale.
Io amo follemente i bambini, da loro imparo tantissimo, dal loro stupore di chi sa ancora sognare e immaginare oltre e altro…
Un museo ben coordinato può diventare un ponte generazionale tra noi adulti e i bambini, futuri adulti consapevoli e sensibili al bello.
Una giornata al Mudeco come un jour fiabesque, avrebbe detto il Visconte Lestrade!

Abbiamo detto che il Mudeco nasce grazie alla acquisizione da parte del comune di Ragusa di una parte della collezione Arezzo Trifiletti, come nasce il sodalizio tra lei e l’avv. Gabriele?
Inizialmente la nostra era una semplice conoscenza a distanza, si sapeva l’uno dell’altro, degli interessi comuni, ma null’altro.
Attraverso suoi appelli sui giornali e i social appresi della sua intenzione di cedere la parte vincolata dalla Regione Sicilia e feci da tramite con l’amministrazione comunale di allora. Il sindaco Piccitto e la sua giunta si mostrarono da subito favorevoli e avvenne quello sappiamo.
Dalla iniziale riconoscenza per il mio interessamento pian piano nacque una forte amicizia fondata sulla immensa stima reciproca e l’amore comune per la storia del costume, prevalentemente siciliano.
Man mano che arrivavano e vari elementi della sua collezione, io allora incaricato come esperto culturale di Donnafugata, controllavo i vari pezzi, siglavo, inventariavo; Gabriele era presente e di volta in volta ci si confrontava, mi raccontava la storia di certi abiti ed in poco tempo divenimmo amici fraterni. Lo andavo a trovare quando in estate da Palermo veniva a marina di Ragusa, a Castellana, e si chiacchierava fino a notte fonda.

Immagino che tra una colazione di lavoro e l’altra prendesse forma l’idea, divenuta poi realtà, di creare un museo che custodisse quel patrimonio.
Proprio così, il sogno di Gabriele era proprio quello, ma allo stesso tempo temeva che, date le lungaggini della burocrazia in Sicilia, il museo si realizzasse chissà quando e nel frattempo i ‘’suoi figli’’ ammuffivano in qualche magazzino.
Io allora proposi all’amministrazione comunale di realizzare delle mostre tematiche a rotazione, sulla Belle Epoque, sull’Ottocento, in modo da far intanto veicolare l’immagine della sua collezione ed iniziare così a suscitare la curiosità di appassionati della storia e della identità del mondo aristocratico e Gabriele ne fu felicissimo.
Nutriva la massima fiducia nei miei confronti, sapeva che tutti i suoi pezzi, dal più semplice al più raro avrebbero ricevuto la massima cura. Naturalmente quando nel settembre del 2020 fu inaugurato il Mudeco la nostra gioia fu incontenibile.

A tal proposito scrisse:
“Considerazioni semplici di un giorno a Donnafugata.
Inimmaginabile pensare che tutte le donne o gli uomini che hanno indossato nel tempo potessero pensare di rivivere con le loro forme, con il loro vezzi o gusto nei saloni di questa magica storia. E dal buio di bauli solitari, dall’anonimato del silenzio del tempo e dei ricordi oggi potessero ritornare alla luce.
Ed è anche per me una esperienza strana percorrere queste stanze dedicate alla mia collezione, ai “miei figli” oggi, per poi andare via in silenzio e considerare che altri nel tempo attraversandole parleranno di me e del mio amore per loro.
Ed è strano come se uscendo in cortile io lasciassi dentro la parte migliore della mia ombra, della mia vita, tutto per un semplice quando e così sarà, sin quando si estende nel tempo il sempre…”

L’intellettuale Iacono come impiega il tempo libero?
Si dedica al suo adorato giardino, scrive, studia, viaggia e… dipinge!

 La ciliegia Donna senza ventaglio
La ciliegia                                                                                   Donna senza ventaglio

 

 Tabella esplicativa del parco di Donnafugata realizzata ad acquarello dall’ arch. Iacono.
Tabella esplicativa del parco di Donnafugata realizzata ad acquarello dall’ arch. Iacono.

Astratti furori a cura di Tiziana Blanco

Tiziana Blanco intervista Nuccio Iacono
Tiziana Blanco intervista Nuccio Iacono

Questa rubrica darà occasione a quei siciliani che si muovono nell’ambito culturale, vivendo nella loro terra o altrove, di raccontarsi e mostrare quella sfera privata fatta di incontri, ricordi, famiglia, letture, viaggi, riflessioni. Delle chiacchierate con scrittori, musicisti, giornalisti, pittori, fotografi, che hanno dato e hanno voglia di continuare a dare ancora tanto alla loro Sicilia, se pur tra mille ostacoli…

 

E se Elio Vittorini in Conversazione in Sicilia con la sua ‘quiete della non speranza’ scriveva:

‘’Ero in preda ad astratti furori. Ero come se non avessi mai saputo che cosa significa esser felici, come se non avessi nulla da dire, da affermare, negare, nulla di mio da mettere in gioco, e nulla da ascoltare, da dare …” a me piace ribaltare quella visione. Darò a quei furori un’accezione squisitamente positiva, tramutando quel concetto negativo in un acceso impalpabile fermento, intangibile ma vivissimo in molti di noi e intorno a noi.

La Sicilia è stata per molti secoli uno dei luoghi di nascita del pensiero, della scienza e dell’arte, in una parola: della cultura dell’occidente. Ma anche luogo di incontro e di scambio di questa cultura con quella di civiltà diverse. Alla corte del re Federico II di Svevia, a Palermo, si ebbe una fioritura culturale mai vista prima.

L’elenco di coloro che dall’inizio del novecento in poi hanno portato la Sicilia nel mondo, da Pirandello a Guttuso, da Tomasi di Lampedusa a Zichichi, sarebbe lunghissimo e pleonastico.

Bertolt Brecht asseriva che tutte le arti contribuiscono all’arte più grande di tutte: quella di vivere.

Io aggiungerei e quella di raccontare ciò che si è vissuto…

 

 

 

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