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Il Castello di Donnafugata, una residenza nobiliare tutta da scoprire

In questo appuntamento di Astratti furori Tiziana Blanco ci conduce presso il Castello di Donnafugata a Ragusa e nel suo misterioso giardino esoterico.

In questo appuntamento di Astratti furori ci addentreremo nel Castello di Donnafugata e nel suo misterioso giardino esoterico. Prossimamente vi parlerò del museo del costume ad esso annesso, del barone Corrado Arezzo e del Visconte Combes de Lestrade e discendenti, della storia e della cultura della vita aristocratica italiana e d’oltralpe, e converserò con Giuseppe Nuccio Iacono, colui che lega il tutto a doppio filo (locuzione quanto mai calzante, vedrete) con estrema perizia, passione e determinazione.

Il Castello di Donnafugata

Una mattina di questa estate rovente mi sono recata al Castello di Donnafugata, immerso nella splendida campagna iblea, ad una ventina di chilometri da Ragusa, tra una rete di muri a secco che cingono campi con maestosi e sinuosi carrubi. Conoscevo già bene la zona, ma ogni visita non è mai uguale ad un’altra: stagioni diverse, sensazioni differenti.

Ci sono soltanto io, cammino tra quelle che erano le botteghe e gli alloggi di massari e maestranze, la terra bianca sottilissima s’innalza al mio passaggio impolverandomi i sandali. Un timido venticello si insinua tra i capelli caldi di sole. In campagna il silenzio non è mai silenzioso: si odono cani abbaiare in lontananza, cinguettare gli uccelli e qui anche muggire le mucche. Odore di fieno e stallatico. Non c’è silenzio più bello! Rumori e colori come balsamo per l’anima. Cesare Pavese diceva che la campagna è un paese di verdi misteri, e qui se ne celano tanti.

Avvicinandomi all’ingresso che dà sull’ampia corte interna, socchiudo gli occhi e immagino di sentire echi di quel vociare confuso degli ospiti del barone Corrado Arezzo persi in discussioni politiche fino a tarda notte; odore dei fumi di pipe e sigari proveniente dal fumoir e delle candele appena spente con gli spegnimoccoli.

Profumo di gelsomino e di zagara, di succulente pietanze servite in interminabili banchetti. Ronda di camerieri in livrea, fruscio di grandi gonne, note distanti di pianoforte.

Quasi come nell’incipit de Il Gattopardo in cui Tomasi di Lampedusa fa iniziare il suo romanzo con i brusii che riprendono dopo essere stati interrotti dal rituale quotidiano del rosario recitato dalle donne del palazzo:

‘’Adesso, taciutasi la voce, tutto rientrava nell’ordine, nel disordine, consueto. Dalla porta attraverso la quale erano usciti i servi, l’alano Bendicò, rattristato dalla propria esclusione, entrò e scodinzolò. Le donne si alzavano lentamente…’’

Il bip di notifica di un messaggio nel telefonino mi riporta alla realtà.

Il Castello

Ho iniziato a pensare di scrivere del castello di Donnafugata verso giugno. Avrei dovuto conversare con altre due persone prima, ma per una serie di circostanze ho dovuto cambiare scaletta ed iniziare adesso a documentarmi sul castello e chi vi sia legato. Son venuta a sapere, per puro caso, che la serata inaugurale dell’antica struttura, chiusa da anni per restauro, fu affidata al maestro Franco Battiato. Concerto epico, indimenticabile per i ragusani e gli ascoltatori (non amava si definissero fans) accorsi da tutta la Sicilia. Parliamo del giugno 2002. Esattamente vent’anni dopo, mi ritrovo a parlare di quella suggestiva dimora che sin da ragazzina mi attraeva oltremodo. Niente è per caso, dicono i saggi!

Mi è stato raccontato che Battiato, da raffinato intellettuale quale era, ad un certo punto tra un brano e l’altro, rivolse lo sguardo alla sua destra e fissò la luna nuova, poi rivolgendosi ad un ragazzo a caso del pubblico disse: ‘’Luna crescente, primo quarto: ti po tagghiàri i capiddi!”. La battuta suscitò un applauso scrosciante. Il maestro si riferiva ai campieri del barone Corrado, e non soltanto a loro, che solevano recarsi dal barbiere del paese una volta al mese. Un rimando alla tradizione e alla scaramanzia ottocentesca che univano al ciclo della luna le vicende terrene dell’uomo.

In fondo la saggezza popolare tende tutt’oggi ad attribuire molti poteri alle fasi lunari.

 Franco Battiato – Manlio Sgalambro. Donnafugata 2002. Foto di Antonio La Monica Franco Battiato – Manlio Sgalambro. Donnafugata 2002. Foto di Antonio La Monica
Franco Battiato – Manlio Sgalambro. Donnafugata 2002. Foto di Antonio La Monica
Franco Battiato – Manlio Sgalambro. Donnafugata 2002. Foto di Antonio La Monica
Franco Battiato. Donnafugata 2002. Foto di Antonio La Monica

L’origine etimologica di Donnafugata è araba. Furono gli arabi infatti a denominare il sito Aian as iafaiat, Sorgente di salute, per via della vicina fonte di acqua salutare.

Assolutamente inconcludente la leggenda della donna ‘fuggita’, la regina Bianca di Navarra, dalle grinfie del conte Cabrera, in quanto le stanze del piano nobile del castello furono realizzate secoli dopo quegli accadimenti. Lo stesso dicasi per la presunta scena del Gattopardo girata al castello che al contrario di ciò che si pensi fu girata in altra location.

In una lettera che Giuseppe Tomasi scrisse al barone Enrico Merlo di Tagliavia: Donnafugata come paese è Palma, come palazzo è Santa Margherita. Palma di Montechiaro è il luogo d’origine del titolo feudale della famiglia Tomasi di Lampedusa, mentre Santa Margherita Belice è il luogo in cui lo scrittore trascorreva l’estate da bambino.

 riproduzioni di incisioni del primo Novecento. Archivio storico di Michelangelo Blanco
riproduzioni di incisioni del primo Novecento. Archivio storico di Michelangelo Blanco
 riproduzioni di incisioni del primo Novecento. Archivio storico di Michelangelo Blanco
riproduzioni di incisioni del primo Novecento. Archivio storico di Michelangelo Blanco

Nei secoli, da masseria fortificata a casino di villeggiatura, i rimaneggiamenti sono stati tanti, passando da una famiglia all’altra. Nel 1648 il nobile Vincenzo Arezzo La Rocca acquistò la tenuta di Donnafugata da Guglielmo Bellio de Cabrera, ma la facciata neo gotica attuale la si deve ai coniugi Combes de Lestrade, Gaetan e la moglie Clementina, nipote del barone Corrado.

Fu demolita la grande bifora centrale per dare una continuità nei collegamenti interni e si unirono gli ambienti del primo piano, mentre nel secondo piano fu inserito il loggiato con archi tribolati che richiama il Palazzo dei Papi di Viterbo.

Un adorabile pastiche eclettico!

Dall’ampia corte interna, una scalinata in pietra pece porta al piano superiore; delle 122 stanze, divise in piano terra per la servitù e piano nobile, se ne visitano oggi circa 22 e tutte con arredi originali del tempo. In un’intera ala del castello sono in corso lavori di ristrutturazione.

Nel piano nobile si susseguono ambienti eleganti con arredi più o meno sontuosi, in base alla tipologia e la destinazione d’uso. Una grande sala degli stemmi raccoglie, dipinti sulle pareti, circa 750 blasoni di tutte le famiglie nobili siciliane. Troviamo poi un’enfilade di stanze e saloncini dai colori e arredi differenti; le sale del vescovo in rosso e quella con lucernaio che funge da entrèe in azzurro, tutte con complementi d’arredo pregiatissimi. Seguono la sala da biliardo, la stanza della musica, il fumoir, la biblioteca con oltre dieci mila volumi, la quadreria e camere da letto per ospiti e proprietari. Nel famoso salone degli specchi è possibile ammirare un raro fortepiano a coda, primo ‘800 viennese, della Conrad Graf.

Il parco di Donnafugata

Nata in Inghilterra alla fine del Seicento, si diffonderà in gran parte d’Europa una nuova tendenza per l’architettura e i giardini inglese delle dimore importanti. John Milton nel Paradise lost descriveva quel mitico giardino completamente diverso da quello della tradizione biblica o medievale, facendolo diventare un luogo dove la natura trionfava in tutta la sua spontanea e rigogliosa bellezza senza essere sottoposta alle regole del giardinaggio:

‘’…e i fiori tutti, di quel loco degni anzi del cielo? In brevi aiuole e gruppi non ordina colà difficil arte quelle piante e que’ fior, ma in colle, in valle, in pian con mano liberal gli spande l’alma natura, e dove il sol percuote co’ novelli suoi rai gli aperti campi, E dove imbruna impenetrabil ombra. In sull’ore più calde i bei recessi. Tal era e varia e maestosa e schietta del loco la beltà!’’

E il poeta e pittore inglese William Blake:

“…quando l’aria si mette a ridere col nostro spirito folletto, e ride di quel chiasso il verde colle; quando di vivo verde i prati ridono e la cavalletta ride in mezzo a quell’allegria…”

Entrambi entusiasti per una gioia probabilmente manifestatasi in una natura libera, non repressa da rigorose potature, come quelle rinascimentali ad esempio. Da qui il giardino all’inglese, naturale, movimentato, libero, ma mai incolto.

Un personaggio al quanto geniale fu l’architetto e scrittore Horace Walpole, inventore del romanzo gotico. Nella sua proprietà londinese, nel 1750, trasformò l’abitazione preesistente in un castello di stile gotico e realizzò un parco sul fiume. Walpole fu uno degli iniziatori dello stile detto Gothic revival, neo-gotico, che avrà un grande successo in architettura durante tutto l’Ottocento e che darà l’avvio a importanti processi di trasformazione dell’arte e dell’artigianato. Di fondamentale rilievo per questa nuova visione dei giardini sarà l’ufficialità della massoneria nel 1717, a Londra, e con essa la nascita di alcuni giardini esoterici.

Palermo è al passo dei tempi nel gusto del Gothic revival, grazie ai neogotici progetti del figlio di Giuseppe Venanzio Marvuglia, Emanuele, intorno al 1830. L’internazionalizzazione di Palermo al sorgere del nuovo secolo è un fatto compiuto. Una cultura laica e umanistica produce opere di rilevante valore; tanto si deve ai funzionari borbonici durante il lungo regno di Ferdinando IV. Veniva a conformarsi una ‘moda’ che univa letteratura, architettura, filosofia, musica.

Francesco Paolo Palazzotto realizza un piccolo tempio monoptero circolare nel giardino romantico del parco dei conti Mastrogiovanni Tasca d’Almerita a Palermo, nel 1875. Allegorie, simbolismi, mitologie iniziano a convivere con i temi massonici con una valenza iniziatico-esoterica.

E considerato il forte legame degli Arezzo con Palermo, qualcosa filtrava anche a Donnafugata: la trasformazione di un baglio fortificato in residenza neogotica prendeva l’avvio ancor prima della metà del secolo. Il barone Corrado Arezzo vedendo personalmente il labirinto di Hampton Court (del 1690) fuori Londra, volle assolutamente farne fare uno simile a Donnafugata.

L’esoterismo, tema controverso, spesso confuso dai non colti con messe sataniche, magia nera e affini, ha delle sue verità che non tutti sono destinati ad accogliere. Si è sempre preferito nasconderne i princìpi col mistero delle parole e con il velo delle allegorie. Basterebbe semplicemente ricordarsi che in greco esoteros significa interiore e che quindi d’altro non si tratta che di ricercare sempre e comunque la parte più profonda e velata di noi stessi e delle cose, ri-velare.

Un palese richiamo alla riflessione, alla interiorità. E su questo principio si fondono tutti gli elementi del parco del castello di Donnafugata: in un’apparente spensieratezza è insito un mondo che ha la potenzialità di incidere sull’immaginario di chi osserva, pronto a rivelarsi a chi saprà vedere oltre.

Parco di Donnafugata

Il parco di Donnafugata è vasto circa otto ettari. Tra i pezzi più singolari che lo compongono, di non tanto celata natura, troviamo due sfingi, posizionate ai lati della scalinata che porta al terrazzo, in alto. Mentre alla base della gradinata due leoni. La sfinge simboleggia la guardiana che invita il visitatore, con sorrisetto di sfida, a risolvere l’enigma del labirinto. Il leone, simbolo di coraggio, potere supremo, nobiltà, orgoglio, rappresenta la soglia oltre la quale l’uomo invade il confine della natura. Chi si accinge ad addentrarsi nel parco troverà la conoscenza di sé, il mito e la ragione che lo aiuteranno a trovare se stesso.

Parco di Donnafugata

Ricca di simbologia è anche la collina dell’Arcadia, voluta dalla figlia Vincenzina vista durante un suo viaggio a Genova. Corrado Arezzo vi fece realizzare un tempio circolare e una piccola grotta attigua. Il tempietto è costituito da otto colonne che sorreggono la cupola, all’interno la volta celeste, dove una spirale di stelle su cielo blu si eleva verso la luna. Quindi ascesa verso l’alto, purificazione dello spirito. Finalità estetiche ed etiche.

Il numero 8 simboleggia la perfezione ed il suo simbolo rappresenta il perpetuo e regolare corso dell’universo. Molte fonti battesimali e strutture di battisteri hanno forma ottagonale. 8 i petali del loto, fiore della purezza. Otto numero palindromo.

La grotta invece, riprendendo la famosa caverna del mito di Platone, aveva la funzione di rigenerare l’ospite il quale, oltre a rinfrescarsi dallo scirocco estivo, aveva anche occasione per meditare e uscirne come rinato. Cum luce salutem, con la luce la salvezza.

Dall’ampia corte interna, una scalinata in pietra pece porta al piano superiore; delle 122 stanze, divise in piano terra per la servitù e piano nobile, se ne visitano oggi circa 22 e tutte con arredi originali del tempo. In un’intera ala del castello sono in corso lavori di ristrutturazione.

Nel piano nobile si susseguono ambienti eleganti con arredi più o meno sontuosi, in base alla tipologia e la destinazione d’uso. Una grande sala degli stemmi raccoglie, dipinti sulle pareti, circa 750 blasoni di tutte le famiglie nobili siciliane. Troviamo poi un’enfilade di stanze e saloncini dai colori e arredi differenti; le sale del vescovo in rosso e quella con lucernaio che funge da entrèe in azzurro, tutte con complementi d’arredo pregiatissimi. Seguono la sala da biliardo, la stanza della musica, il fumoir, la biblioteca con oltre dieci mila volumi, la quadreria e camere da letto per ospiti e proprietari. Nel famoso salone degli specchi è possibile ammirare un raro fortepiano a coda, primo ‘800 viennese, della Conrad Graf.

Labirinto foto anni '80 di Giuseppe Leone
Il Labirinto, foto anni ’80 di Giuseppe Leone

L’elemento più affascinante del parco è senz’altro il labirinto, pirdituri; di pianta trapezoidale e multicursale come quello inglese, ma in pietra. Potremmo affermare che ufficialmente era stato creato come divertente grattacapo per fare addannare gli ospiti. In fondo il barone Corrado era noto per la sua ironia, tangibile negli scherzi della chiesetta col manichino-automa che sbucava all’improvviso aprendo una porta con saio monacale, o dei getti d’acqua che sorprendevano gli amanti nel sedile in pietra semicircolare.

Ma non possiamo escluderne il lato esoterico: noi esseri finiti e limitati alla ricerca del plus ultra, dell’infinito. E proprio nel labirinto multicursale si può raggiungere il centro, l’illuminazione, seguendo più di una strada, i camminamenti ciechi, la perdizione. Quindi per raggiungere l’uscita, la purificazione, non esiste un solo percorso giusto ma diverse opzioni.

Come tutti i castelli d’Europa che da sempre ispirano la nostra fantasia, mi piace continuare a pensare Donnafugata come luogo ammantato di mistero, segreti, congiure, rivelazioni, fatti veri o verosimili, in una bolla sospesa di eternità.

ZZ

Un gattino mi accompagna al calesse, ops, alla mia macchina. Il viaggio nel tempo si è concluso, ma quella deliziosa, sinestetica, vertigine non mi abbandonerà facilmente…

Il Mudeco

Nella seconda parte del ‘racconto’ sul Castello di Donnafugata vi parlerò del Mudeco, il museo del costume in esso ospitato. Abbiamo ammirato gli interni del castello e appreso dei vari passaggi che lo hanno reso quello che è oggi. L’architetto Iacono ci illustrerà come nasce il museo ed i preziosi pezzi che contiene.

Tiziana Blanco

tiziana blancoTiziana Blanco è nata a Siracusa nel 1968. Ha studiato fotografia allo IED di Roma e da un trentennio si occupa di fotografia a trecentosessanta gradi. Ha iniziato come fotoreporter per il Giornale di Sicilia, ha insegnato sei anni teoria e tecnica della fotografia all’Accademia di Belle Arti “M.Minniti” di Siracusa e realizzato delle mostre tra Ragusa, Siracusa, Venezia ed Emirati Arabi.

Una fotografa con la passione della scrittura e la letteratura noir d’oltralpe.

La curiosità è il focus del suo mondo, osservare quanto la circonda e raccontarlo con le immagini o con le parole, anzi le ‘conversazioni’.

 

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