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“Per Giovanni Falcone”, una poesia di Alda Merini sulla lotta alla mafia

Pochi giorni dopo la strage di Capaci, Alda Merini scrisse "Per Giovanni Falcone", una poesia dedicata al giudice e alla sua strenua lotta alla mafia

Vogliamo ricordare Giovanni Falcone e il suo impegno alla lotta alla mafia attraverso i versi di Per Giovanni Falcone, la poesia scritta da Alda Merini in onore del magistrato palermitano e alla lotta alla mafia. La poesia esce nel volume “Ipotenusa d’amore“, edito da La vita felice nel 1994. 

Nella strage di Capaci furono uccisi il magistrato antimafia insieme ad altre quattro persone: la moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato, e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Una celebre poesia, scritta dalla poetessa dei Navigli Alda Merini, rende omaggio a questi eroi italiani.

Per Giovanni Falcone, di Alda Merini

La mafia sbanda,
la mafia scolora
la mafia scommette,
la mafia giura
che l’esistenza non esiste,
che la cultura non c’è,
che l’uomo non è amico dell’uomo.

La mafia è il cavallo nero
dell’apocalisse che porta in sella
un relitto mortale,
la mafia accusa i suoi morti.

La mafia li commemora
con ciclopici funerali:
così è stato per te, Giovanni,
trasportato a braccia da quelli
che ti avevano ucciso.

Un atto di denuncia in versi

Qualche tempo dopo i tragici avvenimenti di Capaci, sull’onda della rabbia e dell’indignazione popolare per l’assassinio di Falcone, la poetessa milanese Alda Merini scrisse la poesia “Per Giovanni Falcone”, un omaggio al coraggio di chi aveva combattuto contro quel cavallo nero chiamato “mafia”.  Ma anche un atto di denuncia nei confronti di chi non ha mai preso le distanza della mafia e che ora sorregge il corpo morto di Falcone.

Nei versi della Merini, emerge come la mafia sottovaluti la societĂ  di oggi, negandole valori come la solidarietĂ , la cultura, il fatto che “l’uomo sia amico dell’uomo”.

Arriva poi la similitudine che la poetessa dei navigli utilizza per descrivere la mafia, descritta come “il cavallo nero dell’apocalisse che porta in sella un relitto mortale”. Una descrizione che si ricollega ai cavalieri dell’apocalisse: il cavaliere che cavalca il cavallo rosso simboleggia la guerra, quello sul cavallo verdastro è la rappresentazione della morte, mentre quello che cavalca il cavallo nero simboleggia la carestia: una carestia di legalitĂ  quella a cui si fa riferimento nei versi della poesia.

L’ultima strofa della poesia è un’accusa che la Merini rivolge alla societĂ , a coloro che commemora le vittime della strage di Capaci con “ciclopici funerali”, a cui una grande folle partecipò, ma tra i quali sicuramente ci sono anche i responsabili, diretti e indiretti, della morte del giudice-eroe.

Giovanni Falcone, un eroe da ricordare

Giovanni Falcone nasce il 18 maggio 1939 a Palermo in via Castrofilippo nel quartiere della Kalsa, lo stesso di Paolo Borsellino e di molti ragazzi futuri mafiosi come Tommaso Buscetta. Falcone vince il concorso in Magistratura nel 1964, Il suo primo caso risolto è quello di una persona morta per un incidente sul lavoro. A partire dal 1966 ricopre, per dodici anni, la posizione sostituto procuratore e giudice presso il tribunale di Trapani. A poco a poco, nasce in lui la passione per il diritto penale e inizia così la sua lotta alla mafia.

Trasferitosi a Palermo nel 1978, dopo l’omicidio del giudice Cesare Terranova, Giovanni Falcone lavorò all’Ufficio istruzione, sotto la guida di Rocco Chinnici, e insieme a Paolo Borsellino lavorarono su oltre 500 processi. Nel 1984, con l’interrogatorio al pentito Tommaso Buscetta, si ha una svolta nelle indagini contro Cosa Nostra. Quando il pool cominciò a lavorare al grande maxiprocesso a Cosa Nostra, i due collaboratori di Giovanni Falcone, Giuseppe Montana e Ninni CassarĂ , vennero uccisi e quindi i giudici e le loro famiglie vennero trasferiti per sicurezza al carcere dell’Asinara. Nel 1987 si concluse il Maxiprocesso, con 360 condanne per complessivi 2665 anni di carcere e undici miliardi e mezzo di lire di multe da pagare, segnando un grande successo per il lavoro svolto da tutto il pool antimafia. 

Era il 23 maggio 1992. Era un caldo sabato pomeriggio quando a Capaci, vicino a Palermo, le automobili del giudice Giovanni Falcone e della sua scorta furono fatte saltare in aria da cinque quintali di tritolo in un tratto dell’Autostrada A29. Nell’attentato, rivendicato da Cosa Nostra, morirono Falcone, la moglie Francesca Morvillo e i tre agenti della scorta. Il giudice Falcone ha fatto della lotta contro la criminalità organizzata una vera e propria missione, nonostante i pericoli verso i quali era ben consapevole di andare in contro.

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