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Una frase di Irène Némirovsky sul trovare la felicità nelle piccole cose

L'odore del mare, la sabbia sotto le dita... A volte, basta meno di quanto pensiamo per ritrovare la felicità. Ce lo racconta Irène Némirovsky nella frase tratta da "Il vino della solitudine".

Spesso ci capita di essere insoddisfatti e scontenti della nostra vita, quando in realtà dovremmo saper apprezzare di più ciò che abbiamo e trovare la felicità anche nelle piccole cose: è questo ciò che ci insegna a fare Irène Némirovsky con questa frase, tratta dal suo romanzo autobiografico “Il vino della solitudine“.

“Non si può essere infelici quando si ha questo: l’odore del mare, la sabbia sotto le dita, l’aria, il vento”

La felicità sta nelle piccole cose

Se è vero che da un’infanzia infelice non si guarisce mai, pochi hanno saputo raccontare quell’infelicità come Irène Némirovsky nel romanzo autobiografico “Il vino della solitudine”. Ma paradossalmente è nel bel mezzo dell’infelicità che possiamo capire cosa ci renda davvero felici. A volta, basta poco, meno di quanto pensiamo: l’odore del mare, la sabbia sotto le dita e il vento.

E’ insito nella natura umana dare maggior importanza a ciò che non si ha e non valorizzare ciò che si ha già o si è ottenuto. E’ questa mancata consapevolezza di felicità che rischia di condannare le persone ad uno stato di eterna insoddisfazione. Nel recente passato abbiamo riscoperto il valore delle piccole cose quando ci sono state tolte a causa delle restrizioni dovute alla pandemia: una “conquista” che non dovremmo mai dimenticare. 

Nella frase di Irène Némirovsky troviamo il segreto della felicità; parole che ci aprono gli occhi sulla bellezza dell’esistenza, la stessa che cantava Domenico Modugno nel brano “Meraviglioso” nel quale, rivolgendosi ad uomo su un ponte afflitto dal desiderio di farla finita, lo invitava a scoprire invece la bellezza della vita, “i doni che ti hanno fatto”, capaci da soli di scacciare le ombre della sofferenza interiore.

Irène Némirovsky 

Nata in Russia, di religione ebraica convertitasi poi al cattolicesimo nel 1939, ha vissuto e lavorato in Francia. Arrestata dai nazisti, in quanto ebrea, Irène Némirovsky fu deportata nel luglio del 1942 ad Auschwitz, dove morì un mese più tardi di tifo. Il marito, Michel Epstein, si attivò per cercare di salvare la moglie inviando un telegramma il 13 luglio 1942 a Robert Esménard ed a André Sabatier presso Albin Michel, proprietario della casa editrice Grasset. “Irène partita oggi all’improvviso. Destinazione Pithiviers (Loiret) . Spero che voi possiate intervenire urgenza stop Cerco invano telefonare”. Anche il marito morì nel novembre dello stesso anno ad Auschwitz. 

Il vino della solitudine

Il vino della solitudine” è il più autobiografico e il più personale dei grandi romanzi di Irène Némirovsky. Non sarà difficile, in effetti, riconoscere nella piccola Hélène, che siede a tavola dritta e composta per evitare gli aspri rimproveri della madre, la stessa Irène. E nella bella donna che a cena sfoglia le riviste di moda appena arrivate da Parigi quella Fanny Némirovsky che ha fatto dell’infanzia di Irène un deserto senza amore.
 
Hélène detesta la madre con tutte le sue forze, al punto da sostituirne il nome, nelle preghiere serali, con quello dell’amata istitutrice. Verrà un giorno, però, in cui la madre comincerà a invecchiare, e Hélène avrà diciott’anni. Accadrà a Parigi, dove la famiglia si è stabilita dopo la guerra e la rivoluzione di ottobre e la fuga attraverso le vaste pianure gelate della Russia e della Finlandia, durante la quale l’adolescente ha avuto per la prima volta «la consapevolezza del suo potere di donna». Allora sembrerà giunto per lei il momento della vendetta. Ma Hélène non è sua madre e forse sceglierà una strada diversa. 
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