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“Il giorno dei morti” raccontato da Andrea Camilleri

Scopri il bellissimo racconto di Andrea Camilleri "Il Giorno dei Morti" che celebra il 2 novembre

Il 2 novembre รจ il giorno che la Chiesa dedica alla commemorazione dei defunti. In molti, credenti e no, fanno visita ai loro cari scomparsi nei cimiteri di tutta Italia. Ma noi oggi voglio celebrarlo con un bellissimo racconto di Andrea Camilleri dal titolo “Il giorno dei morti”.

In molti ricordano, che sul 2 novembre,  ovvero il “giorno dei morti” era giorno di festa e per i bambini rappresentava ciรฒ che oggi รจ la festa di Halloween. Naturalmente, non c’erano le zucche ma c’era il mistero, il gioco, i doni, i dolci.

I nonni il giorno dei morti raccontavano storie fantastiche e ai bambini venivano fatti i regali. Le famiglie si univano per onorare chi non c’era piรน e allo stesso tempo per saldare o rinsaldare quel legame familiare che oggi sembra sempre piรน svanire.

Il giorno dei morti era un modo per trasferire memoria dai nonni ai nipoti e tenere solidi i legami familiari.

In questo contesto va letto il racconto “Il Giorno dei Morti” di Andrea Camilleri, tratto dai ‘Racconti quotidiani‘ (Mondadori, 2001).

Il Giorno dei Morti di Andrea Camilleri

Fino al 1943, nella nottata che passava tra il primo e il due di novembre, ogni casa siciliana dove cโ€™era un picciliddro si popolava di morti a lui familiari.

Non fantasmi col linzรฒlo bianco e con lo scrรนscio di catene, si badi bene, non quelli che fanno spavento, ma tali e quali si vedevano nelle fotografie esposte in salotto, consunti, il mezzo sorriso dโ€™occasione stampato sulla faccia, il vestito buono stirato a regola dโ€™arte, non facevano nessuna differenza coi vivi. Noi nicareddri, prima di andarci a coricare, mettevamo sotto il letto un cesto di vimini (la grandezza variava a seconda dei soldi che cโ€™erano in famiglia) che nottetempo i cari morti avrebbero riempito di dolci e di regali che avremmo trovato il 2 mattina, al risveglio.

Eccitati, sudatizzi, faticavamo a pigliare sonno: volevamo vederli, i nostri morti, mentre con passo leggero venivano al letto, ci facevano una carezza, si calavano a pigliare il cesto. Dopo un sonno agitato ci svegliavamo allโ€™alba per andare alla cerca. Perchรฉ i morti avevano voglia di giocare con noi, di darci spasso, e perciรฒ il cesto non lo rimettevano dove lโ€™avevano trovato, ma andavano a nasconderlo accuratamente, bisognava cercarlo casa casa. Mai piรน riproverรฒ il batticuore della trovatura quando sopra un armadio o darrรจ una porta scoprivo il cesto stracolmo. I giocattoli erano trenini di latta, automobiline di legno, bambole di pezza, cubi di legno che formavano paesaggi. Avevo 8 anni quando nonno Giuseppe, lungamente supplicato nelle mie preghiere, mi portรฒ dallโ€™aldilร  il mitico Meccano e per la felicitร  mi scoppiรฒ qualche linea di febbre.

I dolci erano quelli rituali, detti โ€œdei mortiโ€: marzapane modellato e dipinto da sembrare frutta, โ€œrami di meliโ€ fatti di farina e miele, โ€œmustazzolaโ€ di vino cotto e altre delizie come viscotti regina, tetรน, carcagnette. Non mancava mai il โ€œpupo di zuccheroโ€ che in genere raffigurava un bersagliere e con la tromba in bocca o una coloratissima ballerina in un passo di danza.

A un certo momento della matinata, pettinati e col vestito in ordine, andavamo con la famiglia al camposanto a salutare e a ringraziare i morti. Per noi picciliddri era una festa, sciamavamo lungo i viottoli per incontrarci con gli amici, i compagni di scuola: ยซChe ti portarono questโ€™anno i morti?ยป. Domanda che non facemmo a Tatuzzo Prestรฌa, che aveva la nostra etร  precisa, quel 2 novembre quando lo vedemmo ritto e composto davanti alla tomba di suo padre, scomparso lโ€™anno prima, mentre reggeva il manubrio di uno sparluccicante triciclo.

Insomma il 2 di novembre ricambiavamo la visita che i morti ci avevano fatto il giorno avanti: non era un rito, ma unโ€™affettuosa consuetudine. Poi, nel 1943, con i soldati americani arrivรฒ macari lโ€™albero di Natale e lentamente, anno appresso anno, i morti persero la strada che li portava nelle case dove li aspettavano, felici e svegli fino allo spร simo, i figli o i figli dei figli. Peccato. Avevamo perduto la possibilitร  di toccare con mano, materialmente, quel filo che lega la nostra storia personale a quella di chi ci aveva preceduto e โ€œstampatoโ€, come in questi ultimi anni ci hanno spiegato gli scienziati. Mentre oggi quel filo lo si puรฒ indovinare solo attraverso un microscopio fantascientifico. E cosรฌ diventiamo piรน poveri: Montaigne ha scritto che la meditazione sulla morte รจ meditazione sulla libertร , perchรฉ chi ha appreso a morire ha disimparato a servire.

 

 

Eccitati, sudatizzi, faticavamo a pigliare sonno: volevamo vederli, i nostri morti, mentre con passo leggero venivano al letto, ci facevano una carezza, si calavano a pigliare il cesto. Dopo un sonno agitato ci svegliavamo allโ€™alba per andare alla cerca. Perchรฉ i morti avevano voglia di giocare con noi, di darci spasso, e perciรฒ il cesto non lo rimettevano dove lโ€™avevano trovato, ma andavano a nasconderlo accuratamente, bisognava cercarlo casa casa.

Mai piรน riproverรฒ il batticuore della trovatura quando sopra un armadio o darrรจ una porta scoprivo il cesto stracolmo. I giocattoli erano trenini di latta, automobiline di legno, bambole di pezza, cubi di legno che formavano paesaggi. Avevo 8 anni quando nonno Giuseppe, lungamente supplicato nelle mie preghiere, mi portรฒ dallโ€™aldilร  il mitico Meccano e per la felicitร  mi scoppiรฒ qualche linea di febbre.

I dolci erano quelli rituali, detti โ€œdei mortiโ€: marzapane modellato e dipinto da sembrare frutta, โ€œrami di meliโ€ fatti di farina e miele, โ€œmustazzolaโ€ di vino cotto e altre delizie come viscotti regina, tetรน, carcagnette. Non mancava mai il โ€œpupo di zuccheroโ€ che in genere raffigurava un bersagliere e con la tromba in bocca o una coloratissima ballerina in un passo di danza. A un certo momento della matinata, pettinati e col vestito in ordine, andavamo con la famiglia al camposanto a salutare e a ringraziare i morti.

Per noi picciliddri era una festa, sciamavamo lungo i viottoli per incontrarci con gli amici, i compagni di scuola: ยซChe ti portarono questโ€™anno i morti?ยป. Domanda che non facemmo a Tatuzzo Prestรฌa, che aveva la nostra etร  precisa, quel 2 novembre quando lo vedemmo ritto e composto davanti alla tomba di suo padre, scomparso lโ€™anno prima, mentre reggeva il manubrio di uno sparluccicante triciclo.

Insomma il 2 di novembre ricambiavamo la visita che i morti ci avevano fatto il giorno avanti: non era un rito, ma unโ€™affettuosa consuetudine. Poi, nel 1943, con i soldati americani arrivรฒ macari lโ€™albero di Natale e lentamente, anno appresso anno, i morti persero la strada che li portava nelle case dove li aspettavano, felici e svegli fino allo spร simo, i figli o i figli dei figli. Peccato.

Avevamo perduto la possibilitร  di toccare con mano, materialmente, quel filo che lega la nostra storia personale a quella di chi ci aveva preceduto e โ€œstampatoโ€, come in questi ultimi anni ci hanno spiegato gli scienziati. Mentre oggi quel filo lo si puรฒ indovinare solo attraverso un microscopio fantascientifico. E cosรฌ diventiamo piรน poveri: Montaigne ha scritto che la meditazione sulla morte รจ meditazione sulla libertร , perchรฉ chi ha appreso a morire ha disimparato a servire”.

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