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Cosa può salvarci dalla paura e dalla rabbia in questi tempi difficili

Il caro prezzi, l’infuriare della guerra, la pandemia con cui continuiamo a convivere: in questi giorni difficili, la rabbia è forse il sentimento più presente all’interno società. Ecco come possiamo provare a liberarcene

La rabbia è un sentimento quanto mai presente oggi nella società. Caro prezzi, guerra, pandemia, precarietà per il futuro. Tutto questo contribuisce a questo senso di frustrazione e incertezza.

“Si sta come d’autunno/sugli alberi le foglie”

Il distico di Ungaretti, che è entrato a far parte dei nostri idiomatismi e del nostro immaginario collettivo, non potrebbe esprimere meglio lo stato di precarietà in cui stiamo vivendo. Questo periodo mette a dura prova la nostra vita e le speranze che riponiamo in essa. E infatti, in questi giorni difficili, la rabbia è forse il sentimento più presente all’interno società: non si può fare a meno di guardarsi intorno e di notare quanta tensione ci sia dentro e fuori di noi.

La rabbia

Secondo la Treccani, il sostantivo “rabbia” viene dal tardo latino rabia, che deriva dal latino classico rabies e ricalca la radice sanscrita rabh-ate (agire violentemente, con ferocia). Il termine indica “un’irritazione violenta prodotta dal senso della propria impotenza o da un’improvvisa delusione o contrarietà, e che esplode in azioni e in parole incontrollate e scomposte”. Ma perché oggi la tensione e la rabbia sono così presenti e visibili? Cos’è cambiato in noi e nell’ambiente che ci circonda?

Tempi difficili

Gli ultimi anni sono stati a dir poco complicati su tutti i fronti: il pianeta soffre a causa degli effetti del cambiamento climatico, le migrazioni di massa hanno interessato interi paesi in preda alla fame, alla guerra o alla crisi ambientale, la pandemia ha sconvolto il mondo e la sua economia, la guerra continua ad infuriare da anni in diversi paesi e adesso corre violenta anche in Ucraina.

Viviamo in un sistema: tutto ciò che accade in un luogo ha conseguenze anche nel resto del mondo. In più, con i potenti mezzi di comunicazione a nostra disposizione, siamo a conoscenza di tutto ciò che accade in tempi rapidissimi. Viviamo bombardati di notizie – vere e qualche volta false – che generano ansia e paura, e di solito non promettono nulla di buono.

La tensione sociale e la difficile situazione economica si stanno acuendo velocemente, e mai come oggi sembra calzante il pensiero di alcuni importanti sociologi, che ci hanno lasciato delle autentiche chiavi di lettura per il tempo presente. È il caso di Ulrich Beck, che ci ha parlato della società contemporanea e dei suoi cambiamenti.

Ulrich Beck e la società del rischio

Sociologo e scrittore tedesco di fama mondiale, Ulrich Beck ha teorizzato la un nuovo stadio dello sviluppo della modernità, caratterizzato dalla forte presenza dell’attività antropica. La cosiddetta “società del rischio” è una società in cui, secondo lo studioso, l’agire umano porta ad eventi catastrofici che minacciano non soltanto il mondo naturale, ma anche quello sociale perché, in questa aura di totale incertezza, l’uomo è portato a sentirsi minacciato, ed è quindi soggetto a forti spinte individualistiche che sfociano in comportamenti impulsivi e violenti. Ecco spiegata la rabbia sociale che sembra essere così presente in quest’epoca di grandi cambiamenti.

Partendo dalle teorie di Zygmunt Bauman sulla scomparsa della società in quanto comunità stabile e duratura, Beck sfrutta l’esempio delle catastrofi ambientali e di possibili attacchi terroristici per chiarificare il suo pensiero:

“Quando parliamo di catastrofi ambientali (così come del rischio del terrorismo) parliamo di ipotesi future, presentate invece come certezze dell’avvenire. Tutte le promesse di benessere e tutte le sicurezze date in epoca moderna dalle istituzioni statali nazionali, dai politici e dagli esperti di scienze e tecniche, sono state distrutte. E non c’è più in giro un’istanza che tolga all’uomo le sue nuove paure. Ecco allora che la crisi ecologica ci fa intravedere qualcosa come un senso all’orizzonte, persino la necessità di una politica globale ed ecologica nel nostro agire quotidiano. […] Perché mentre una volta le cose erano date per sicure fino all’intervento di un guasto o di un incidente, oggi qualcosa vale come insicuro solo perché potrebbe diventarlo. […] a partire da quelle esplosioni nucleari [Hiroshima e Černobyl’] i fondamenti della vita si sono rivelati come un terno al lotto. E la stessa aureola di infallibilità e sicurezza basata sui fondamenti delle scienze si è disintegrata. Chi si fida oggi delle decisioni degli scienziati in campi così fatali come il Dna, l’embrione o le biotecnologie? Il nostro secolo è quello della sfiducia dei cittadini nelle agenzie del potere… dai partiti alle chiese fino ai marchi industriali”.

Il nostro secolo è quindi caratterizzato dalla sfiducia, dall’incertezza e dalla paura, che non possono che sfociare in reazioni come quelle che stiamo vedendo in questi giorni. Il caro prezzi, l’infuriare della guerra, la pandemia con cui continuiamo a convivere ci fanno sentire precari, come in una barca in mezzo al mare in tempesta.

L’antidoto alla rabbia

Ci sentiamo soli, in continuo pericolo. Non ci fidiamo più l’uno dell’altro. Oggi, più che mai, sarebbe forse il caso di avvicinarci ancora di più alla cultura e alla bellezza che è rimasta attorno a noi. Soltanto questo può salvarci.

Sentirci soli ed aggrapparci agli stati d’animo negativi per reagire non può essere una soluzione praticabile a lungo termine.
Impariamo da chi, nonostante una vita di sofferenze e dolori fisici e morali interminabili, non si è mai arreso e, alla fine, ha prodotto un’opera che canta la solidarietà come unica fonte di salvezza.

Cerchiamo di essere come la Ginestra di Giacomo Leopardi: flessibili anche nelle avversità, teneri e perciò forti:

La Ginestra

E tu, lenta ginestra,
Che di selve odorate
Queste campagne dispogliate adorni,
Anche tu presto alla crudel possanza
Soccomberai del sotterraneo foco,
Che ritornando al loco
Già noto, stenderà l’avaro lembo
Su tue molli foreste. E piegherai
Sotto il fascio mortal non renitente
Il tuo capo innocente:
Ma non piegato insino allora indarno
Codardamente supplicando innanzi
Al futuro oppressor; ma non eretto
Con forsennato orgoglio inver le stelle,
Nè sul deserto, dove
E la sede e i natali
Non per voler ma per fortuna avesti;
Ma più saggia, ma tanto
Meno inferma dell’uom, quanto le frali
Tue stirpi non credesti
O dal fato o da te fatte immortali”.

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