Sei qui: Home » Poesie » “Ulisse” di Cesare Pavese, una profonda poesia sul viaggio della vita

“Ulisse” di Cesare Pavese, una profonda poesia sul viaggio della vita

In questa poesia, Cesare Pavese si stacca dalla leggenda per farci scoprire l'uomo che si cela dietro il mito di Ulisse.

La figura di Ulisse è da sempre associata al mito, ad un uomo dalle capacità straordinarie che difatti compie imprese fuori dal comune.

Ulisse. Il curioso, astuto, coraggioso Ulisse. Emblema del viaggio e della ricerca di sé, è raccontato nell’epica, nelle opere d’arte, nella poesia e nella letteratura da tempi immemori.

L’Ulisse che vogliamo farvi conoscere oggi è un po’ diverso da quello cui siamo abituati: Cesare Pavese in “Lavorare stanca” ci mostra infatti un personaggio carico di umanità, in cui la nebbia scintillante del mito sembra essersi diradata fino a svelare l’essenza dell’uomo.

L’umanità di Ulisse

“Per la fresca finestra
scorre amaro un sentore di foglie. Ma il vecchio
non si muove dal buio, non ha sonno la notte,
e vorrebbe aver sonno e scordare ogni cosa
come un tempo al ritorno dopo un lungo cammino.
Per scaldarsi, una volta gridava e picchiava”.

L’Ulisse di Cesare Pavese appare con il suo nome blasonato soltanto nel titolo. L’intera poesia racconta soltanto di un uomo, che se non avessimo letto il titolo non riconosceremmo mai nel personaggio mitico, forse.

Perché in questi versi tutto è troppo umano: la delusione, la contemplazione malinconica della notte, l’illusione, l’immaginazione, il desiderio di tornare al passato… Ulisse potrebbe essere un qualsiasi abitante della terra, un passante qualunque, una comparsa come tante altre delle poesie di Pavese.

E invece è proprio lui, l’eroe mitico che, spogliato della sua aura leggendaria, resta uomo come noi, e diventa metafora del viaggio e dell’importanza che le scelte rivestono sulla nostra vita.

“Ulisse” di Cesare Pavese

“Questo è un vecchio deluso, perché ha fatto suo figlio
Troppo tardi. Si guardano in faccia ogni tanto,
ma una volta bastava uno schiaffo. (Esce il vecchio
e ritorna col figlio che si stringe una guancia
e non leva più gli occhi). Ora il vecchio è seduto
fino a notte, davanti a una grande finestra,
ma non viene nessuno e la strada è deserta.

Stamattina, è scappato il ragazzo, e ritorna
Questa notte. Starà sogghignando. A nessuno
Vorrà dire se a pranzo ha mangiato. Magari
Avrà gli occhi pesanti e andrà a letto in silenzio:
due scarponi infangati. Il mattino era azzurro
sulle piogge di un mese.

Per la fresca finestra
scorre amaro un sentore di foglie. Ma il vecchio
non si muove dal buio, non ha sonno la notte,
e vorrebbe aver sonno e scordare ogni cosa
come un tempo al ritorno dopo un lungo cammino.
Per scaldarsi, una volta gridava e picchiava.

Il ragazzo, che torna fra poco, non prende più schiaffi.
Il ragazzo comincia a esser giovane e scopre
ogni giorno qualcosa e non parla a nessuno.
Non c’è nulla per strada che non possa sapersi
stando a questa finestra. Ma il ragazzo cammina
tutto il giorno per strada. Non cerca ancor donne
e non gioca più in terra. Ogni volta ritorna.
Il ragazzo ha un suo modo di uscire di casa
che, chi resta, s’accorge di non farci più nulla”.

Cesare Pavese

Cesare Pavese (1908-1950) è senza ombra di dubbio uno degli autori più importanti della letteratura italiana, uno scrittore e poeta che merita di essere scoperto e apprezzato anche dai lettori contemporanei.

Considerato uno degli interpreti più significativi del Novecento, Cesare Pavese ha raccontato nei suoi romanzi e nelle sue poesie, molte delle quali pubblicate postume, la realtà popolare e contadina, ma con uno sguardo sempre rivolto altre letterature europee. Fu tra i primi a interessarsi alla letteratura statunitense, di cui fu anche traduttore.

“Lavorare stanca”

La raccolta che rivelò Pavese scrittore concentra e mette a fuoco un intero universo esistenziale, quello che sarà successivamente declinato nei romanzi e nei racconti.

La Torino dei viali, dei corsi, dei prati, delle sponde del Po, delle strade in salita fra siepe e muro, popolata da creature sradicate e notturne; una campagna che non è solo e necessariamente Langa, ma tende a trasfigurarsi in una dimensione mitica e primordiale; un io che rimane distinguibile, nell’irredimibilità della propria solitudine e nell’anelito amoroso e fantastico, pur se mimetizzato nel racconto di vicende altrui.

© Riproduzione Riservata