<Salaam alaykum> in italiano <salve a te>. Questo fu il saluto che mi porse Stephan il giorno in cui, circa un anno fa, lo conobbi al Cantiere giovani di Frattamaggiore.
Il cantiere offre servizi socio- educativi e socio- culturali ai giovani, autoctoni ed immigrati. Proprio a questi ultimi, provenienti da ogni parte del mondo, nord- Africa soprattutto, impartisco lezioni di italiano da circa un anno.
Ricordo ancora il giorno in cui per caso una cara amica, Laura, mi portò al centro. Mi presentò i responsabili di questa associazione e i giovani volontari che animavano il cantiere. Affascinata da quel crogiolo di culture ,così diverse e lontane dalla mia limitata esperienza di vita , crebbe in me l’entusiasmo e il desiderio di entrarvi a fare parte.
Un pomeriggio di una Domenica di Febbraio si presentò al cantiere Stephan. Un giovane proveniente dal Marocco , Casablanca il suo luogo natio: trent’anni circa ,alto, capelli bruni .Oltre le sue fattezze mi impressionò l’espressione del suo volto allegro, il desiderio di imparare l’italiano per meglio inserirsi nella comunità napoletana.
Per il suo volto sempre gioioso gli attribuii il nomignolo “sorriso”. Non me ne venne in mente uno migliore ; se lo conosceste, capireste il perché della mia scelta. La sua lingua araba fu per me all’inizio una “frontiera” dura da valicare. Come prima cosa gli chiesi il suo nome, da dove venisse, da quanto tempo era in Italia e che lavoro faceva. Gli scandivo le parole pian piano per fargli sentire bene il suono. Parlavo e allo stesso tempo scrivevo su un pezzo di carta quello che gli dicevo. Dopo di che iniziai a scrivergli le lettere dell’alfabeto italiano.
Era l’inizio.
Oggi a distanza di un anno Stephan ha fatto progressi in italiano riuscendo a raccontarmi la sua storia, fatta di lunghi e faticosi viaggi che lo hanno portato, alla fine ,in Italia.
La sua narrazione mi ha tanto impressionato e pertanto ho deciso di narrarla offrendo, a chi avrà voglia di sfogliare queste pagine, l’opportunità di condividere con me un pezzo di vita vissuta.
Il mio protagonista Stephan viene da Casablanca, (Maghreb-el-Aqsa che in arabo significa “Estremo Occidente), dove nacque nel luglio del 1977. Il Marocco, infatti, per la sua posizione occupa la parte occidentale del Nord- Africa .
Il nome della città evoca il “Time goes by”, il bar del film “Casablanca” con Humprey Bogart e Indrid Bergman .Questo bar non è mai esistito. Uno simile a quello rappresentato al cinema è stato costruito in un secondo momento per la popolarità che il film ha esercitato e continua ancora oggi a esercitare sugli spettatori, curiosi di vedere e di entrare ,così, nel famoso bar. Si trova al centro di Casablanca; ha diverse sale, ma una di queste ha la caratteristica di essere arredata con tavoli antichi e i turisti che vi entrano sembrano proiettati indietro nel tempo, come a rivivere alcune scene del film. Il barista parla due lingue, il francese e l’inglese.
Stephan visse da piccolo in un quartiere alla periferia di Casablanca: un appartamento a due piani, di circa centodieci metri quadrati, nel quale viveva insieme ai suoi genitori, ai suoi tre fratelli e alla sorella. Il papà, oggi defunto, faceva il giardiniere, la madre, tuttora in vita, la cuoca. Con il loro duro e faticoso lavoro e con molti sacrifici mandavano a scuola i loro cinque figli. Vivevano in una zona periferica, lontana dal centro.
Dal cuore di Casablanca partono a raggiera dei grandi viali fiancheggiati da case eleganti. È la parte bella, elegante e ricca della città. Ci sono grandi pasticcerie che espongono sui banconi pigne
di bignè, cornetti di “gazzella”, dolci di datteri. Da piccolo Stephan quando tornava a casa pretendeva dalla madre gli stessi dolci che aveva visto in pasticceria. La madre, molto affettuosa e paziente si muniva di tutto quanto le occorreva per fare almeno i cornetti di “gazzella”,( in arabo “kaab el ghzal”) che tanto piacevano al figlio; paste a forma di mezzaluna farcite con una delicata pasta di mandorle e coperte di glassa di zucchero. Madre abituata a impastare. Quando infatti a Casablanca c’era un matrimonio, le veniva chiesto di preparare il dolce nuziale.
Da bambino Stephan all’età di due anni e mezzo frequentò la scuola materna, a pagamento, molto costosa per la sua famiglia .Compiuti i sei anni andò alle elementari e infine al college dove per tre anni accanto all’arabo imparò anche il francese.
Quando era piccino, Stephan spesso seguiva il padre a lavoro, in un grande giardino di una villa che si trovava al centro di Casablanca. Trascorreva il pomeriggio con lui, seguiva con i suoi occhietti i movimenti sicuri e decisi del padre intento a rivoltare la terra. Il papà era una persona molto dolce e premurosa nei confronti dei figli e un grande lavoratore. Stephan era molto orgoglioso del lavoro del padre. Per lui il saper zappare era come il saper pilotare un aeroplano. Stephan aveva visto l’immagine dell’aereo solo sui libri di scuola e ne era rimasto affascinato; bisognava andare nella giusta direzione senza perdere il controllo del mezzo. Immaginava quindi il padre come un pilota in una cabina di pilotaggio, dove però al posto del timone reggeva la zappa. Un “errore di rotta” avrebbe compromesso la vita di una pianta.
Era molto legato al padre che da piccino gli aveva insegnato a pregare cinque volte al giorno. Gli aveva inoltre detto che era consuetudine del musulmano prima di pregare lavarsi le mani, il naso , il viso e i piedi.
Per Stephan fu un grande dolore quando perse il padre nell’anno 1986. Aveva circa nove anni. Il papà qualche anno prima aveva sofferto di un male dal quale si era ristabilito. La sua morte quindi giunse inaspettata. Tutti i componenti della famiglia si riunirono intorno al capezzale del moribondo. L’ultima parola pronunciata dal capofamiglia fu “Stephan”; nome quasi sussurrato per la mancanza di fiato. Il padre spirò alle due di notte. Il defunto fu vestito di bianco. Il giorno dopo ci fu la sepoltura. Nessuna lastra di marmo ricoprì il tumulo di terra. I giorni successivi alla dipartita del caro padre furono caratterizzati dall’andirivieni dei familiari, che venivano a esprimere il loro cordoglio.
La vita pian piano riprese a scorrere. Accanto a lui ci fu la madre che non gli fece mancare nulla. Era lei ora la maestra di vita del figlio.
Indimenticabile per Stephan fu quando, a quindici anni, la mamma lo accompagnò per la prima volta alla Moschea di Hassan II. Lo impressionò la grandiosità della struttura.
È infatti costruita sul bordo dell’oceano, attaccata quindi al cielo e all’acqua che si confondono all’orizzonte. Costruita per volontà del re Hassan II sull’acqua perché “ il trono di Dio era sulle acque”.
Stephan ammirava la bellezza della “casa grande”, da lui così definita da bambino: i marmi colorati a terra, i grandi pilastri posti al centro del tempio. La mamma e i fratelli di Stephan andavano a pregare in questa moschea il venerdì; Stephan invece non faceva altro che ammirarne la bellezza. Era incantato soprattutto quando il tetto veniva rimosso così che la sala centrale si trasformava in un luogo di preghiera a cielo aperto.
Per costruire questo monumento sono giunti oltre 3300 artigiani, da ogni parte del Regno ,che hanno eretto anche il più alto minareto del mondo(200 metri). Quest’ultimo è una torre annessa alla moschea, dalla quale il muezzin chiama alla preghiera, con un canto rituale, i fedeli islamici.
La Moschea di Hassan II è il secondo tempio musulmano del mondo . I lavori sono durati tredici anni. La Moschea venne inaugurata il 30 agosto dell’anno 1993.Unico prodotto di importazione italiano è il vetro di murano. La grandezza della Moschea è tale che la Basilica di San Pietro vi potrebbe essere racchiusa.
Questa moschea è aperta a tutti, nonostante la tradizione musulmana vieti l’accesso ai non musulmani nei luoghi sacri e nei templi.
Durante il college, Stephan, compiuti i suoi undici anni, forgiò il suo carattere, un carattere allegro che infondeva simpatia ai suoi compagni che non potevano fare a meno di seguirlo nel suo passatempo prediletto :il football. Lo entusiasmava a tal punto da non poterne fare a meno. Tutte le Domeniche, insieme ai suoi amici, assisteva agli incontri di calcio tenuti a Casablanca, dove si svolgeva un regolare campionato come in Italia. Venti squadre durante l’anno si scontravano. Due le squadre più forti .Quando si scontravano queste due formazioni , si verificava lo stesso disordine che se fossimo in Italia .
Gli anni del college,dal 1991 al 1994 furono i più belli e spensierati che Stephan trascorse insieme ai suoi compagni.
A scuola gli piaceva molto imparare il francese. Lo affascinava la pronuncia di quella lingua. Quando tornava a casa dava sfoggio di quello che aveva imparato. La madre era la persona che controllava i suoi compiti e Stephan le faceva vedere le correzioni che l’insegnante gli aveva appuntato sul quaderno. Giornate di studio si alternavano ai pomeriggi trascorsi all’aria aperta giocando a pallone con i suoi compagni di gioco.
L’attività scolastica si interrompeva in occasione della Primavera. In questo periodo c’erano le vacanze scolastiche durante le quali molti studenti andavano a fare i turisti in Spagna. Alcuni dei suoi compagni vi si recavano; quando ritornavano dal viaggio, Stephan si faceva raccontare tutto quello che avevano fatto e visto. Non si perdeva una parola , era attirato dai paesi europei: Italia, Spagna, Inghilterra. Sapeva dove erano localizzati sulla cartina geografica. La sua insegnante di geografia ci teneva moltissimo a fare imparare ai suoi studenti le capitali europee.
Concluso l’ultimo anno del college ,Stephan decise di smettere di studiare. Voleva seguire la voce del suo cuore. Sentiva dentro di sé il desiderio di viaggiare , di entrare in relazione con altre culture. Iniziò ,così a lavorare molto presto per poter raggranellare dei soldi che gli sarebbero serviti per realizzare, poi, il suo progetto.
Il suo primo impiego fu in una piscina, come addetto alle pulizie, a Casablanca. Veniva pagato a fine giornata:50 DH (dirham in francese), pari a circa 5 euro al giorno. Furono cinque anni di duro e intenso lavoro durante i quali vedendo tanti bambini allenarsi crebbe in lui l’altro grande amore, dopo il calcio: quello per il mare.
Accadeva spesso che finita la sua giornata di lavoro si cambiava d’abito. E così iniziavano per lui gli allenamenti duri e faticosi in piscina .E così giorno dopo giorno, dopo tante ore di allenamento imparò a nuotare. Divenne un bravo nuotatore specialmente nello stile dorso.
A sorriso non mancano tenacia, forza di volontà e soprattutto umiltà. Gli sono sempre servite per poter affrontare le difficoltà della vita senza abbattersi.
Nel periodo in cui lavorò in piscina, conobbe anche un bambino piccolo ,di cinque anni ,orfano di padre. Il suo nome Leo. Era piuttosto magrolino, occhi azzurri e un paio di occhiali che gli coprivano i suoi cerulei occhi. Lo vedeva allenare quasi tutti i giorni, vedeva le sue piccole mani e i suoi piedini dimenarsi nell’acqua nel tentativo di rimanere a galla. Per il fatto che aveva problemi di vista , Leo aveva bisogno di un aiuto. In piscina c’era un’istruttrice che lo prese molto a cuore standogli a fianco durante l’ora di allenamento. Quanto impegno Leo metteva nel nuoto! Era un bambino eccezionale. Rispetto agli altri compagni, il piccolo aveva più difficoltà a nuotare ma nonostante tutto non mollava. Capitava che era l’ultimo a finire l’allenamento e rimaneva, quindi, solo ad aspettare la madre. Accadeva qualche volta che Stephan, vedendolo soletto, rimaneva un po’ con lui a fargli compagnia. E allora gli raccontava della sua passione per il mare, dei suoi allenamenti segreti in piscina ,la sera tardi, quando si svuotava. Raccontava tutto con una dolcezza tale che Leo prestava attenzione a tutto quello che diceva. Col tempo Leo si legò molto a Stephan, considerandolo il fratello maggiore.
Capitava qualche volta che Leo si trattenesse a casa di Stephan ad aspettare la madre e così ebbe modo di conoscere anche i suoi fratelli e la sorella . Accadeva che quando c’erano delle feste a Casablanca, Leo si accodasse alla famiglia di Stephan. Nel mese di agosto a Casablanca si svolge il moussem di Tboreda dove dieci squadre composte ognuna da dieci fantini, muniti di appositi fucili si scontrano . La suddetta festa dura sette giorni in sette città diverse, tra cui El- Jadida, Tangeri.
Parte una prima squadra, l’obiettivo è quello di sparare tutti contemporaneamente così da produrre un unico suono. Vince la squadra che riesce nell’intento e il premio che ogni fantino riceve è la djellaba. Termine francese per indicare una veste lunga con cappuccio. Al piccolo questo spettacolo piaceva, incuriosito per la sua tenera età dai fucili, per lui innocui giocattoli, tanto grandi rispetto alla sua piccola pistola che aveva a casa e con la quale si divertiva a impaurire la nonna.
Al bambino piacevano molto le feste e così Stephan lo portò a vederne un’altra che si teneva non lontano da Casablanca, precisamente a Tafraoute<città rossa>.È una festa molto divertente e particolare che si svolge nel mese di Febbraio, il cui nome è la “Festa dei mandorli in fiore”.
Giovani arabi suonano musica caratteristica del posto e durante questa solennità gli abitanti regalano ai turisti dei fiori rossi e gialli. E agli stranieri che non possono fare a meno di tornarci ,i cosiddetti “affezionati”, i cittadini di Tafraoute fanno dei regali speciali , i <balka> scarpe appuntite o il <kangiar> dono speciale che consiste in un coltello tutto decorato. I beneficiari, appunto, di questi doni ricambiano la benevolenza degli abitanti offrendo loro del denaro.
Tafraoute è un villaggio situato a 1000 metri di altezza in una vallata dell’ Anti Atlante. Di grande attrazione sono le sue montagne rosee e le rocce blu. Fu un artista belga Jean Verame che nel 1984 dipinse di blu le rocce.
Le case di Tafraoute sono tutte di colore rosso, mentre le finestre sono bianche.
La festa che più gradiva Leo era quando si festeggiava il compleanno del re del Marocco. Per i musulmani è un giorno importante e sacro. Tutto si ferma. Nessuno lavora.
Attualmente in Marocco l’11 aprile si festeggia il compleanno del re Mohamed VI, sul trono dal 1999. Si considera il trentaseiesimo discendente diretto di Maometto e <principe dei fedeli>,massima autorità religiosa del paese.
I bambini, in occasione di quella giornata ,appena si alzano, chiedono alle loro madri l’abito nuovo da indossare. Gli adulti invece indossano la djellaba. Questa festa può essere paragonata al nostro Natale . C’è l’usanza di festeggiare insieme alla famiglia questa solennità. Si suole preparare un grande pranzo. Al centro della tavola vengono poste verdure diverse, tra cui patate fritte e pomodori di cui sono golosi gli arabi. In Marocco non esiste la distinzione tra il primo piatto e il secondo esistente invece da noi. Il piatto “forte” ,allora, è costituito dal secondo ,in genere carne di mucca . Pietanza che viene presentata su di un vassoio contornato da prugne.
Anche a casa di Stephan si preparava la carne di mucca. Capitava spesso che Leo e la madre venivano invitati anche loro a pranzo in occasione del compleanno del re Mohamed V. Leo era contento di essere seduto a tavola con tante persone. Si sentiva felice. La madre era lieta nel vederlo così. Ricordava le tante notti in cui il suo bambino non riusciva a dormire perché gli mancava il papà . Il padre lo aveva perso quando lui aveva quattro anni. Leo trascorreva molto tempo con il papà. Mano nella mano passeggiavano per le vie di Casablanca.. Osservavano insieme il volo degli uccelli. Contemplavano per ore i bei tramonti della città. E ritornavano sempre a casa sorridenti. Ma ora tutto questo era solo un ricordo per la madre. Adesso era davvero contenta che suo figlio stava bene con i suoi nuovi amici.
L’amicizia di Stephan con il bambino non si interruppe neanche quando, non potendone più di “ dare la cera” in piscina, decise di smettere con quel lavoro e di guardarsi intorno per cercare qualche altra cosa da fare. Trascorse sei mesi senza far nulla. Si guardò intorno. Rimase colpito dalle file di macchine da cucire meccaniche che pullulavano a Casablanca. Decise quindi di imparare quell’arte e così passato un anno di apprendistato, a diciotto anni, entrò in una fabbrica dove vi rimase a lavorare per due anni.
In questo periodo Stephan ebbe modo di conoscere un giovane di nome Christian. Aveva insegnato per dieci anni nella scuola media e conosceva quattro lingue. Aveva rinunciato al suo lavoro, perché pressato dalla sua famiglia che gli chiedeva continuamente soldi. Il giovane cercò di arrangiarsi lavorando sia nella fabbrica sia facendo business , vendendo cioè vestiti. Capitava che nel giorno di festa per i musulmani, il venerdì, si mettevano in viaggio per qualche città vicina, per evadere dalla routine di tutti i giorni. Tra le città da loro visitate Essaouira era quella che Stephan prediligeva perché la vedeva una città dinamica. Essaouira è detta “la perla del Marocco” e in arabo significa “muraglia”.
Essaouira era nel passato una importante base di sosta per le navi che si dirigevano verso il Sud- Africa e le Indie. Si affaccia sulle Isole Porporine, un arcipelago che la fronteggia e la protegge dalla furia dell’oceano.
Essaouira è la città che tanto piacque a Orson Welles che vi girò il celebre Otello.
A Essaouira è caratteristico la lavorazione della radica. Ci sono molte botteghe dove si lavora questo legno. L’ex- insegnante rimase colpito dalla città per le sue caratteristiche :i suoi vicoli stretti pieni di negozietti di artigianato e di souvenir, le case dipinte di bianco, le finestre bordate di blu. Ma ciò che più lo affascinava era il porto dove c’erano diversi stand. C’era la gente seduta sui tavolini che mangiava il pesce cucinato al momento.
Granchi, aragoste, gamberi vengono esposti su enormi banconi dove viene data l’opportunità alle persone molto ghiotte di questo cibo di scegliere a proprio piacimento il pesce che più gradisce.
Anche Christian incuriosito chiedeva del pesce. Trovava molto rilassante questo momento. Mangiava in un luogo aperto, vicino al porto e con il puzzo del pesce che gli rimaneva per l’intera giornata. Era contento. Non poteva, però, condividere questo momento con Stephan che non riusciva a sopportare l’odore di pesce e così approfittava per andare alla baia e rilassarsi un po’ sulla spiaggia di sabbia fine.
Scrittori e registi contemporanei oggi vengono a Essaouira per assaporare l’atmosfera nostalgica e romantica , scandita dal rumore delle onde del mare e dalle grida stridule ed ininterrotte dei gabbiani che a centinaia si levano in cielo.
Essaouira inoltre è la capitale marocchina della musica.
Infatti qui ,ogni anno, per sei giorni si tiene una grandissima festa , cui partecipano tantissime persone provenienti da tutto il mondo, americani, francesi ,inglesi, italiani ,dove si suona la musica
di Gnaoua. I musicisti suonano sia strumenti a percussione detti djembés sia quelli a corda, detti guembris. Tutto si svolge sotto la guida di Abdeslam Alikane, capobanda degli Gnaoua.
A Stephan e ai suoi fratelli la musica degli Gnaoua piaceva molto .Andavano a Essaouira per assistere esclusivamente a questo spettacolo.
È straordinaria la forza della musica, il suo potere quasi magico di tenere legate tante persone diverse tra loro, cristiani e musulmani.
Stephan nel panorama della musica italiana preferisce Zucchero.
A Essaouira Stephan ebbe modo di conoscere tanti turisti. Rimase colpito soprattutto dagli italiani: persone simpatiche ed espansive. Immaginò l’Italia come il paese che gli poteva offrire una migliore sistemazione lavorativa. Incominciò a pensarci. Enorme sarebbe stato il sacrificio di allontanarsi dalla sua famiglia, dai suoi ricordi, dalle sue abitudini. Era consapevole che la strada da percorrere non sarebbe stata facile. Sistemazioni diverse e conoscenze varie gli si prospettavano davanti. E così venne il giorno, nel settembre del 2003, in cui Stephan salutò la sua famiglia, la sua cara madre e i fratelli. Il distacco fu doloroso, come ogni allontanamento. Era partito già con un progetto nella testa: che se avesse trovato una migliore sistemazione economica, sarebbe potuto ritornare a Casablanca con un bel gruzzoletto e comprare così una casa tutta per lui. Oggi questo progetto lo ha realizzato.
Prese un treno che lo portò prima in Tunisia; da qui con l’aereo arrivò in Turchia.
Istanbul fu la prima città che si trovò davanti agli occhi. Aveva viaggiato molto, ma ne era valsa la pena. Aveva davanti a sé una città straordinaria. Fu colpito dalle moschee con gli svettanti minareti, dal palazzo Topkapi con i celebri gioielli .Stephan vi trascorse alcuni giorni prima di proseguire il viaggio che lo avrebbe portato in Grecia.
Girando per le strade di Istanbul Stephan fu molto impressionato dal palazzo di Topkapi Saray, la straordinaria residenza dei sultani ottomani.
Qui sono infatti conservati gioielli preziosi, costumi imperiali e le reliquie del profeta Maometto.
Girando per Istanbul rimase però colpito quando entrò nella Moschea blu. Quando vi mise piede ne ammirò la bellezza. Ricordava che un simile sentimento lo aveva provato quando da piccolo era entrato in quella di HASSAN II a Casablanca.
Costruita nel XVII secolo per volontà del sultano Hamet I. È detta così per il colore suggestivo delle maioliche che la rivestono. Questa mosche inoltre possiede sei minareti.
Stephan per alcuni giorni passeggiò per le vie di Istanbul. Conobbe un pakistano. Il suo nome era Alì. Era ad Istanbul da un paio di anni. Lavorava in un saponificio. Aveva lasciato la sua terra spinto , come Stephan, dal desiderio di trovare una migliore sistemazione. Stephan gli parlò del suo progetto di viaggio; gli disse che era diretto in Grecia perché lì abitava infatti suo fratello che aveva trovato lavoro come imbianchino. Stephan e Alì trascorsero alcuni giorni insieme, andando a zonzo per la città . Alì fece notare al suo amico come in Turchia, paese musulmano, il giorno di festa non era il venerdì ma la Domenica. In quel giorno rimanevano chiusi gli uffici e le strutture pubbliche.
Venne per Stephan il giorno di salutare Alì. Un nuovo viaggio lo attendeva.
Con pochi soldi in tasca, Stephan si trovò a dormire a cielo aperto. Aveva con sé solo un piccolo zaino con poca roba. Trascorse così cinque giorni. Un cammino lungo e faticoso lo aspettava . Doveva oltrepassare la frontiera tra Turchia e Grecia.
Il viaggio fu lungo e faticoso. Si incamminò per un tratto di strada a piedi. Durante il cammino Stephan si trovò a dover attraversare un lago. Lo fece a nuoto con lo zaino caricato sulle spalle. Nella traversata sentì tutta la fatica e la stanchezza nelle braccia . Per fortuna non durò molto l’attraversamento. Arrivato sulla sponda, si riposò . Sentì la necessità di rilassarsi quel tanto prima di riprendere il cammino. Nel frattempo disteso a terra ripensava a quanto gli erano stati utili i suoi allenamenti in piscina e alle tante ore passate ad allenarsi.
In seguito con i mezzi raggiunse la città di Ferai . Sostò lì solo per una nottata. Il mattino successivo ripartì di nuovo. La sua meta era Salonicco.
Salonicco la chiamano “la ninfa del golfo Thermaico”. Deve il suo nome alla figlia del re Filippo II, Thessalonika.
Lì abitava suo fratello Fati. Stephan durante il viaggio ripensava al giorno in cui il fratello per primo lasciò Casablanca per trovare altrove una migliore sistemazione. A Salonicco Fati l’aveva trovata; lavorava come imbianchino in una ditta. Dopo un lungo viaggio Stephan arrivò a destinazione. Del suo arrivo il fratello ne era stato informato dalla madre. Grande fu la gioia dei due fratelli quando si rividero e si poterono abbracciare. Infatti da quando Fati aveva lasciato Casablanca da circa un anno , si erano sentiti solo telefonicamente. L’emozione fu tanta.
Stephan fu ospitato a casa del fratello. Fu sistemato in una piccola stanza occupata da un letto e un piccolo armadio. Il fratello Fati si preoccupò di fargli trovare un’occupazione. Parlò con il suo capo che però non gli fece sperare niente di buono. Il caso volle ,però, che un imbianchino della ditta si ammalò e così Stephan si trovò a sostituirlo per una settimana. Si trovò ad imparare un mestiere per lui nuovo. Lui che a Casablanca aveva lavorato prima come addetto alle pulizie e poi in una fabbrica come cucitore. Ma Stephan non si perse d’animo. Fianco a fianco con il fratello riuscì nella sua nuova opera.
Finì la settimana di lavoro. Stephan trascorse un mese a Salonicco senza trovare alcunché da fare. E così si trovava a trascorrere molto tempo all’aria aperta. Girava così per le strade della città. Le vie ai lati della Piazza Aristotele erano la mete preferite di Stephan. Lì si teneva il mercato dove si trovava un po’ di tutto. C’era molta gente che si accalcava. I venditori facevano a gara a chi gridava più forte ,mentre i pescatori mostravano lieti i pesci freschi da loro pescati. Il tempo a sua disposizione si era concluso. E così Stephan decise che era venuto il momento di lasciare Salonicco.
Si imbarcò. Dopo un viaggio lungo arrivò nella terra da lui tanto agognata: l’Italia. Arrivò a Genova. Lì lo aspettava un suo amico del Marocco che era al corrente della sua venuta. Stephan era felice di essere arrivato in Italia. Si aspettava ora una vita diversa. Un capitolo nuovo della sua vita sarebbe cominciato. Il suo amico che lavorava al porto come scaricatore doveva aiutarlo a trovare un’occupazione similare. Ma le cose non andarono così. Stephan stette a Genova solo nove giorni. Neanche il tempo di adattarsi. Il suo amico aveva contattato nel frattempo in Spagna un altro loro connazionale per vedere se lì c’era possibilità di lavoro per Stephan. E così l’arrivo in Italia non portò a Stephan i frutti desiderati. Lui che aveva riposto mille speranze in quel viaggio.
Si trovò quindi a spostarsi nuovamente. Barcellona fu la sua nuova meta. Trovò lavoro in una fabbrica. Come cucitore. Oramai si era specializzato in quel settore e dava ,quindi, ottimi risultati. Nella fabbrica Stephan si distingueva; era molto veloce e attento ad ogni particolare. Intento al suo lavoro non si distraeva. E fu così che una mattina si presentò da lui una signora. La donna, di nome Jane, era sposata ad un giovane del Marocco. Suo cognato che lavorava anche lui nella fabbrica aveva parlato bene di Stephan. Lo aveva elogiato per la sua bravura a cucire vestiti. Allora Jane propose a Stephan di realizzare per lei degli abiti. Stephan accettò di buon grado.
Jane lo invitò a casa sua. Era una signora di circa trent’anni, piccola di statura. Aveva gli occhi verdi. Gli presentò la sua famiglia. Aveva due bambini. Il più grande si chiamava Bijam. Aveva dieci anni. Il più piccolo Asis ne aveva sei. Jane raccontò a Stephan la sua storia. Venivano da Essaouira. Il marito lavorava lì saltuariamente come imbianchino. Capitava che per dei mesi era senza lavoro. I bambini crescevano, le necessità aumentavano. Insieme maturarono la decisione di allontanarsi dal Marocco; la Spagna era la loro meta. Jane e il marito speravano che i loro figli si adattassero alla cultura europea senza troppi traumi. Immaginavano per loro un futuro migliore. Jane raccontò a Stephan delle difficoltà iniziali, arrivati a Barcellona, nel trovare un alloggio. Barcellona era una grande città . Dopo tante ricerche, riuscirono a trovare una piccola casetta. E in questa casetta avevano ricominciato.
Trapiantati in questa nuova realtà, incominciarono a prendere contatto con la città, con le sue vie. Jane ricordò la volta in cui lei e il marito si trovarono a percorrere a piedi la Rambla, una zona della città di Barcellona. Rimasero affascinati dall’osservare la moltitudine di giovani, artisti di strada, turisti e catalani alla ricerca del divertimento.
Jane disse a Stephan che ciò che più la colpì dapprincipio in questa città era l’aspetto della donna europea. Girando per le strade di Barcellona, si accorgeva sempre più delle differenze tra le europee e le musulmane. Differenze che riguardavano i modi di vestire e di truccare. Notava l’assoluta libertà di cui godeva il “gentil sesso”. Libertà nell’indossare una gonna corta, una maglietta elasticizzata e nel truccarsi liberamente. Paragonava questa assoluta emancipazione alla rigidità che un tempo esisteva in Marocco. Jane ricordava che ai tempi di sua madre alla donna era vietato truccarsi e tingersi i capelli. Una legge lo proibiva. Per quanto riguardava l’abbigliamento l’unico abito che la donna poteva indossare era la djellaba: un lungo vestito che la copriva tutta. Solo gli occhi erano visibili.
A distanza di quasi mezzo secolo le cose erano leggermente cambiate. Non esisteva più il divieto per le donne di truccarsi. Anche Jane ora poteva colorare un po’ il suo viso, per renderlo più luminoso, dal momento che il volto poteva essere scoperto. Adesso i capelli si potevano tingere. Gli abiti, invece, erano sempre tali da coprire per intero la persona.
E fu così che Stephan iniziò a frequentare la casa di Jane. Andava ogni pomeriggio, dopo il lavoro in fabbrica, per cucirle gli abiti. Si metteva in un angolo e lavorava con la macchina da cucire. Capitava a volte che i figli di Jane si sedevano accanto a Stephan per vederlo lavorare; gli facevano tante domande. Lui di buon grado rispondeva. Stephan aveva la capacità di mettere allegria. Era il suo sorriso il segreto per risultare simpatico soprattutto con i bambini. Bijiam e Asis avevano saputo che lui era un appassionato di calcio. Lo avevano interrogato ben bene. Avevano appreso la passione di Stephan sia per il calcio che per il mare. Al contrario del loro papà che non si interessava affatto del gioco del pallone. Preferiva starsene a casa.
E fu così che i due bambini ottennero dalla madre il permesso di poter andare allo stadio, accompagnati da Stephan. Grande fu la meraviglia quando entrarono in Camp -Nou per la prima volta, dove giocava la squadra del Barcellona.I bimbi dopo avere assistito, per la prima volta, all’incontro di calcio ritornarono a casa allegri . Jane ringraziò Stephan della sua disponibilità con i figli.
E così passarono dei mesi. Il lavoro di Stephan si avviava ormai alla fine; aveva cucito diversi abiti per la signora che rimase soddisfatta del lavoro svolto dal giovane. Stephan ebbe modo, però, di rivedere i figli di Jane. La domenica, quando poteva, li portava allo stadio.
Ma una volta capitò che i due bimbi accompagnarono Stephan a vedere una cosa che a loro era piaciuta. Stephan si lasciò guidare dalle due piccole guide turistiche. Si trovò davanti a una costruzione enorme. La Sagrada Familia. Bijiam e Asis sapevano bene la storia del monumento. La raccontarono a Stephan. Un grande architetto catalano di nome Antonio Gaudì nel 1884 ottenne la direzione dei lavori della Basilica della Sagrada Familia. Non era stata terminata, come prevedeva l’autore al momento di redigere il progetto. L’architetto era sepolto nella cripta della Sagrada Familia.
Bijiam e Asis gliela mostrarono di sera, perché tutta illuminata. A loro piaceva quello spettacolo di luci che brillavano nel cielo.
Capitava anche che tutti e tre andavano in giro per la città alla scoperta di nuovi posti. Si ritrovarono, una mattina di primavera, a percorrere una collinetta. Il tratto di strada era pendente. I piccoli si lamentarono durante il percorso del cammino faticoso da fare. Al termine del tragitto si trovarono il Parc Guell. Ci entrarono dopo aver salito una grande scalinata al termine della quale si aprì davanti ai loro occhi un colonnato chiamato “delle cento colonne” e un soffitto ricoperto di mosaici bellissimi. Girarono per alcune ore in questo parco. Ammirarono gli alti alberi. Percorsero stradine strette, porticati. Al termine del percorso visitarono la casa Museo Gaudì.
Per quanto piccini che erano, Bijiam e Asis si accorsero col tempo della tristezza che trapelava sul volto di Stephan. Lo avevano sempre visto sorridere. Ora, invece, un velo di tristezza adombrava il suo volto. Stephan nascondeva loro il reale motivo di quel mutamento, dicendo che in fabbrica si lavorava molto. In realtà Stephan sapeva bene il motivo del suo disagio.
Pensava al suo arrivo in Spagna. Era stato per lui casuale. Non era quello il percorso che si era tracciato allontanandosi da Casablanca. L’Italia, terra tanto desiderata, tanto cercata, era lontana dal suo orizzonte. Ricordava il breve passaggio nel nostro bel paese. La sua nave attraccò a Genova dove vi rimase per soli sette giorni. Troppo pochi per lui che voleva trovare in Italia un lavoro dignitoso e un posto migliore dove poter vivere.
E così passarono nove mesi. Era inverno. Stephan oramai era deciso a lasciare Barcellona. Era pronto ad affrontare un nuovo viaggio e superare nuovi ostacoli.
Prima di partire, salutò Bijiam e Asis con la promessa che un giorno si sarebbero rivisti. I due fratelli insieme alla madre lo accompagnarono al porto. I piccoli avevano visto in tv alcune scene di adii. Erano rimasti colpiti dalle persone che, nel salutare i propri cari, sventolavano i fazzoletti. E così fecero anche loro. I piccoli, seppure divertiti dal loro gesto di agitare i moccichini, non riuscirono a nascondere le lacrime al momento della partenza della nave.
Pensavano che adesso non sarebbero andati più allo stadio.
Carmen Bilancio