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Umberto Saba, le poesie più belle

Umberto Saba è stato uno dei poeti più importanti del Novecento italiano, capace di raccontare il quotidiano attraverso una lingua semplice e concreta

Umberto Saba (9 marzo 1883 – 25 agosto 1957) è stato il narratore delle piccole cose e della realtà quotidiana. 

Le poesie di Umberto Saba sono state raccolte nel Canzoniere, una vera e propria autobiografia poetica d’autore, in cui vengono presentati e trasfigurati liricamente gli episodi importanti della vita del poeta.

I componimenti di Saba sono caratterizzati da un tono umile e colloquiale.

Riguardano in modo particolare la sua esperienza quotidiana, la vita in famiglia e gli affetti privati, su cui si innestano riflessioni sulla sofferenza e sulla natura umana, calate sullo sfondo, concreto e personalissimo, della città di Trieste.

Le poesie più belle di Umberto Saba

Trieste

Ho attraversato tutta la città.
Poi ho salita un’erta,
popolosa in principio, in là deserta,
chiusa da un muricciolo:
un cantuccio in cui solo
siedo; e mi pare che dove esso termina
termini la città.

Trieste ha una scontrosa
grazia. Se piace,
è come un ragazzaccio aspro e vorace,
con gli occhi azzurri e mani troppo grandi
per regalare un fiore;
come un amore
con gelosia.
Da quest’erta ogni chiesa, ogni sua via
scopro, se mena all’ingombrata spiaggia,
o alla collina cui, sulla sassosa
cima, una casa, l’ultima, s’aggrappa.
Intorno
circola ad ogni cosa
un’aria strana, un’aria tormentosa,
l’aria natia.

La mia città che in ogni parte è viva,
ha il cantuccio a me fatto, alla mia vita
pensosa e schiva.

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Sera di febbraio, 

Sera di febbraio
Spunta la luna.
Nel viale è ancora
giorno, una sera che rapida cala.
Indifferente gioventù s’allaccia;
sbanda a povere mete.
Ed è il pensiero
della morte che, infine, aiuta a vivere.

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Amai

Amai trite parole che non uno
osava. M’incantò la rima fiore
amore,
la più antica, difficile del mondo

Amai la verità che giace al fondo,
quasi un sogno obliato, che il dolore
riscopre amica. Con paura il cuore
le si accosta, che più non l’abbandona.

Amo te che mi ascolti e la mia buona
carta lasciata al fine del mio gioco.

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Ulisse

Nella mia giovinezza ho navigato
lungo le coste dalmate. Isolotti
a fior d’onda emergevano, ove raro
un uccello sostava intento a prede,
coperti d’alghe, scivolosi, al sole
belli come smeraldi. Quando l’alta
marea e la notte li annullava, vele
sottovento sbandavano più al largo,
per fuggirne l’insidia. Oggi il mio regno
è quella terra di nessuno. Il porto
accende ad altri i suoi lumi; me al largo
sospinge ancora il non domato spirito,
e della vita il doloroso amore

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Il poeta

Il poeta ha le sue giornate
contate,
come tutti gli uomini; ma quanto,
quanto variate!

L’ore del giorno e le quattro stagioni,
un po’ meno di sole o più di vento,
sono lo svago e l’accompagnamento
sempre diverso per le sue passioni
sempre le stesse; ed il tempo che fa
quando si leva, è il grande avvenimento
del giorno, la sua gioia appena desto.

Sovra ogni aspetto lo rallegra questo
d’avverse luci, le belle giornate
movimentate
come la folla in una lunga istoria,
dove azzurro e tempesta poco dura,
e si alternano messi di sventura
e di vittoria.

Con un rosso di sera fa ritorno,
e con le nubi cangia di colore
la sua felicità,
se non cangia il suo cuore.
Il poeta ha le sue giornate
contate,
come tutti gli uomini;ma quanto,
quanto beate!

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A mia figlia

Mio tenero germoglio,
che non amo perché sulla mia pianta
sei rifiorita, ma perché sei tanto
debole e amore ti ha concesso a me;
o mia figliola, tu non sei dei sogni
miei la speranza; e non più che per ogni
altro germoglio è il mio amore per te.

La mia vita mia cara
bambina,
è l’erta solitaria, l’erta chiusa
dal muricciolo,
dove al tramonto solo
siedo, a celati miei pensieri in vista.
Se tu non vivi a quei pensieri in cima,
pur nel tuo mondo li fai divagare;
e mi piace da presso riguardare
la tua conquista.

Ti conquisti la casa a poco a poco,
e il cuore della tua selvaggia mamma.
Come la vedi, di gioia s’infiamma
la tua guancia, ed a lei corri dal gioco.
Ti accoglie in grembo una sì bella e pia
Mamma, e ti gode. E il suo vecchio amore oblia.

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La mia fanciulla

La mia fanciulla snella e polposetta
è come un arboscello con le poma:
una ne mangi ed un’altra t’alletta.
La mia piccola cara è una bambina.

Teme, se tardi rincasa, legnate,
suo castigo di quando era piccina.
E quando fa quella proibita cosa
si volge, e manda sospettose occhiate,
per veder se la mamma è là nascosa.

La mia piccola cara è troppo audace.
Mette la testa con la grande chioma
fra le mani, e mi guarda a lungo e tace.

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La capra

Ho parlato a una capra.
Era sola sul prato, era legata.
Sazia d’erba, bagnata
dalla pioggia, belava.
Quell’uguale belato era fraterno
al mio dolore. Ed io risposi, prima
per celia, poi perché il dolore è eterno,
ha una voce e non varia.
Questa voce sentiva
gemere in una capra solitaria.
In una capra dal viso semita
sentiva querelarsi ogni altro male,
ogni altra vita.

Umberto Saba, il poeta del quotidiano

Umberto Saba è lo pseudonimo di Umberto Poli, nato nel 1883 a Trieste. Di origini ebraiche per parte di madre, il piccolo Umberto Saba viene accudito nei primi anni di vita da Peppa, una balia slovena cattolica a cui lui resterà per sempre legato.

Quando la madre lo riprende con sé e lo allontana da Peppa, Umberto subisce un trauma che in seguito racconterà nelle sue poesie.

Dopo aver trascorso alcuni anni a Padova da parenti, il giovane ritorna a Trieste e vive con la madre e le zie, in totale assenza di una figura maschile, poiché il padre aveva abbandonato la famiglia prima della nascita dello stesso Umberto Saba.

Il periodo dell’adolescenza è segnato dalla malinconia e dallo studio dei classici della letteratura. Nel 1903, Saba si trasferisce a Pisa per frequentare alcuni corsi dell’università.

Inizia con le lezioni di letteratura italiana, ma ben presto li lascia per seguire quelli di archeologia, tedesco e latino. In questo periodo, viene colto per la prima volta da un attacco di nevrastenia.

Vive a Firenze, si trasferisce a Salerno per il servizio militare e infine, nel 1908, Saba torna a Trieste, dove sposa con rito ebraico Carolina Wölfler, l’amata Lina celebrata nei suoi versi.

L’anno seguente nasce Linuccia. Nel 1911 pubblica sotto pseudonimo la sua prima raccolta. Comincia per lui la carriera di poeta.

Vincitore di numerosi premi, Saba non abbandonerà mai la passione per la scrittura, neanche dopo aver assistito agli orrori del XX secolo.

Nel Dopoguerra, si avvicina a Carlo Levi ed Eugenio Montale, amici a cui resterà legato fino alla morte, avvenuta nel 1957 a Gorizia, nella clinica in cui si era fatto ricoverare sperando di mitigare gli attacchi nervosi da cui era affetto.

Umberto Saba in un Video

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