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“Shemà (Se questo è un uomo)”, la poesia di Primo Levi per riflettere sulla Shoah

Se questo è un uomo è una poesia estratta dall’omonimo libro del 1947 di Primo Levi, una delle opere principali da rileggere in vista della giornata della memoria.

Quando parliamo della Giornata della Memoria, di Shoah e dell’importanza che ha il ricordo della storia, “Se questo è un uomo” è forse il libro e anche la poesia che contiene e dal titolo Shemà, che ci viene subito in mente.

La poesia “Shemà” riporta la data del 10 gennaio 1946, l’anno prima ed esattamente il 27 gennaio 1945 Primo Levi veniva liberato da Auschwitz.

Il poeta rivive l’esperienza traumatica vissuta nel campo di concentramento e la condivide con i lettori. Primo Levi attraverso la poesia rivolge un appello a tutta l’umanità, affinché non venga mai dimenticato ciò che è accaduto.

Bisogna tenere viva la memoria dell’orrore della deportazione e dello sterminio degli ebrei raccontando la Shoah ai propri figli, per far sì che mai più possa ripetersi  una tale follia.

Cosa significa Shemà

Shemà è un termine ebraico che significa “ascolta” ed è l’inizio di una preghiera ebraica che viene recitata dagli ebrei due volte al giorno, al mattino e alla sera, e che inizia con le parole “shemà Israel”, “ascolta Isreale”.

Sia il testo liturgico, sia la poesia, sono un imperativo a ricordare e trasmettere di padre in figlio, nel primo caso i fondamenti della religione ebraica e nel secondo caso la Shoah.

Se questo è un uomo è uno di quei libri sulla Shoah veri, crudi, severi, che ci raccontano la storia dall’interno, regalandoci il punto di vista di chi, certi orrori, li ha visti e subiti.

Il racconto dei campi di concentramento che ci offre Primo Levi, è un racconto che ci fa guardare in faccia la storia. Il racconto di chi è sopravvissuto.

Rileggiamo questa poesia che, se pur molto forte, rappresenta uno degli esempi più forti della letteratura di guerra.

Il significato della poesia di Primo Levi

Primo Levi si rivolge a tutti coloro che conducono una vita normale, tranquilla e confortevole, affinché non chiudano gli occhi davanti alla sofferenza e alla condizione di disumanità vissute da coloro che sono stati rinchiusi nei campi di concentramento.

L’umiliazione, la prevaricazione, la perdita dell’identità, la ferocia, la violenza fanno parte di questa testimonianza. Milioni di ebrei hanno dovuto consegnare le loro vite in mano a dominatori barbari che hanno saputo creare solo sterminio. 

Primo Levi con Shemà spinge l’umanità a riflettere e a tramandare il ricordo di tanta brutalità. Non bisogna mai dimenticare e serve tramandare alle nuove generazione il ricordo di un qualcosa che non dovrebbe mai più avvenire.

La poesia si conclude con un monito per coloro che rimarranno indifferenti all’imperativo della memoria, sui quali, come una maledizione, si abbatteranno tragedie e castighi.

Shemà (Se questo è un uomo) di Primo Levi

Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un si o per un no.
Considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via,
coricandovi, alzandovi.
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi.

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La testimonianza di Primo Levi

Se questo è un uomo  di Primo Levi, pubblicata nel 1947 e considerata una delle opere più importanti sulla Shoah. “Shemà”, che significa proprio “ascolta” apre l’opera.

L’obiettivo dell’autore è raccontare gli orrori, le paure, le sfumature di chi ha subito la storia all’interno di Auschwitz. Una poesia scritta in 23 versi liberi, che elenca le condizioni disumane in cui riversavano le persone lì dentro.

Gli ascoltatori siamo noi, noi che, come scrive Levi, ci troviamo nelle tiepidi case, torniamo a casa con gli amici e mangiamo piatti caldi.

La prima immagine che descrive l’autore è perciò l’immagine di “normalità”, contrapposta, successivamente, ad un’altra immagine: la disumanità. La disumanità di chi lavora nel fango, non mangia, non conosce pace.

La disumanità di chi muore per “un si o per un no”. Continua poi descrivendo le donne, private della loro dignità, della loro femminilità (senza capelli e senza nome, senza più forza di ricordare, vuoti gli occhi e freddo il grembo, come una rana d’inverno”).

Per non dimenticare

La testimonianza diventa preziosa, perciò, per farci riflettere, per farci meditare sulle oscurità del nostro passato, sulle violenze che gli stessi esseri umani hanno fatto ad altri.

La testimonianza di Primo Levi diventa un modo per prendere in causa noi, oggi, i nostri posteri, con la speranza di non far accadere più determinati orrori.

Questa è ciò che la memoria dovrebbe fare: insegnarci. Riflettiamo oggi più di ieri sull’importanza della vita, davanti ad una poesia ed un racconto di chi la vita l’ha vista strappata via.

Un’insegnamento da portare sempre con sé 365 giorni l’anno, non solo il 27 gennaio in occasione della Giornata della Memoria.

Primo Levi

Primo Levi nacque a Torino nel luglio del 1919. Chimico per professione, partigiano per fede e scrittore per vocazione, nell’arco della sua vita ha pubblicato racconti, romanzi, poesie, memorie e saggi.

Catturato il 13 dicembre 1943 da una milizia fascista ad Amay in Valle d’Aosta, fu immediatamente mandato nel campo di Fossoli, in provincia di Modena, e nel febbraio del 1944, con altri 650 detenuti ebrei, fu trasferito nel campo di concentramento di Auschwitz, in Polonia.

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