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“Mattino” di Cesare Pavese, un racconto-poesia impregnato di tenera malinconia

"Ogni giorno è un miracolo senza tempo,/ sotto il sole". In occasione del compleanno di Cesare Pavese, scopriamo "Mattino", la tenera poesia in cui l'autore racconta un ricordo velato di malinconia.

In occasione del compleanno di Cesare Pavese, nato il 9 settembre 1908 a Santo Stefano Belbo, ci lasciamo trasportare nel mondo evocativo e malinconico di “Mattino“, la cinquantacinquesima poesia contenuta nella raccolta “Lavorare stanca“.

Cesare Pavese, conosciuto soprattutto per le sue splendide opere in prosa, è stato, infatti, anche un grande poeta. La sua voce, incredibilmente distintiva, ha saputo raccontare l’Italia della prima metà del Novecento, con particolare attenzione alla parte settentrionale del Paese e alla realtà contadina del Piemonte.

Cesare Pavese ha inoltre espresso emozioni e stati d’animo che con i suoi versi si sono irradiati di lettore in lettore, riuscendo a parlare ad ognuno di essi: basti pensare alla famosissima “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi“.

“Mattino” di Cesare Pavese

La finestra socchiusa contiene un volto
sopra il campo del mare. I capelli vaghi
accompagnano il tenero ritmo del mare.
Non ci sono ricordi su questo viso.
Solo un’ombra fuggevole, come di nube.
L’ombra è umida e dolce come la sabbia
di una cavità intatta, sotto il crepuscolo.
Non ci sono ricordi. Solo un sussurro
che è la voce del mare fatta ricordo.
Nel crepuscolo l’acqua molle dell’alba
che s’imbeve di luce, rischiara il viso.
Ogni giorno è un miracolo senza tempo,
sotto il sole: una luce salsa l’impregna
e un sapore di frutto marino vivo.
Non esiste ricordo su questo viso.
Non esiste parola che lo contenga
o accomuni alle cose passate. Ieri,
dalla breve finestra è svanito come
svanirà tra un istante, senza tristezza
né parole umane, sul campo del mare.

“Mattino”, sublimazione di una notte d’amore

Leggiamo “Mattino” e sentiamo, forse prima di riuscire a cogliere l’immagine nella sua chiarezza, una diffusa sensazione di malinconia, quella tenera, quasi piacevole, che ci scorre in corpo quando l’atto del ricordo rappresenta un ritorno volontario a momenti forti della nostra esperienza.

La finestra socchiusa contiene un volto
sopra il campo del mare. I capelli vaghi
accompagnano il tenero ritmo del mare.
La finestra che si schiude lentamente ci offre una prospettiva nella memoria dell’autore, in cui una figura femminile si confonde con il ricordo del mare. La donna evocata è Fernanda Pivano, che nel corso della relazione con Pavese si dimostra interessata ma non troppo coinvolta. Il suo volto sembra sublimarsi nella mente dell’io lirico, rarefatto in una suggestione che accosta l’immagine di Fernanda a uno dei dipinti più celebri al mondo: “La nascita di Venere” di Sandro Botticelli.
Con “Mattino”, infatti, Pavese imprime su carta uno dei ricordi legato alle notti d’amore con la traduttrice e scrittrice ligure, trasformando il desiderio e la passione in arte, pura poesia capace di parlare al cuore di chiunque vi si approcci. Così anche noi, distanti nello spazio e nel tempo dal mondo tenero e doloroso di Cesare Pavese, ci sentiamo partecipi della malinconia espressa in “Mattino”, pervasi dalle atmosfere di un passato che non ritorna ed è piacevole da rievocare con la dolcezza che è propria solo della nostalgia.

Cesare Pavese

Cesare Pavese(1908-1950) è fuor di dubbio uno degli autori più importanti della letteratura italiana, uno scrittore e poeta che merita di essere scoperto e apprezzato anche dai lettori contemporanei. Considerato uno degli interpreti più significativi del Novecento, Cesare Pavese ha raccontato nei suoi romanzi e nelle sue poesie, molte delle quali pubblicate postume, la realtà popolare e contadina, ma con uno sguardo sempre rivolto altre letterature europee. Fu tra i primi a interessarsi alla letteratura statunitense, di cui fu anche traduttore.

 

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