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La Fontaine, la favola e il mito in “Filomela e Progne”

L'8 luglio 1621 nasceva Jean de La Fontaine. Per l'occasione, vi proponiamo una delle sue "Favole", "Filomela e Progne".

Chi non conosce Jean de La Fontaine e le sue “Favole“? Il poeta francese, che amava definirsi “anima inquieta e ovunque ospite di passaggio” ci ha lasciato molte opere splendide, fra cui spiccano l'”Adonis”, poemetto idillico in cui l’autore racconta il mito di Venere e Adone, l'”Eunuque”, rielaborazione del classico di Terenzio, ma soprattutto le “Favole”, un complesso lavoro suddiviso in più libri in cui La Fontaine ha utilizzato gli animali per mostrare i vizi e le virtù degli esseri umani. 

Ritenuto diretto continuatore degli autori classici Esopo e Fedro, Jean de La Fontaine ha prodotto con le sue “Favole” una vera e propria metafora della società. Le favole, scritte in rima, hanno un valore del tutto universale. Per questa ragione, in occasione dell’anniversario della nascita di questo grande autore della letteratura mondiale, avvenuta l’8 luglio 1621, vogliamo proporvi la lettura di una delle sue “Favole”, quella di “Filomela e Progne”, racchiusa nel Terzo Libro delle “Favole” e tradotta da Emilio De Marchi. 

“Filomela e Progne” di La Fontaine si ispira al mito greco delle due sorelle Filomela e Procne, raccontato nel VI libro delle “Metamorfosi” di Ovidio. Le due fanciulle sono figlie del re greco Pandione, che ha concesso in sposa per motivi politici Procne al re tracio Tereo. Il dramma da cui prende spunto la favola di La Fontaine ha inizio quando Procne convince il marito a recarsi ad Atene per riportarle l’amata sorella Filomela. Ritornato in patria, Tereo si approfitta della fanciulla, le mozza la lingua perché non possa parlare e la rinchiude in un luogo isolato. 

Filomela e Progne di Jean de La Fontaine

Già fu un tempo che la Rondine
la sua casa abbandonò,
e la verde solitudine
della selva ricercò,
dove spiega dolce al vento
l’Usignol il suo concento.

– Filomela, – così chiamasi
l’Usignol in vecchio stile, –
della tua dolce sorella
ti ricordi, uccel gentile?
Guarda: son la Rondinella.

Son mill’anni che non vieni
a trovarmi, da quel dì,
ti sovvieni?
che lasciasti i lidi eolici
per venir sdegnosa qui.

Or che cosa intendi fare?
di restare a stancar l’aria
del tuo canto eternamente,
disdegnosa e solitaria?

Qui non passan che selvaggi
animali e rozza gente;
il deserto, i sassi, i faggi,
non son fatti per un’anima
così dolce e intelligente.

Il tuo canto, se ritorni,
o sorella, alla città,
come già nei lieti giorni
ogni cor stupir farà.

Mentre invece questo vivere
solitaria, negli affanni,
in quest’orrido soggiorno,
non può far che porre in mente
il selvaggio,

il nefando orrendo oltraggio,
che Tereo nel bosco un giorno
sul bel corpo ti recò.
Vieni adunque, son mill’anni
che quel tempo ormai passò.

– Progne, – disse l’Usignolo, –
se il motivo vuoi sentire
che nei boschi mi trattiene,
il motivo è questo solo:
che l’immagine degli uomini
non farebbe che inasprire
il dolore e la memoria
delle mie passate pene.

Philomèle et Progné 

Autrefois Progné l’hirondelle
De sa demeure s’écarta;
Et loin des Villes s’emporta
Dans un Bois où chantait la pauvre Philomèle.

Ma sœur, lui dit Progné, comment vous portez-vous ?
Voici tantôt mille ans que l’on ne vous a vue :
Je ne me souviens point que vous soyez venue
Depuis le temps de Thrace habiter parmi nous.

Dites-moi, que pensez-vous faire ?
Ne quitterez-vous point ce séjour solitaire ?
Ah ! reprit Philomèle, en est-il de plus doux ?
Progné lui répartit : Et quoi, cette musique
Pour ne chanter qu’aux animaux,
Tout au plus à quelque rustique ?

Le désert est-il fait pour des talents si beaux ?
Venez faire aux cités éclater leurs merveilles.
Aussi bien en voyant les bois,
Sans cesse il vous souvient que Térée autrefois
Parmi des demeures pareilles,
Exerça sa fureur sur vos divins appas.

Et c’est le souvenir d’un si cruel outrage
Qui fait, reprit sa sœur, que je ne vous suis pas.
En voyant les hommes, hélas !
Il m’en souvient bien davantage.

 
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