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“Inverno”, la poesia di Umberto Saba sulla stagione che più ci affascina e ci rattrista

Ci attrae e ci deprime al tempo stesso. L'inverno è una stagione affascinante e misteriosa, che vive di contrasti. Ce lo racconta Umberto Saba nella sua poesia.

L’amore e l’inverno sono i temi principali di questa breve poesia di Umberto Saba che si intitola, appunto, “Inverno“, e che ci fa riflettere sul rapporto contraddittorio che intessiamo con questa stagione, affascinante ma anche misteriosa e un po’ malinconica.

“Inverno” di Umberto Saba

È notte, inverno rovinoso. Un poco
sollevi le tendine, e guardi. Vibrano
i tuoi capelli selvaggi, la gioia
ti dilata improvvisa l’occhio nero;
che quello che hai veduto – era un’immagine
della fine del mondo – ti conforta
l’intimo cuore, lo fa caldo e pago.
Un uomo si avventura per un lago
di ghiaccio, sotto una lampada storta.

Notte d’amore e d’inverno

I due temi, quello dell’amore e quello dell’inverno, si intrecciano in pochi, essenziali versi, in cui Umberto Saba riversa il suo stato d’animo nei confronti di una stagione che ha il potere di far sentire tanto freddo quanto caldo.

L’inverno rovinoso bussa alle porte della casa, con vento gelido che intorpidisce le strade triestine. Il paesaggio ghiacciato è buio, scaldato soltanto nel finale dalla lampada storta dell’uomo sconosciuto che si incammina nei pressi del lago.

Dentro, è tutt’altra storia: gli occhi neri e vispi della donna destinataria di “Inverno” sono vivaci, caldi. Confortati dalla vista della lampada lontana oltre la finestra, a loro volta confortano il poeta, che attraverso questa visione crea un componimento suggestivo, struggente, in cui emergono i due volti dell’inverno: col freddo che porta, ci invita a scaldarci.

Umberto Saba

Umberto Saba è lo pseudonimo di Umberto Poli, nato nel 1883 a Trieste. Di origini ebraiche per parte di madre, il piccolo Umberto Saba viene accudito nei primi anni di vita da Peppa, una balia slovena cattolica a cui lui resterà per sempre legato.

Quando la madre lo riprende con sé e lo allontana da Peppa, Umberto subisce un trauma che in seguito racconterà nelle sue poesie. Dopo aver trascorso alcuni anni a Padova da parenti, il giovane ritorna a Trieste e vive con la madre e le zie, in totale assenza di una figura maschile, poiché il padre aveva abbandonato la famiglia prima della nascita dello stesso Umberto Saba.

Il periodo dell’adolescenza è segnato dalla malinconia e dallo studio dei classici della letteratura. Nel 1903 si trasferisce a Pisa per frequentare alcuni corsi dell’università; inizia con le lezioni di letteratura italiana, ma ben presto li lascia per seguire quelli di archeologia, tedesco e latino. In questo periodo, viene colto per la prima volta da un attacco di nevrastenia.

Vive a Firenze, si trasferisce a Salerno per il servizio militare e infine, nel 1908, torna a Trieste, dove sposa con rito ebraico Carolina Wölfler, l’amata Lina celebrata nei suoi versi. L’anno seguente nasce Linuccia. Nel 1911 pubblica sotto pseudonimo la sua prima raccolta. Comincia per lui la carriera di poeta. Vincitore di numerosi premi, Saba non abbandonerà mai la passione per la scrittura, neanche dopo aver assistito agli orrori del XX secolo.

Nel Dopoguerra, si avvicina a Carlo Levi ed Eugenio Montale, amici a cui resterà legato fino alla morte, avvenuta nel 1957 a Gorizia, nella clinica in cui si era fatto ricoverare sperando di mitigare gli attacchi nervosi da cui era affetto.

Il Canzoniere” di Umberto Saba

Un’antologia per rileggere “l’uomo di pena” Saba, il cui percorso poetico è in equilibrio perfetto fra classicità e contemporaneità: la classica perfezione formale delle sue forme poetiche, dove è sedimentato il suono della migliore tradizione lirica italiana, e la sofferta testimonianza della crisi dell’uomo novecentesco.

“Saba – sosteneva Pier Paolo Pasolini – è il più difficile dei poeti contemporanei. Al più semplice esame linguistico non c’è parola in Saba, la più comune, il “cuore-amore” della rima famosa, che non risulti immediatamente violentata, o almeno, nei momenti in cui meno chiara fosse la violenza espressiva, malconcia e strappata al suo abituale significato, al suo abituale tono semantico”.

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