Giovanni Pascoli è un autore che ha concepito la poesia come un lavoro introspettivo ed intimo, volto a scavare nel quotidiano per ritrovare una dimensione infantile e primitiva dell’io.
“Il lampo” è un componimento assolutamente originale, che attraverso pochi versi ci conduce alla visione di un’immagine nitida, bellissima e a tratti spaventosa, che rimane impressa negli occhi e nel cuore. Scopriamo insieme questa poesia di Giovanni Pascoli.
“Il lampo” di Giovanni Pascoli
“E cielo e terra si mostrò qual era:
la terra ansante, livida, in sussulto;
il cielo ingombro, tragico, disfatto:bianca bianca nel tacito tumulto
una casa apparì sparì d’un tratto;come un occhio, che, largo, esterrefatto,
s’aprì si chiuse, nella notte nera”.
Il significato di questa poesia
Dove leggere “Il lampo” di Giovanni Pascoli
“Il lampo” è una poesia scritta da Giovanni Pascoli e inclusa nella terza edizione di Myricae, uscita nel 1894. Si tratta di uno dei componimenti più simbolici dell’autore, che qui fa riferimento – come avviene in diverse altre liriche pascoliane – alla perdita improvvisa e traumatica del padre.
I versi fanno parte della sezione “Tristezze”.
Un istante di verità
I sette endecasillabi che compongono la poesia hanno il potere di trasportarci, dovunque ci troviamo, nel luogo in cui il poeta sta assistendo alla visione del lampo.
Percorrendo i versi, proviamo una sensazione intensa, una meraviglia mista alla paura, come se le parole di Pascoli di fronte al fenomeno atmosferico del temporale fossero in grado di intercettare il visibile e anche l’invisibile, il semplice quanto magnifico lampo e il suo significato più intimo e nascosto.
E infatti, il lampo che accende d’un tratto la visione di una casa “bianca bianca” ci ricorda immediatamente un’altra poesia dell’autore, quella in cui il protagonista è una rondine che viene uccisa prima di poter tornare al suo nido.
Il passato che ritorna
La dimora che appare e subito sparisce con la luce del lampo è un nido caldo e accogliente dove tutto ciò che accade fuori è attutito dall’affetto. Che sia la dimora del poeta dove stava per ritornare il padre prima di essere ucciso da uno sparo – veloce e accecante come un lampo – nel cuore della sera?
Ecco da cosa è data questa miscela di sensazioni che il lettore sperimenta con la lettura di un componimento che è tanto breve ma incisivo: “Il lampo” ha come soggetto sì una scena che immortala l’immensa potenza della natura, rappresentata tanto dall’immagine del lampo quanto dai climax presenti ai vv.2-3, ma parla anche e soprattutto della morte, della perdita che un figlio è costretto a metabolizzare nella “notte nera”, mentre si apre e si chiude “l’occhio esterrefatto”, ancora incredulo per ciò che è successo.
Una poesia che si presta a molte interpretazioni e che rimane nel cuore, sempre capace di interrogarci, atterrirci ed emozionarci allo stesso tempo.
Giovanni Pascoli, una vita piena e dolorosa
Giovanni Pascoli nasce il 31 dicembre 1855 a San Mauro di Romagna, da una famiglia agiata. Il padre, Ruggiero, è fattore presso una delle tenute dei principi di Torlonia. La famiglia è molto numerosa: Giovanni è, infatti, il quarto di dieci figli.
L’infanzia di Giovanni trascorre in modo abbastanza sereno fino al 10 agosto 1867, quando una tragedia colpisce la casa: mentre torna dal mercato di Cesena, il padre di Giovanni Pascoli viene ucciso da alcuni spari. Comincia così un periodo di tristezza e difficoltà economiche, culminato con il trasferimento a San Mauro e poi a Rimini, dove il fratello maggiore di Giovanni ha trovato un ottimo lavoro.
Intanto, però, i lutti si susseguono rapidamente: nel 1868 muoiono la madre e la sorella maggiore, nel ’71 il fratello Luigi, nel ’76 Giacomo. Sebbene in difficoltà economiche, Giovanni riesce a completare i suoi studi classici e ad iscriversi alla facoltà di lettere con una borsa di studi all’Università di Bologna.
Nel 1887 la famiglia si trasferisce a Livorno, dove Giovanni Pascoli ottiene l’incarico di insegnante, dopo aver militato ed essere rimasto ferito e profondamente deluso dal mondo politico.
Le nozze di Ida e un nuovo incarico, stavolta come insegnante all’Università, stravolgono un’altra volta la vita del poeta, che si trasferisce con Mariù prima a Bologna e poi a Messina, dove ottiene l’incarico di professore di latino nell’ateneo siciliano. Nel 1905, infine, viene nominato professore di letteratura italiana all’Università di Bologna, sostituendo il suo stesso maestro, Giosuè Carducci.
Gli ultimi anni sono per Pascoli anni schivi e impegnati soprattutto nella scrittura. È ormai un poeta noto agli italiani. Scrive discorsi pubblici e e componimenti patriottici. Muore il 6 aprile 1912 a causa di un male incurabile.