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La luna come metafora dei nuovi inizi, il potente haiku di Mizuta Masahide (1657 -1723)

Un haiku potentissimo, che racconta di dolore, rinascita, cambiamento e nuovi inizi attraverso la metafora della luna.

Conosci l’arte arte degli haiku? Questi antichi componimenti giapponesi hanno fatto il giro del mondo per via della loro singolarità. Brevi, semplici e in apparenza immediati, esprimono emozioni indicibili con grazia e potenza. Oggi ne scopriamo uno di Mizuta Masahide, un haiku dedicato al tema del cambiamento, che sfrutta l’immagine della luna per raccontare i nuovi inizi.

L’haiku di Mizuta Masahide

Il tetto si è bruciato:
ora
posso vedere la luna.

Gli haiku

Hanno ispirato poeti del calibro di Rilke, Eluard, Quasimodo e Ungaretti. Hanno affascinato lettori di tutto il mondo, anche quelli normalmente non avvezzi alla poesia.

Gli haiku, caratteristici componimenti di matrice giapponese, sono nati nel lontano Oriente nel XVII secolo, e nel giro di poco tempo si sono diffusi dappertutto, grazie alla loro natura straordinaria e fuori dal comune.

Si tratta di brevissime poesie, composte da tre versi che seguono uno schema metrico ben preciso. Sono parole fortemente evocative, immagini, visioni che catapultano chi legge in un mondo interiore che indaga temi universali quali la solitudine, il tempo, la sofferenza, la nostalgia, il mistero, la leggerezza e la delicatezza.

Particolarità degli haiku sono l’assenza del titolo, che priverebbe di immediatezza il componimento, e la presenza frequente di un richiamo alle stagioni dell’anno e alla natura, che riveste un ruolo di prim’ordine nell’immaginario giapponese.

Evocare emozioni

La straordinarietà dell’haiku risiede nella sua stessa natura. Si tratta di una di quelle forse d’arte in cui ha più importanza il non espresso, il non detto.

Dei tre versi che abbiamo appena letto non ci colpisce il lessico, piuttosto comune, o la metrica, seppur frutto di regole e schemi ben precisi afferenti alla tradizione. Non ci colpisce nemmeno la musicalità. Ciò che scaturisce dalla lettura, rapida come un fulmine, è un’immagine.

Fuoco. Il tetto che brucia e, incenerendosi, si lacera producendo un buco, su cui “ora” campeggia la luna. Quel termine che compare in solitaria nel secondo verso, “ora“, riveste un ruolo fondamentale; è la chiave di tutto l’haiku. Non il tetto, né la luna. L’ora. Il momento presente, che si rivela in tutta la sua forza grazie al tragico evento del tetto bruciato.

E allora viene naturale interrogarsi sulla forza degli haiku, sul modo quasi magico che hanno di dipingere immagini e stati d’animo con termini semplici e scontati come quelli del “tetto”, della “luna”, del “bruciato”, dell'”ora”.

Gli haiku sono componimenti dell’anima, capaci di evocare emozioni indescrivibili a parole.

Di luna, incendi e cambiamenti

C’è qualcosa di struggente e miracoloso in questi tre versi. Il fuoco, spesso simbolo di distruzione, in questo caso è anche un atto di rivelazione.

Il tetto, che un tempo ci proteggeva, ci teneva al riparo, ma ci separava anche dal cielo, va in fiamme. E allora, quasi in punta di piedi, si fa spazio una verità luminosa: la luna. La vediamo, finalmente, perché nulla più si frappone tra noi e lei. È un’immagine che ha il respiro della poesia e la forza di una rinascita spirituale.

In ogni vita arriva un incendio. Talvolta silenzioso, talvolta devastante. Bruciano le abitudini, le certezze, le strutture che ci avevano convinti di essere al sicuro. Ma cosa accade se non ci fermiamo al dolore della perdita? Se resistiamo al primo impulso di chiudere gli occhi o di scappare tra le ceneri?

Accade che ci scopriamo capaci di visioni nuove. Accade che lo sguardo, d’un tratto libero, si alza. E scopre che la bellezza, la luce, l’infinito… erano già lì, ma non li vedevamo. Forse non eravamo pronti.

La luna, che osserva silenziosa dall’alto, è anche simbolo di ciclicità, di trasformazione continua. Ci parla di una luce che non ha bisogno di brillare da sola: riflette qualcosa di più grande, lo accoglie, lo restituisce. Così anche noi, dopo una caduta, possiamo diventare specchi della nostra stessa luce ritrovata.

Questo haiku, nella sua essenzialità, ci ricorda che la vita vera comincia spesso quando tutto ciò che era conosciuto finisce. E che dietro ogni dolore, se abbiamo il coraggio di guardare, può svelarsi una forma più profonda di libertà.

Mizuta Masahide

L’autore di questo meraviglioso haiku è Mizuta Masahide (水田 正秀, 1657–1723), un poeta samurai vissuto nel XVII secolo in Giappone. Di lui si hanno scarse notizie: Masahide è stato allievo di Matsuo Bashō, il più grande poeta del Periodo Edo, ha studiato medicina e praticato la professione a Zeze.

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