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“Gesù”, una poesia di Giovanni Pascoli per attendere la Pasqua

In attesa della Pasqua, scopriamo insieme "Gesù", una toccante poesia in cui Giovanni Pascoli racconta Cristo in tutta la sua umanità.

In attesa della Pasqua, scopriamo insieme “Gesù”, una toccante poesia in cui Giovanni Pascoli descrive un Cristo alla ricerca di sé, permeato di quell’umanità che lo assimila a noi e lo rende un essere speciale, in equilibrio fra due mondi, quello divino e quello umano.

“Gesù” di Giovanni Pascoli

Gesù rivedeva, oltre il Giordano,
campagne sotto il mietitor rimorte,
il suo giorno non molto era lontano.

E stettero le donne in sulle porte
delle case, dicendo: “Ave, Profeta!”
Egli pensava al giorno di sua morte.

Egli si assise, all’ombra d’una mèta
di grano, e disse: “Se non è chi celi
sotterra il seme, non sarà chi mieta”.

Egli parlava di granai ne’ Cieli:
e voi, fanciulli, intorno lui correste
con nelle teste brune aridi steli.

Egli stringeva al seno quelle teste
brune; e Cefa parlò: Se costì siedi,
temo per l’inconsutile tua veste.

Egli abbracciava i suoi piccoli eredi:
Il figlio Giuda bisbigliò veloce –
d’un ladro, o Rabbi, t’è costì tra ’piedi:
“Barabba ha nome il padre suo, che in croce
morirà.”

Ma il Profeta, alzando gli occhi
“No”, mormorò con l’ombra nella voce,
e prese il bimbo sopra i suoi ginocchi.

L’analisi della poesia di Pasqua

“Gesù” appartiene a “Piccolo Vangelo“, una raccolta postuma (1912) in cui Pascoli ripercorre la vita di Cristo immaginandolo come un uomo alla ricerca della sua natura divina. Quello raccontato nei versi dell’autore romagnolo è un Gesù in divenire, ingranaggio di un percorso non del tutto chiaro, non ancora manifesto. La poesia che leggeremo a breve è testimonianza di quanto sia umano il Cristo descritto da Pascoli.

Gesù rivedeva, oltre il Giordano,
campagne sotto il mietitor rimorte,
il suo giorno non molto era lontano.

E stettero le donne in sulle porte
delle case, dicendo: “Ave, Profeta!”
Egli pensava al giorno di sua morte.

Egli si assise, all’ombra d’una mèta
di grano, e disse: “Se non è chi celi
sotterra il seme, non sarà chi mieta”.

Sin dai primi versi, ci accorgiamo del fatto che il Gesù che stiamo conoscendo sembra un uomo come tutti noi. Colto dal “presagio” della sua morte, riflette, dubita, probabilmente teme, come farebbe anche ciascuno di noi.

A Gesù si avvicinano dei bambini che portano tra i capelli degli steli raccolti nei campi. Un presagio, un simbolo di quella che sarà la sua corona di spine che sarà costretto a indossare lungo il percorso che lo porterà alla crocifissione.

Il presagio della croce si fa sempre più palese nella parte finale della poesia: tra i bambini davanti a Gesù vi è anche un fanciullo del quale l’apostolo Giuda indica l’identità del padre: “Barabba ha nome il padre suo, che in croce morirà.”

Alle parole dell’apostolo Gesù replica: “No”e prende il figlio di Barabba sopra i suoi ginocchi, abbracciandolo, quasi una premonizione della fatto che non sarà il padre a morire in croce, ma lui stesso.

Questo episodio narrato da Pascoli in versi sembra essere una metafora dell’esperienza terrena di Gesù, incentrata su gesti d’amore e sacrifici contrapposti al male e al peccato che gli si presentano davanti.

Questa di Giovanni Pascoli è una poesia bellissima e toccante, perfetta per prepararci al rito della Pasqua e per riflettere su quanto, che ci crediamo o no, la religione incida sulle nostre vite e sulle nostre esperienze.

Giovanni Pascoli

Giovanni Pascoli nasce il 31 dicembre 1855 a San Mauro di Romagna, da una famiglia agiata. Il padre, Ruggiero, è fattore presso una delle tenute dei principi di Torlonia. La famiglia è molto numerosa: Giovanni è, infatti, il quarto di dieci figli.

L’infanzia di Giovanni trascorre in modo abbastanza sereno fino al 10 agosto 1867, quando una tragedia colpisce la casa: mentre torna dal mercato di Cesena, il padre di Giovanni Pascoli viene ucciso da alcuni spari. Comincia così un periodo di tristezza e difficoltà economiche, culminato con il trasferimento a San Mauro e poi a Rimini, dove il fratello maggiore di Giovanni ha trovato un ottimo lavoro.

Intanto, però, i lutti si susseguono rapidamente: nel 1868 muoiono la madre e la sorella maggiore, nel ’71 il fratello Luigi, nel ’76 Giacomo.

Sebbene in difficoltà economiche, Giovanni riesce a completare i suoi studi classici e ad iscriversi alla facoltà di lettere con una borsa di studi all’Università di Bologna. Gli anni universitari sono un po’ turbolenti: il giovane partecipa a manifestazioni socialiste contro il governo e nel 1979 viene arrestato.

La permanenza per qualche mese in carcere segna il definitivo distacco dalla militanza politica. Da adesso, Giovanni Pascoli si dedica esclusivamente alla poesia e alla sua famiglia, in particolare alle due sorelle Ida e Mariù, con cui vive a Massa dal 1884, per ricostruire il nido familiare distrutto dai lutti. Nel 1887 la famiglia si trasferisce a Livorno, dove Giovanni Pascoli ottiene l’incarico di insegnante.

Le nozze di Ida e un nuovo incarico, stavolta come insegnante all’Università, stravolgono un’altra volta la vita del poeta, che si trasferisce con Mariù prima a Bologna e poi a Messina, dove ottiene l’incarico di professore di latino nell’ateneo siciliano. Nel 1905, infine, viene nominato professore di letteratura italiana all’Università di Pisa, sostituendo il suo stesso maestro, Giosuè Carducci.

Gli ultimi anni sono per Pascoli anni schivi e impegnati soprattutto nella scrittura. È ormai un poeta noto agli italiani. Scrive discorsi pubblici e e componimenti patriottici. Muore il 6 aprile 1912 a causa di un tumore allo stomaco.

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