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Il mare come metafora della speranza nella poesia di Nazim Hikmet

Quante volte vi siete commossi guardando il mare? Questa poesia di Nazim Hikmet condensa in 13 versi tutte le emozioni più profonde che suscita in noi questa immensa distesa d'acqua.

Mare“, “amore“, “madre“… Che queste tre parole, che apparentemente designano realtà del tutto diverse fra loro, abbiano tutti questi suoni in comune, e non solo nella lingua italiana, sarà un caso?

Il mare che ci culla, ci rasserena e a volte ci intimorisce, che ci fa guardare oltre l’orizzonte, sognare, sperare, desiderare, che ci fa sentire mancanza di casa e ci avvolge nel suo abbraccio familiare di onde e salsedine.

A questa immensa e preziosa distesa d’acqua, Nazim Hikmet affida il suo canto di amore e nostalgia per la sua terra natia, la madre che lo ha visto nascere e da cui il poeta si è dovuto allontanare per poter sopravvivere.

Scopriamo insieme “Arrivederci fratello mare” in occasione della Giornata Nazionale del mare.

Il mare, metafora della speranza

Nazim Hikmet compone “Arrivederci fratello mare” nel 1951, anno in cui decide di lasciare la Turchia per riuscire a sfuggire ai continui arresti dovuti alla sua fede politica. Dopo diversi arresti, molte censure e altrettante minacce, lo scrittore decide di trasferirsi in Unione Sovietica e richiede la cittadinanza polacca.

“Arrivederci fratello mare” è una toccante canzone di addio e di speranza che Hikmet dedica alla sua terra.

“Mi porto un po’ della tua ghiaia
un po’ del tuo sale azzurro
un po’ della tua infinità
e un pochino della tua luce
e della tua infelicità”.
In questi versi, l’autore condensa tutto il suo amore, la sua speranza di rivedere la Turchia e la nostalgia che lo pervade.
È un canto che probabilmente risuona anche nei cuori di ciascuno di noi, perché questa distesa infinita di blu provoca universalmente emozioni forti e profonde, e ci ricorda momenti della nostra vita che non ritorneranno più, persone che si sono dissolte nella realtà restando tratteggiate nella memoria, occasioni che si sono dileguate come fanno le onde del mare, delicate e inesorabili.

“Arrivederci fratello mare” di Nazim Hikmet

“Ed ecco ce ne andiamo come siamo venuti
arrivederci fratello mare
mi porto un po’ della tua ghiaia
un po’ del tuo sale azzurro
un po’ della tua infinità
e un pochino della tua luce
e della tua infelicità.
Ci hai saputo dir molte cose
sul tuo destino di mare
eccoci con un po’ più di speranza
eccoci con un po’ più di saggezza
e ce ne andiamo come siamo venuti
arrivederci fratello mare”.

Nazim Hikmet

Nato a Salonicco nel 1901 e morto a Mosca il 3 giugno 1963, Nazim Hikmet è una delle più importanti figure della letteratura turca del Novecento e uno dei primi poeti turchi ad usare i versi liberi.

La sua vita è costellata di eventi e caratterizzata dall’amore per la cultura in tutte le sue forme. Quando è ancora giovane, studia nell’Accademia della Marina militare, che deve però presto lasciare per ragioni di salute. Durante la guerra d’indipendenza lavora come insegnante a Bolu.

Studia poi sociologia presso l’università di Mosca e diventa membro del partito comunista turco.

Nel 1938 per le sue attività antinaziste e antifranchiste e per essersi opposto alla dittatura di Kemal Ataturk viene condannato a scontare una pena in prigione, dove rimane per circa cinque anni, prima di essere amnistiato. Questo è soltanto il primo degli arresti che subisce Hikmet. Nel 1938, viene condannato a scontare oltre ventotto anni di carcere per le sue attività contro al regime.

Grazie all’intervento di una commissione internazionale della quale fanno parte, tra gli altri, Pablo Picasso, Paul Robeson e Jean-Paul Sartre, il poeta sovversivo sconta solo dodici anni e nel 1950 viene liberato.

L’anno successivo, chiede asilo politico in Polonia, e qualche anno dopo diventa ufficialmente un cittadino polacco, fissando la sua dimore a Mosca, nell’Unione Sovietica, senza più fare ritorno in Turchia.

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