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“A una passante” di Baudelaire, la forza di due sguardi che si incrociano casualmente

Quante volte ci è capitato di trovarci nel bel mezzo di una strada e incrociare lo sguardo di qualcuno che improvvisamente ci rapisce. Ce lo descrive Charles Baudelaire nella poesia "A una passante"

Quante volte ci è capitato di trovarci nel bel mezzo di una strada e incrociare lo sguardo di qualcuno che improvvisamente ci rapisce. Un’istante fugace, quanto straordinariamente intenso, destinato a imprimersi per sempre nei nostri ricordi. A raccontare l’emozione di quell’istante è stato per primo il poeta Charles Baudelaire con la poesia “A una passante“, tratta dalla raccolta “I fiori del male“.

Un incontro sconvolgente

In “A una passante”, il poeta esce dal proprio rifugio e si mescola con la folla, fra il traffico e il fango dei marciapiedi. “A una passante” racconta uno sconvolgimento profondo, ovvero un incontro fulmineo e abbagliante con una donna sconosciuta. Una figura intravista per un attimo nella “via assordante”, ma che subitamente si imprime nel cuore e nella mente del poeta. 

La forza di uno sguardo

Nell’istante stesso in cui lo sguardo della donna incrocia quello del poeta, l’emozione viene vissuta in modo contraddittorio. Infatti, la sconosciuta appare agli occhi del poeta desiderabile quanto inquietante: “dolcezza che affascina” e “piacere mortale”. L’ambivalenza del sentimento è tipica della poetica di Baudelaire, dove le donne appaiono come angeli e demoni.

L’incontro fra i due sconosciuti avviene nel mezzo di una strada affollata e assordante. Eppure, nel momento in cui i due sguardi si incrociano, il tempo sembra fermarsi, il chiasso fermarsi improvvisamente. Al centro della scena vediamo solo lui e lei: lo sguardo affamato del poeta (“io contratto come un maniaco”) e la gamba di lei (“agile, aristocratica, con la sua gamba di statua”). A rendere immortale quello sguardo è, invece, l’immagine dei suoi occhi, descritti come “un cielo livido gonfio di bufera”. 

A una passante

La via assordante attorno a me urlava.
Alta, sottile, in lutto, dolore maestoso
una donna passò con la mano fastosa
sollevando orlo e balza, facendoli oscillare;

agile e aristocratica, con la sua gamba di statua.
Io, io contratto come un maniaco, bevevo
dai suoi occhi, cielo livido gonfio di bufera,
la dolcezza che affascina e il piacere mortale.

Un lampo… poi la notte! – Fuggitiva beltà
il cui sguardo in un attimo mi ha risuscitato,
ti rivedrò soltanto nell’eternità?

Lontano, chissà dove! troppo tardi! forse mai più!
Poiché non so dove fuggi, tu non sai dove vado,
o tu che avrei amata, o tu che l’hai saputo!

 

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