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Skin shaming, origine e significato del neologismo

Il termine "Skin shaming" nasce per indicare tutti quegli episodi in cui la pelle, la parte del corpo più presa di mira sui social, diventa bersaglio degli haters. Scopriamone origine ed alcuni esempi recenti

Nella vita di tutti i giorni, e pincipalmente sui social, assistiamo purtroppo a offese e prese in giro legate a difetti fisici: quello che si è soliti definire con il termine “body shaming” sta diventando  un fenomeno tristemente diffuso, da cui nascono ulteriori neologismi come lo “skin shaming”, tanto che la Treccani gli ha dedicato proprio di recente una pagina sul suo sito.

Significato di Skin shaming

Il termine “Skin shaming” nasce per indicare tutti quegli episodi in cui la pelle, la parte del corpo più presa di mira sui social, diventa bersaglio degli haters perché considerato non aderente ai canoni estetici della cultura di riferimento.

Così come avviene già per il body shaming, da cui sono scaturiti veri e propri episodi di bullismo e di cyberbullismo, per l’haters il canone estetico, spesso lontano dalle caratteristiche di un corpo umano comune o sano, è posto come normale e necessario per considerare una persona apprezzabile e degna di rispetto: il corpo della vittima è al contrario considerato anormale, nonostante sia in genere più simile a quello della maggioranza della popolazione rispetto al modello estetico, e la vittima viene colpevolizzata e indotta alla vergogna, riducendone l’autostima e conducendola potenzialmente a problemi come disturbi alimentari, ansia, depressione e, in casi estremi, al suicidio.

L’utilizzo del neologismo

Osservatosi per la prima volta qualche anno fa negli Stati Uniti, il termine compare in Italia di recente per la prima volta sul sito di Repubblica, all’interno di un articolo che riprende l’indagine “Dove Body Love 2023”, condotta col metodo della Web Opinion Analysis, secondo la quale oltre 6 utenti su 10 (62%) sono stati offesi e presi in giro sui social o nella vita di tutti i giorni a causa di problemi o imperfezioni della pelle – come acne, rossori, macchie e cicatrici – facendo così esperienza di quello che oggi viene chiamato skin shaming.

Esempi di Skin shaming

Sul web, principalmente sui i social network, attraverso l’azione dei cosiddetti hater, viene presa di mira la pelle, soprattutto delle donne e dei giovani, con commenti, post, story e messaggi privati. Gli inestetismi della pelle sono molto comuni e riguardano milioni di persone, potenzialmente sempre più esposte alle critiche online: dall’acne al rossore, dalle cicatrici fino alle macchie. E’ accaduto ad esempio ad Aurora Ramazzotti (oggi neomamma) in lotta con l’acne.

“Ho imparato a fidarmi, ad apprezzare il percorso (turbolento, a tratti incomprensibile) ad amare la mia pelle e a non volerla nascondere anche quando faticavo a guardarmi allo specchio. Tanto che ultimamente lo stesso specchio ha perso d’importanza, non ci combatto più, e quando mi ci imbatto non mi sento di festeggiare per i risultati ottenuti perché ho capito che la pelle ci parla e va curata, nel vero senso della parola, con costanza, delicatezza e amore. Da lì in poi sarà lei a farci capire quando sta bene o male. Basta saperla ascoltare e accettarla per quello che è. E soprattutto, anche se è difficile, non mollare mai il colpo perché un giorno, come me oggi, ti fermerai a pensare al percorso e ti verrà da sorridere”, scriveva in un post su Instagram.

L’importanza della cura della pelle

Sul team dello “Skin shaming” è intervenuta anche la Dott.ssa Stefania Andreoli, psicoterapeuta e presidente dell’Associazione Alice ETS: “Chi cura il proprio aspetto lo fa principalmente per sé e per sentirsi bene. Infatti, concedersi le cure rivolte al corpo e alla pelle è un gesto che di per sé è accudente, prima ancora del suo risultato. Avere cura di sé produce sentimenti di benessere che indagati più a fondo rimandano ad un vero e proprio segreto di bellezza suggerito dai partecipanti all’indagine: per il 59% dei rispondenti, stare in ascolto di sé, isolandosi dal rumore di fondo dei diktat esterni e rispondendo alle proprie esigenze dopo essersi sintonizzati e sintonizzate sui bisogni profondi suggeriti dalla propria unicità, diventa il modo d’elezione per avere cura di se stessi. Questi dati ci permettono inoltre di dare anche una lettura in chiave positiva del rapporto con la nostra immagine. Infatti, diversamente dai risultati raccolti da altre ricerche condotte post-pandemia la notizia è finalmente l’occasione di un racconto in controtendenza: stiamo iniziando a relazionarci con la nostra immagine esteriore in modo più positivo di quanto emergeva fino ad oggi. Il 58% dei partecipanti dichiara infatti che il rapporto con la propria immagine è «molto» o «abbastanza» positivo”.

 

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