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Dante, il significato del verso “Nel mezzo del cammin di nostra vita”

"Nel mezzo del cammin di nostra vita". L’analisi della terzina iniziale della Divina Commedia di Dante, forse il verso più noto della letteratura universale.

“Nel mezzo del cammin di nostra vita”. L’incipit della Divina Commedia di Dante è forse il verso più noto della letteratura universale.

Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita.

L’incipit della Divina Commedia

La terzina iniziale dell’Inferno è così famosa che non ci rendiamo più conto di quanto sia sorprendente. A questi primi versi è affidato il compito di sostenere l’inizio di tutto: del viaggio di Dante, del suo racconto, del poema stesso.
Provo a spiegarlo in breve: nessuno dei poemi che Dante conosceva e con cui intendeva confrontarsi – l’ Eneide di Virgilio, la Pharsalia di Lucano, l’Achilleide di Stazio – incomincia in questo modo. Incominciano tutti, invece, con l’autopresentazione del poeta narratore, il preannuncio dell’argomento del poema e una invocazione alle Muse affinché sostengano l’autore nella sua fatica.

All’inizio della Commedia non c’è nulla di tutto questo: l’autore brucia le cerimonie della poesia classica, e proietta il lettore immediatamente in medias res, nel cuore del racconto. L’unico dato che il lettore evince è quello relativo all’età del protagonista, il quale è un uomo di 35 anni, giunto dunque a metà del suo cammino esistenziale.

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Sonetto inserito nella Vita Nova, Dante definisce i canoni della corrente poetica del dolce stilnovo. Beatrice viene descritta in termini romantici indimenticabili.

Dante e il Convivio

Per meglio intendere questi versi, dovremmo tenere presente una pagina del Convivio dove Dante – sulla scorta di un passo biblico ( Salmi 89, 10 ) per cui la vita umana avrebbe la durata di 70 anni, paragona l’esistenza di un uomo a un arco il cui apice corrisponde al trentacinquesimo anno di età. Dal momento che l’autore nacque nel 1265, l’inizio del racconto della Commedia coincide con il 1300, l’anno del primo giubileo indetto da papa Bonifacio VIII, acerimmo nemico di Dante ( in questo senso, la Commedia è stata anche definita un poema antigiubilare ).

Tutti i lettori si sono sempre interrogati sul senso dell’aggettivo plurale «nostra», che è in evidente contrapposizione con il singolare «mi ritrovai» del verso successivo. Dal punto di vista grammaticale, l’autore avrebbe potuto più correttamente scrivere « Nel mezzo del cammin di nostra vita ci ritrovammo» oppure « Nel mezzo del cammin di mia vita / mi ritrovai ».

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In occasione del Dantedì, analizziamo con lo scrittore Dario Pisano l’origine e il significato di uno dei versi più celebri della Divina Commedia.

Come possiamo spiegare questa discordanza? La scelta dell’aggettivo possessivo plurale «nostra» non è casuale ma ha un altissimo valore ideologico e poetologico: consente al poeta di proiettare la sua vicenda individuale su un piano universale. Colui che dice io all’interno del racconto vuole essere il rappresentante dell’intero genere umano, l’everyman, l’ogni – uomo.

Tutta l’umanità è in cammino insieme a lui, in un viaggio di redenzione individuale e collettiva.
Questo libro ha infatti una ambiziosa finalità extra – letteraria: egli intende rinnovare l’umanità dell’uomo sulla terra, promuovere una rinascita, una palingenesi morale del mondo. L’esperienza che l’autore inizia a raccontarci, all’apparenza così centrata su di lui, rivela una portata che va ben oltre l’autobiografia.

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La metafora del viaggio

In un testo latino – l’importantissima Epistola a Cangrande – l’Alighieri aveva scritto che il suo obiettivo era quello di « removere viventes in hac vita de statu miserie et perducere ad statum felicitatis » ( rimuovere gli uomini dalla miseria morale del presente e condurli verso uno stato di felicità ). La grande metafora del viaggio viene annunciata subito nell’incipit, dove il poeta fiorentino richiama un passo dell’Antico testamento, l’inizio del canto di Ezechia ( Isaia 38, 10 ): « Nel mezzo della mia esistenza andrò alle porte dell’Inferno ». Come ci ha insegnato un eccezionale lettore di Dante, il poeta statunitense Ezra Pound ( 1885 – 1972 ) il viaggio scandito nelle tre cantiche è in verità un itinerario negli stati della mente, un percorso in interiore homine. La Divina Commedia è appunto questo: la realtà di noi uomini che si svela a noi stessi.

Dario Pisano

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