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Una sera con Enzo Baldoni

Enzo Baldoni l'ho conosciuto una sera di tanti anni fa, a Milano. Frequentava, fra le tante cose che faceva, il collettivo di una fanzine di fantascienza, e lì aveva fatto amicizia con mio marito, grande appassionato del genere...

Enzo Baldoni l’ho conosciuto una sera di tanti anni fa, a Milano. Frequentava, fra le tante cose che faceva, il collettivo di una fanzine di fantascienza, e lì aveva fatto amicizia con mio marito, grande appassionato del genere.  Dopo la consueta riunione di redazione del lunedì erano andati a farsi un boccone  e un bicchiere di vino in un locale di Porta Venezia, dove li avevo raggiunti. C’era anche altra gente, ma Enzo era venuto a sedersi  accanto a me. Al guinzaglio teneva un immenso cucciolo di cane di razza, mi pare un labrador.

Eravamo tutti ragazzi di sinistra, di quella sinistra un po’ estrema che però aveva preso le distanze dal terrorismo e che, anzi, cercava  fra le pieghe della vita e della filosofia nuove vie per cambiare il mondo.  Enzo era un ragazzo inquieto, di quelli con l’occhi attento e un po’ ammiccante, scanzonato,  curioso di tutto. Aveva iniziato a fare il pubblicitario. E, chiacchierando, era venuto fuori che era lui il copy di uno slogan per la carne in scatola che faceva: ‘Mangio magro/ mangio tin/ Manzotin ‘.  L’avevo guardato ed ero scoppiata a ridere. Allora lui  i aveva detto, ridendo più di me: ‘Che pirlata, eh?’. ‘Embé’, gli avevo risposto. Poi avevamo parlato d’altro, delle città d’arte che ci erano piaciute di più, di Città di Castello, dove era nato.  Con il tempo le nostre strade avevano finito con il non incrociarsi più, nonostante avessimo continuato a lavorare più o meno negli stessi ambienti.

Dieci anni fa, la notizia della sua morte in Iraq mi aveva lasciata senza fiato. Sapevo che  aveva moglie e figli, un agriturismo in Umbria, era un buon free lance. Era stata l’inquietudine, la curiosità o un altro tipo di disagio a portarlo in quella zona di guerra? Chissà.

«Vorrei che tutti fossero vestiti con abiti allegri e colorati. Vorrei che, per non più di trenta minuti complessivi, mia moglie, i miei figli, i miei fratelli e miei amici più stretti tracciassero un breve ritratto del caro estinto, coi mezzi che credono: lettera, ricordo, audiovisivo, canzone, poesia, satira, epigramma, haiku. Ci saranno alcune parole tabù che assolutamente non dovranno essere pronunciate: dolore, perdita, vuoto incolmabile, padre affettuoso, sposo esemplare, valle di lacrime, non lo dimenticheremo mai, inconsolabile, il mondo è un po’ più freddo, sono sempre i migliori che se ne vanno e poi tutti gli eufemismi come si è spento, è scomparso, ci ha lasciati.

Il ritratto migliore sarà quello che strapperà più risate fra il pubblico. Quindi dateci dentro e non risparmiatemi. Tanto non avrete mai veramente idea di tutto quello che ho combinato. Poi una tenda si scosterà e apparirà un buffet con vino, panini e paninetti, tartine, dolci, pasta al forno, risotti, birra, salsicce e tutto quel che volete. Vorrei l’orchestra degli Unza, gli zingari di Milano, che cominci a suonare musiche allegre, violini e sax e fisarmoniche…’, ha lasciato scritto, come  se sapesse di dover morire giovane.

Stamattina  ho detto a mio marito: ‘E’ l’anniversario di Enzo’. E lui mi ha risposto. ‘Quel brutto pirla!’. Poi è andato nello studio e dopo un po’ mi sono accorta che stava ascoltando musica balcanica. Gli Unza, sono sicura.

Gloria Ghisi

25 agosto 2014

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