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Perché la guerra è inutile e incomprensibile

Lo scrittore Achille Pignatelli commenta l'inutilità e l'incomprensibilità della guerra tra due nazioni, Russia e Ucraina, la cui storia e tradizione dovrebbe portare a un dialogo e non a un conflitto

Negli ultimi giorni, come se non avessimo già sofferto abbastanza, gli eventi in Ucraina ci hanno spinti a vivere qualcosa che speravamo di non incontrare mai. Partiamo col dire che non è vero che negli ultimi anni la terra non si è macchiata delle vittime della guerra; Iraq, Libia, Palestina, Kurdistan, e Afghanistan vivono da anni i mali che affliggono l’Ucraina, ed è preoccupante vedere che non hanno prodotto lo stesso sdegno agli occhi dell’opinione pubblica e nel mondo.

Questo, oltre alla minaccia di un conflitto nucleare (cosa che succede per la prima volta nella storia), è dovuta alla rete di schieramenti e alleanze tra stati; quindi, se l’America invade l’Afghanistan per “esportare la democrazia”, i suoi alleati vedranno in questo gesto una difesa dei valori occidentali, oppure il conflitto tra Palestina e Israele è percepito come una questione non pertinente agli interessi europei. Stiamo vivendo l’invasione dell’Ucraina con una certa apprensione, invece, perché è un conflitto che riguarda un paese che vorrebbe entrare da anni nell’UE (si pensi all’Euromaidan dell’inverno 2013) e la Russia, un avversario economico, l’antagonista americano per eccellenza.

La guerra di oggi

Una Russia, però, guidata da un dittatore, da una figura scorretta e sleale verso il proprio popolo e i propri soldati. Anche se il conflitto è geolocalizzato in un solo paese, noi nella III Guerra Mondiale ci siamo già; è una guerra combattuta con sanzioni ed embarghi, con gli strumenti della propaganda e con attacchi ai siti governativi, ma è una guerra più ampia. Eppure, sembra così strano che i popoli ucraino e russo si stiano dando battaglia, loro che discendono dai vichinghi, dai rus; se un’eredità storica così forte non ci spinge al dialogo, vuole dire che come umanità abbiamo sbagliato molte cose. A pagarne le conseguenze però, che siano bombe o sanzioni, è il popolo, com’è sempre stato e sempre sarà.

L’incomprensione della guerra

La guerra non la capisco, per me resta un mistero insondabile. Credo che ci siamo inventati lo stato di diritto per non dover combattere, per abbandonare la violenza, per non offendere e mortificare l’altro con un atto ostile e violento. Mi rifiuto di credere che il dialogo e la diplomazia siano strumenti obsoleti e inconsistenti, che la guerra possa essere una risposta. Forse dovremmo impegnarci seriamente in una campagna globale di smilitarizzazione, dirottando fondi e risorse verso quello che mira ad avvicinare i popoli. Vorrei che in queste ore buie, tutti noi, senza alcuna distinzione di ceto, etnia e religione, levassimo un unico grido di pace, affinché la guerra diventi solo una voce sul dizionario o un capitolo sui libri di storia, e non la quotidianità per alcuni e la minaccia per altri.

Verrà la guerra

Verrà la Guerra a prendere parola
ma tu non permetterle di entrare,
c’è già abbastanza conflitto in noi.
Quando sull’uscio farà propaganda
e si vestirà di necessità
tu resta saldo e svelane gli inganni
e sii portatore di fratellanza
tra popoli, culture e religioni.
Quando se ne sarà andata chiudi
la porta e fa’ che non la ritrovi.

L’importanza della convivenza

Con L’ospite di sé stesso ho cercato di porre l’accento sulle diverse declinazioni dello spazio, tenendo sempre presente un perno tematico, un’idea fondante, ovvero il concetto di convivenza, che sia con l’altro da sé, con la natura o, in generale, tra i popoli. Io vengo da Napoli, città che ha avuto una doppia fondazione greca, e che dall’Impero Romano in poi ha avuto diverse dominazioni; tutta l’Europa, tutto l’Occidente, si è relazionato con Napoli, quindi mi sembra anche naturale avere una visione più cosmopolita del mondo. Ma allo stesso tempo, è innegabile che è proprio il contatto tra popoli a sviluppare una cultura specifica. I luoghi dove avvenivano le contaminazioni linguistiche, ideologiche e religiose erano la piazza e il mercato, luoghi di scambio e di fermento culturale.

L’Ospite mira a ricordare, in aperta opposizione con le politiche anti migranti degli ultimi anni, che è dalla relazione trai popoli che nascono sia la cultura che il concetto di umanità. In secondo luogo, L’ospite di sé stesso porta a compimento un discorso iniziato in I ritorni, chiudendo un ciclo poetico (il Ciclo della stella a otto punte). Il Ciclo, infatti, delinea una nuova visione della storia, fondendo le visioni ciclica e lineare in un moto di contrazione e distensione simile al movimento del cuore (sistole e diastole); secondo questa visione, la storia appare come un’alternanza di momenti di chiusura e rinnovamento, pensiamo alla Controriforma o alla Rivoluzione Francese, per intenderci.

Quello che stiamo vivendo noi è una sistole storica, un periodo dove l’altro è visto come pericolo o minaccia. Senza citare di nuovo le politiche xenofobe e anti migranti, pensiamo alla pandemia, dove il contatto fisico o il semplice incontro potevano dar vita a un contagio che, nel giro di poco, creava un preoccupante focolaio.

Achille Pignatelli

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