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Parole in prestito: quando una libreria è salvezza

Ci sono persone a cui inizi a voler bene leggendo le pagine che hanno scritto. Capita di frequente che un buon lettore si innamori delle parole di uno scrittore e voglia leggere ancora di lui e se il primo libro è una festa, lo è ancor di più l’attesa per quelli che verranno.

Così è accaduto per me con Daniela Palmieri: le atmosfere dense intrise di Sud de La cerva (Besa 2010) hanno avuto il sapore autentico di una rivelazione, le pagine de L’ultima volta che sono stato felice (Besa 2012) mi hanno poi letteralmente conquistata: una penna acuta e delicata, come pennellata d’acquerello sulla carta di riso della Vita, lasciando svelare al colore nelle sue trasparenze, la densità dei paesaggi dell’animo. Ed ora le “Parole in prestito”, appena pubblicate nei Quaderni del Bardo, edizioni di Stefano Donno, sono state una commovente carezza sul viso, intensa e vera, quanto lo spazio di una notte in cui quelle stanze di carta mi hanno fatto compagnia.

Una veste grafica essenziale, che nella sua semplicità e nel suo nitore si apre con generosità alla bellezza delle parole: quelle in prestito del titolo sono emozioni in dono, da custodire gelosamente nello scrigno delle storie, da leggere e rileggere.

Qui non ci sono personaggi da immaginare e disegnare con la fantasia. Qui c’è la storia di una Famiglia che ti entra dentro e tu rivivi con Anna, Daniela, Lucia, e le altre persone care, quel maledetto giorno in cui Edo è andato via. Un incidente stradale di cui avevo solo sentito parlare, io che da piccola entravo in punta di piedi in quella libreria, la Libreria della famiglia Palmieri, per mano a mia madre, che dalla Signora Anna si faceva consigliare i libri.

Chi resta fa i conti con la Vita che deve ancora venire e in qualche modo può solo trovare il conforto di appigli discreti, approdi inventati, nel mare in tempesta che si porta dentro. “A salvarci dallo smarrimento, a farci sfuggire dalla solitudine c’è stata la libreria, altare laico di memoria e luogo di futuro.”, scrive Daniela ed io l’ho sentita vicina, per tutte le volte che anche io ho visto i libri uscire dagli scaffali e tenermi compagnia.

Si respira Lecce, la mia Città, quella che mi ha adottata e vista crescere, in queste pagine. Quella che è cambiata nel tempo e in cui negli anni ’80 “lievitavano i palazzi come pasta di pane, la 167, zona Mazzini, la Circonvallazione”. Ci si immerge con Daniela in una storia ben circoscritta in una precisa misura di tempi e di luoghi, in cui, tuttavia, ognuno di noi si ritrova e si commuove.

E la stessa Libreria Palmieri diventa personaggio e la si sente respirare e vivere di vita propria, come solo i luoghi di cultura possono fare: “La libreria mai troppo sullo sfondo è stata la finestra sul mondo quando non il mondo stesso, carica fino a scoppiare, capace di replicare all’infinito ogni parola con il suo cumulo di scritture.”. Quanti scrittori sono passati da lì, quanti incontri hanno nutrito una Città e una piccola donna che è cresciuta imparando la lezione delle parole, con eleganza.

“E se lui adesso potesse tornare, in quel mito del viaggio che non è morte ma solo assenza”, come scrive Daniela, io dico che potrebbe dire finalmente quanto è orgoglioso di tutte loro e potrebbe abbracciare una grande Scrittrice: una Donna che la Vita ha fatto maturare in fretta, ma che negli occhi conserva quella freschezza che lui sa. E nel sorriso la stessa luce di quel giorno che andarono allo zoo Safari, e lei e la sorella osservarono attonite la grande voliera. Perché il tempo si ferma sulle cose vere, le uniche che restano belle nel tempo. E questa forse non è una storia di fantasmi, ma un racconto d’amore che arriva al cuore di chi sa bearsi del conforto autentico delle parole.

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