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Lauro De Bosis, l’omaggio di Giovanni Grasso all’Icaro che si oppose al fascismo

Il consigliere per la stampa del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella torna in libreria con “Icaro, il volo su Roma”, un omaggio alla vita di Lauro De Bosis, che ha sacrificato la sua vita per opporsi agli orrori della dittatura nazifascista

Restituire alla memoria storica il giusto merito a chi ha messo al primo posto l’idealità senza pensare all’utilità. Dopo “Il caso Kaufmann”, Giovanni Grasso, consigliere per la stampa del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, torna in libreria con “Icaro, il volo su Roma”, un romanzo che mescola storia e invenzione.

Il libro è un omaggio alla vita di Lauro De Bosis, culminata nell’impresa compiuta 90 anni fa, il 3 ottobre 1931. Nel tentativo di opporsi agli orrori della dittatura nazifascista, De Bosis a bordo dell’aeroplano “Pegaso” riuscì a “bucare” la difesa del regime e a lanciare dal cielo 400mila volantini su Roma per invitare le istituzioni, a cominciare dalla Monarchia, e il popolo a ribellarsi alla dittatura. Purtroppo la sua impresa finì in tragedia: De Bosis, a corto di carburante, precipitò nel Tirreno e non riuscì a far ritorno a Marsiglia, da dove era partito. Abbiamo chiesto a Giovanni Grasso cosa lo ha spinto a dedicare un libro all’impresa e la vita di Lauro De Bosis e quale insegnamento possiamo trarre dal suo nobile ma purtroppo inutile gesto.

Come nasce “Icaro, il volo su Roma”?

Ho avuto a che fare per la prima volta con la figura Lauro De Bosis una ventina di anni fa, quando ebbi l’incarico di pubblicare in un’edizione critica il Carteggio Sturzo-Salvemini. All’interno di questo carteggio, si parlava dell’impresa di questo ragazzo poco conosciuta. Da li è cominciato il mio interesse legato a questo personaggio dimenticato dalla storia italiana.

Come avvenuto già per “Il caso Kaufmann”, anche in questo caso storia e fiction si mescolano. Cosa ti ha incuriosito della figura di Lauro De Bosis?

Lauro De Bosis è un personaggio poco conosciuto che ha però compiuto un’impresa clamorosa. Mi sembrava così giusto restituirgli una memoria che manca. Come per “Il caso Kaufmann”, anche in questo caso mi trovo di fronte a personaggi “vinti”, con Laura che compie un’impresa vincente, seppur dopo muore. Sono personaggi nella memoria diventati periferici e marginali, e mi piaceva ricordarli agli italiani. Per quanto riguarda Lauro, era una storia così romanzesca che si prestava molto al romanzo.

Verità e storia si mescolano non in maniera regolare: dove avevo documenti utilizzavo le fonti, mentre dove mancavano ho lavorato di immaginazione. Ciò che è scritto nel libro se non è vero è comunque verosimile.

Perché l’impresa di Lauro De Bosis è sempre stata poco celebrata nei libri di storia?

Lauro muore nel 1931: i fascisti durante quel periodo utilizzano la censura e non parlano della sua impresa. Se ne parla un po’ all’estero. La storiografia del secondo dopoguerra è stata caratterizzata da uno studio verticale: gli storici di origine socialista hanno studiato i socialisti, così via per comunisti, cattolici, popolari. Lauro, politicamente parlando, è un po’ “apolide”, non aveva nessuna corrente di pensiero a cui si è potuto legare.

Il gesto di Lauro è generoso, romantico, ma dal punto di vista dell’efficacia abbastanza inutile, poco produttivo. Nella modernità, siamo abituati a dare rilevanza ai gesti in base all’effetto che producono e meno allo spirito con cui sono stati prodotti. Abbiamo una mentalità utilitaristica che abbiamo ereditato, che va in contraddizione con il sacrificio puro e romantico di Lauro De Bosis. Anche per questo, la sua figura viene poco ricordata rispetto ad altre, come il raid di D’Annunzio.

Cosa ci insegna il gesto di Lauro De Bosis oggi?

L’attualità di Lauro De Bosis consiste nella sua anti-modernità: un apparente paradosso. Questo gesto romantico, ottocentesco, che non ha prodotto conseguenze, è talmente inattuale che diventa un pungolo per noi che siamo abituati oggi a fare le cose solo sulla base della convenienza. La società di oggi, cinica, dovrebbe fare più i conti con l’idealità, non solo con l’utilità.

Sei il consigliere per la stampa del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Cosa ti ha colpito maggiormente della più alta carica dello Stato in questi ormai 18 mesi di pandemia?

Noi al Quirinale abbiamo vissuto il Covid esattamente come lo hanno vissuto tutto gli italiani: con la stessa apprensione, speranza, timore, le stesse regole e comportamenti. Mai come in questo periodo, c’è stato un senso di vicinanza e di solidarietà tra chi si trovava al Quirinale e la gente. Non avevamo strumenti in più rispetto ai cittadini: abbiamo vissuto le stesse trepidazioni ed angosce degli altri.

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