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Davide Pagnoncelli, “Bisogna ascoltare i ragazzi con empatia”

In occasione dell'uscita del libro, abbiamo intervistato Davide Pagnoncelli per capire come aiutare i ragazzi nella vita scolastica

MILANO – Figli felici a scuola è il nuovo libro di Davide Pagnoncelli in cui l’autore analizza il comportamento dei ragazzi, mettendo in luce come i giovani vadano ascoltati e stimolati. All’interno del libro sono anche proposti dei progetti per le scuole per aiutare i ragazzi a conoscersi meglio. Come sottolinea Pagnoncelli, è fondamentale l’ascolto dei ragazzi, perché in una società come la nostra in cui comunicare è all’ordine del giorno, diventa sempre più difficile ascoltare veramente chi ha bisogno. In occasione dell’uscita del libro, abbiamo intervistato l’autore.

 

Perché secondo lei si è diffusa una visione così negativa della figura dello psicologo?

Di solito lo psicologo viene interpellato, soprattutto nella scuola, se c’è qualcosa che non va, se c’è qualche disfunzione o problema. Allo psicologo si dà poco tempo per operare sulla prevenzione, sulle competenze e sulle potenzialità dell’individuo, del gruppo e delle istituzioni. La nostra cultura è focalizzata più sugli aspetti negativi che positivi, più sugli errori compiuti che sulle conquiste; si dà più attenzione a ciò che non va, piuttosto che a quello che funziona bene. Per esempio, nella mia esperienza ho verificato in numerose occasioni che i ragazzi migliorano, ma non lo notano e sono poco consapevoli dei progressi realizzati, anche minimi.  Ma si può cambiare: non chiamiamo più lo psicologo strizzacervelli, bensì allargacervelli.

 

Qual è a suo parere l’aiuto più grande che si può dare ai ragazzi oggi?

I ragazzi di oggi, anche se talora non sembra, hanno grosse potenzialità sotterranee, inespresse: è importante saperli ascoltare. Nel mio libro riporto molti vissuti e osservazioni degli studenti: credo che i bambini e i ragazzi vadano ascoltati con empatia, entrando in risonanza profonda con loro, andando al di là della superficie e dei comportamenti esteriori.  Inoltre, noi adulti dovremmo stimolare maggiormente la loro creatività e sollecitare la loro curiosità di sapere. E il sapere va al di là della comprensione: noi sappiamo più di quello che comprendiamo.

 

Lei nel suo libro racconta anche i diversi progetti che ha messo in atto. Tra tutti qual è quello a cui è più affezionato?

In ogni progetto ci ho messo un pezzo del mio cuore, ma se devo citarne uno, scelgo il progetto sull’orientamento per le terze classi della Secondaria di primo grado. Ho verificato belle scoperte di personalità attraverso la precisazione di 42 indicatori che servono ai ragazzi per conoscersi meglio, per migliorare l’autostima e per definire meglio lo stile di apprendimento. Aggiungo, però, un altro progetto realizzato dopo che avevo già consegnato le bozze definitive del mio libro e che è stato sollecitato da un evento tragico. In una classe di seconda Primaria era deceduta per tumore la giovane mamma di un’alunna: con la bambina, con l’insegnante e con tutta la classe abbiamo lavorato sul lutto, sulla rabbia e sulla tristezza scatenata dalla morte, sulla rielaborazione della perdita e anche sull’eredità positiva lasciata dalla mamma, sulle tracce ereditate di “memoria vitale”. Tramite un metodo creativo basato sulla cancellazione di testi specificamente scelti, su sperimentazioni corporee e visualizzazioni metaforiche tramite libere associazioni, tutti i bambini hanno prodotto -singolarmente e in gruppo- sorprendenti disegni, intense storie e addirittura aforismi e brevi poesie. Prodotti belli da vedere e pure da sentire. Siamo passati dalla “morte che spacca la vita”, per dirla con l’espressione di un bambino, verso la condivisione di classe di varie emozioni.

 

Come mai lei incoraggia così tanto i sogni?

I sogni notturni e diurni per vari motivi sono essenziali e ogni punto meriterebbe un approfondimento specifico.    – Sognare dà emozioni. Il sogno è un ponte gettato verso il futuro, il sogno è un progetto e stimola l’azione, i sogni sono il carburante per decidere, per agire. Sognare allena l’intuizione, il sentire veramente libero, anche se camuffato da elementi strani e assurdi (ovviamente da interpretare). Sognare aiuta quello che io chiamo “lo spirito di trascendenza”, l’andare oltre lo scontato, l’usuale, il così fan tutti.  Sognare sviluppa la creatività: non è vero che chi crea sogna, piuttosto chi sogna crea cose nuove, inventa, spinge avanti il mondo. E poi sognare allunga la vita! Noi siamo fatti per andare oltre, siamo nati esploratori, da piccoli lo siamo stati tutti. Noi siamo esploratori, vogliamo vivere da esploratori, vogliamo morire anche se più in là possibile da esploratori. Oppure dobbiamo restare spettatori passivi?

 

La nostra è una società in cui è possibile relazionarsi velocemente grazie ai social network. Perché invece, secondo lei, è così difficile comunicare e ascoltare, soprattutto tra i giovani?

La comunicazione online è, per certi versi, più facile perché non c’è relazione diretta, di presenza, né implicazione fisico-emotiva. E’ una comunicazione decorporeizzata, senza coinvolgimento emotivo corporeo e senza relazione polisensoriale. Gli adulti conoscono e utilizzano poco “l’alfabeto emotivo”. I bambini e i ragazzi sono educati a comunicare idee, pensieri e concetti razionali -pur importanti- ma sono poco abituati a riconoscere e a comunicare emozioni e sentimenti. Concretamente si dà poca importanza, tramite progetti educativi specifici, all’ascolto empatico, al dialogo profondo interpersonale e alla consapevolezza del proprio vissuto emotivo.

 

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