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Andrea Marcolongo, “Medea rappresenta tutte noi donne”

In occasione dell'uscita del suo nuovo libro, abbiamo intervistato Andrea Marcolongo che ci ha raccontato la sua Medea

MILANO – Il mito degli Argonauti rivisitato nelle pagine di Andrea Marcolongo, autrice di “La lingua geniale“. In occasione dell’uscita del suo nuovo libro La misura eroica, abbiamo intervistato l’autrice.

 

Perché tra tutti i miti hai scelto gli “Argonauti”?

Il viaggio per mare della prima nave al mondo, Argo: un mito -che in greco antico significa “filo-, una narrazione ancora più antica di Iliade e Odissea. Il mito più antico e per me il più contemporaneo: “La Misura Eroica” racconta infatti non del passato, ma del nostro presente, del coraggio di scegliere, della paura di cadere, della forza di rialzarsi, dell’amore, dell’amicizia, di tutto ciò che rende la vita degna di essere vissuta. Se nel mio primo libro ho scelto ora di descrivere la grammatica greca, ora ho scelto di raccontare la sintassi dell’anima greca per fare i conti con la mia, e con la nostra. Parafrasando il grande Roberto Calasso, uno degli ispiratori di questo mio nuovo libro, il mito è qualcosa che non è mai accaduto, ma che sempre succede agli esseri umani. Oggi, a quasi due mesi dall’uscita de “La Misura Eroica”, dopo aver incontrato centinaia di lettori italiani e stranieri, mi rendo conto che a tutti è successo di far fronte ad almeno una delle prove richieste a Giasone e ai suoi compagni di viaggio. E che il mito degli Argonauti, nella sua cristallina antichità, supera il grande rimosso della nostra epoca: il dolore. E la felicità. Quando la vita chiede un parere solo a noi e a nessun altro.

 

Come mai poni così tanta attenzione alla “Parola”?

Perché la parola è tutto ciò che abbiamo per dire di noi –Platone diceva che è “l’atto dell’anima che parla a se stessa”. Per molto tempo nella mia vita non ho parlato, per troppo dolore -eppure le parole per dire ci sono, sempre. Viviamo in un’epoca in cui le parole sembrano non bastare mai, un tempo in cui siamo costretti a coniare neologismi come moneta comune per capirci e farci capire. Sono però parole da poco, non hanno valore, tolgono senso alle cose anziché aggiungerne e la loro inarrestabile inflazione ci rende sempre più poveri anziché più ricchi. Parole che di fatto non vogliono dire niente, puri significanti che scintillano lo spazio di un’estate, come una canzone alla radio canticchiata mentre siamo indaffarati a fare altro -noi stessi ce ne scordiamo il significato, perché mai compreso o mai spiegato. E così ci affanniamo a cercare termini nuovi per nominare ciò che in realtà esiste da sempre e che da sempre viviamo, ma forse non lo sappiamo più dire -prima a noi stessi e poi agli altri. La verità è che per trovare non le parole giuste, ma le parole “nostre” ci vuole coraggio -etimologicamente, cuore.

 

Quale messaggio pensi possa lasciare Medea a tutte le donne?

Ci vorrebbe forse Proust per spiegare la profonda e irriducibile contemporaneità della figura di Medea. Rileggendo il mito degli Argonauti, non è Medea ad essere la protagonista indiscussa, bensì la sincronia del femminile che sa mettere a fuoco. Rispetto alla piatta caratterizzazione delle donne di Omero, mono-dimensionali nel loro ruolo femminile, Medea siamo noi, figlie, madri, mogli, amanti, seduttrici, amiche: sono le tante donne che ogni giorno abitano in noi. Grazie alla sua figura riusciamo a ricomporre i frammenti sparsi del nostro vivere e torniamo ad essere una donna nella sua totalità ancestrale, come nel giorno in cui siamo venute al mondo, femmine. Nella saga degli Argonauti è sempre e solo la donna a trasformare l’eroe in essere umano, il nemico in uomo; e lo fa attraverso l’amore. Ben lontano dalla sovrumana forza e dalle sovrumane passioni di divinità come Atena o Afrodite, è l’amore femminile in tutte le sue sfumature -dalla gelosia alla saggezza, dall’equilibrio all’eros, dalla ferocia all’indipendenza- a rendere a sua volta umani gli eroi che hanno solcato il mare per la prima volta tremila anni fa. In sintesi, è la fragilità e la forza di Medea a umanizzare -tra debolezze, innamoramenti, fragilità, rimpianti- Giasone, Eracle, Odisseo, rendendo il suo essere donna fuori dal tempo perché di tutte le donne di tutti tempi canta.

 

Al giorno d’oggi chi ritieni possano essere gli eroi?

“Non esiste un uomo così codardo che l’amore non sappia trasformare in un eroe”, scrive Platone. E’ questa citazione senza tempo che apre è “La Misura Eroica”. Nell’antica Grecia, l’eroismo era dato dall’esperienza di superare se stessi, non dal risultato. Fallire non contava: eroe non era chi vinceva, ma chi ci aveva anche solo provato. Chi aveva accettato la sfida di misurarsi in qualcosa più grande di sé, per diventare grande per sempre.Fantasiosa ma abbagliante di senso, l’etimologia della parola “eroe” che proponeva Platone nel dialogo Cratilo: la forza che spinge gli uomini a diventare eroi è solo una: ἔρως (érōs), “amore” -solo una piccola lettera distingueva le due parole in greco antico. Oggi il più grande eroismo richiede la capacità di essere teneri, prima con noi stessi e poi con gli altri. Ogni mattina ci infagottiamo, di alibi e di maschere, rincorriamo frette con forze che non abbiamo e forse non vogliamo avere. Per poi addormentarci la sera sempre più stanchi -e forse un po’ più soli. Confondiamo vittoria e sconfitta, impeccabili sfidiamo il mondo con sorrisi tirati e lacrime trattenute, ma dentro cerchiamo solo una carezza, un sorriso buono, un buongiorno genuino da parte di uno sconosciuto, un grazie per un gesto che compiamo ogni giorno e di cui nessuno sembrava essersene mai accorto prima. Quanto abbiamo bisogno di tenerezza per vivere tenui, leggeri. E dunque eroici, secondo quella misura tutta greca dell’essere umano: la misura della sua felicità. E soprattutto dell’amore. La Misura Eroica è quindi una coerenza a misura d’uomo, è avere “alti pensieri” come scrive Kavafis nella sua celebre poesia Itaca. E’ la riscoperta di noi, di quanto siamo in grado di fare (anche quando tutti ci dicono che è impossibile), di quanto sappiamo metterci in gioco per raggiungere la meta, che non è mai arrivo, ma sempre punto di svolta. Eroe non è dunque, nel senso contemporaneo, il grande campione, la star o chi “ce l’ha fatta”, è invece ogni donna e ogni uomo che sceglie di non tradire se stesso e di essere, semplicemente, se stesso.

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