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Lettera di Rina Scortichini alla madre

Mamma,
hanno detto che stai morendo, io sto correndo da te, la vista accecata dalle lacrime e dalla pioggia, per dirti per l’ultima volta soltanto che ti voglio bene.
Mamma, tu non puoi morire, io smetterei di essere una figlia, sarei soltanto una mamma e io voglio essere ancora bambina e avere bisogno della mia mamma.
Mamma, domenica sera non hai telefonato come facevi sempre, non mi hai detto cosa prevedeva l’oroscopo, non hai ascoltato i miei sfoghi, i miei problemi.
Mamma, Giuseppina ha guardato le tue unghie ed erano lunghe e belle, come quando eravamo bambine e tu ci portavi in chiesa e noi per vincere la noia giocavamo con quella del tuo pollice.
Mamma, la morte incombe su di te ed io ho pregato papa’ perché ti lasciasse ancora a noi, perché non ti prendesse con lui, non ancora.
Mamma, Marta cerca la sua nonna, sa che hai tanto male alla testa, aspetta con insolita pazienza che guarisci per poterti vedere, chiede seria sempre di te. Ha paura della morte.
Mamma, vorrei fuggire da tanto male che incombe su dite e sul mondo. Un cartellone pubblicitario dice : “Sette notti in Egitto, 680 euro” e in me tanta voglia di fuggire dai miei obblighi, dai miei doveri, un impeto forte verso la vita, per sconfiggere il male e la morte.
Mi aggrappo con forza all’amore e vorrei che generasse in me vita.
Mi vesto, mi pettino, mi curo nei particolari, mi guardo, mi specchio e nello specchio non vedo me, ma la bambola da vestire, da pettinare, da curare come non ho mai fatto da bambina.
Gioco alle bambole con me stessa, omaggio ad un’infanzia per sempre finita e da sempre rimpianta. Gioco con la bambina che non ero, con la parte femminile di me stessa per molto tempo negata o almeno svalorizzata.
Dapprima dal disprezzo per i giochi “da bambina”ai quali preferivo quelli “da maschio” (andare in bicicletta, giocare alla guerra, arrampicarsi sugli alberi, correre nei campi), poi dal disprezzo per le mie coetanee adolescenti, vanitose, superficiali, che si truccavano e davano valore solo all’estetica, a scapito dell’ interiorità’.
Infine, invaghita dalle teorie femministe, una femminilità repressa perché una donna aveva valore solo per la sua intelligenza, per la sue qualità interiori, contro la dilagante immagine di donna-oggetto.
Vedo me e Giusi in una foto in bianco e nero, in piedi, davanti alla porta di casa in Belgio, con te mamma, che ci tieni per mano, una per parte.
Mamma, quello che lega me e Giusi a te è una cosa unica, una cosa di donne che è solo nostra, non puo’ entrarci nessuno.
Questo filo invisibile che ci unisce ancora è senza tempo, io e Giusi siamo piccole, io con i capelli ricci, sguardo ribelle; Giusi, capelli lisci, sguardo dolce e timido, tu mamma, tranquilla e rilassata, forse un po’ distaccata da noi, ma come sempre è solo un’impressione. Tu cosi fragile e al tempo stesso cosi forte.
Tu che sembri non avere la forza di sopportare il peso della vita, che sembri sempre sul punto di non farcela, sei sempre stata li, hai parato tutti i colpi che la vita ti ha dato, magari anche la nostra indifferenza: quante volte ti abbiamo detto che eri importante per noi , indispensabile?
Perché ora vuoi metterci di colpo di fronte ai nostri sensi di colpa, al rimorso di non averti detto abbastanza il bene che ti vogliamo, quanto sei importante per noi?
Quanto dovremo pagare il male che pur non volendo ti abbiamo fatto?
Il tuo silenzio pesa piu’ di mille parole.
Svegliati, parlami, dimmi che mi senti, che mi perdoni, che mi vuoi bene.

Rina

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