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La Pietà di Michelangelo, un capolavoro senza tempo

La Pietà di Michelangelo, altrimenti nota come Pietà Vaticana, è una delle opere più belle nate dal genio del Rinascimento italiano. Un capolavoro eterno.

La Pietà di Michelangelo, altrimenti nota come Pietà Vaticana, è una delle opere più belle nate dal genio del Rinascimento italiano. Un capolavoro eterno, che, a distanza di cinquecento anni, continua a rapire il nostro cuore. 

A raccontarci la bellezza eterna dell’opera michelangiolesca è il noto critico d’arte Luca Nannipieri, autore dei libri “Raffaello” e “Capolavori rubati” pubblicati da Skira.

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La Pietà di Michelangelo

La Pietà di Michelangelo ha sempre messo a disagio l’uomo. Tu la guardi nella basilica di San Pietro in Vaticano, e lei non ti lascia a tuo agio. Perché? Prova a guardarla con attenzione. E’ maestosa? No. E’ angosciante? No. E’ terrificante? No. E’ serena? No. E’ patetica? No. E’ irrealistica? No. E’ realistica? No. Puoi continuare giorni a dire che cosa non è, ma farai gran fatica a mettere a fuoco che cosa è. Ogni volta che provi a definirla, senti che questa definizione non le basta; ogni volta che ti avvicini, il suo mistero – il mistero della bellezza – si allontana, non si fa afferrare.

La bellezza si svela, ma si rivela ancora una volta. Più la ricopri di spiegazioni e approfondimenti, più avverti che c’è un divario, una sproporzione cocente tra ciò che vedi potentemente davanti agli occhi e ciò che le tue parole riescono a dire. Le guide turistiche e i libri si riparano sulle nozioni e sullo stile: scolpita da Michelangelo su marmo bianco di Carrara, nel 1498-1499, in una forma perfettamente piramidale, la scultura mostra la Madonna che ha la stessa età del Figlio e che lo tiene in braccio dopo essere stato deposto dalla croce.

L’insieme mostra purità e incorruzione. Va bene, ma questa è l’evidenza più superficiale. In realtà, noi siamo attratti e inquietati dalla Pietà perché il nostro cuore è fatto per desiderare cose grandi e la bellezza ci accende questo desiderio per portarcelo in territori, vertigini, spaventi a noi sconosciuti. Perciò proviamo disagio: perché, in fondo, la Pietà – la bellezza – non sappiamo dove ci porta.

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Che cosa ci insegna l’opera di Michelangelo

Michelangelo aveva 23 anni quando scolpisce quest’opera. Diceva Oscar Wilde: “del coraggio la parte migliore è l’imprudenza”. Il giovane scultore poteva benissimo seguire la consuetudine della figurazione sacra: la madre matura che accoglie con dolore le spoglie del figlio martoriato. Invece l’imprudente, acutissimo azzardo di rappresentare la Madre più giovane e fanciulla rispetto a suo Figlio, che poteva apparire come un affronto o una giovanile irriguardosa irriverenza, ha trasformato la Pietà in un unicum espressivo senza confronti:

“E’ sempre mestiere, prodezza del mestiere e di più ora sentimento dell’inanità del mestiere” diceva Giuseppe Ungaretti. Il mestiere non bastava a Michelangelo. Il cuore, fatto per desiderare cose grandi, lo aveva portato già in precocissima età a misurarsi con la necessità del mestiere, della tecnica, della perizia in scultura, pittura, architettura, urbanistica, ma anche a comprenderne la sua vacuità quando quello stesso cuore si trova a perlustrare spazi smisurati del mistero del vivente a cui è difficile – anche per un genio inaudito come Michelangelo – dar forma, lingua e sostanza umana.

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