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Benjamin Ludwig, “Oggi i genitori devono essere delle guide per i figli”

Intervista all'insegnante-autore del libro semi-autobiografico che narra la commovente storia di una bambina speciale alla ricerca del suo posto nel mondo

MILANO – “Ogni bambino esprime il desiderio di tornare dai propri genitori adottivi e noi abbiamo provato lo stesso. Questo sentimento mi ha sconvolto e affascinato allo stesso tempo, e ho sentito la necessità di scriverne”. Così nasce “A bocca chiusa non si vedono i pensieri” di Benjamin Ludwig, una storia di famiglia che esplora temi importanti quali l’adozione, l’affido e l’autismo. Un romanzo che narra la commovente storia di una bambina speciale alla ricerca del suo posto nel mondo e che, in parte, è ispirata alla vera storia dell’autore, insegnante di Letteratura inglese e di scrittura creativa che poco dopo il matrimonio ha adottato un’adolescente autistica.

 

Come nasce l’idea di questo romanzo?

Quando io e mia moglie abbiamo deciso di adottare una bambina, abbiamo dovuto affrontare molte prove. Ero intimorito dalle storie di altri genitori, dai consulenti, storie che portavano alla luce le difficoltà con bambini adottati. Ogni bambino esprime il desiderio di tornare dai propri genitori adottivi e noi abbiamo provato lo stesso. Questo sentimento mi ha sconvolto e affascinato allo stesso tempo, e ho sentito la necessità di scriverne.

 

Quanto c’è di autobiografico?

In parte è ispirato alla mia storia personale, nel 2009 abbiamo adottato nostra figlia, eravamo entusiasti, nonostante le difficoltà. Sembrava quasi che nostra figlia non potesse essere felice, ma ci avevano avvertito: in fondo, noi non avremmo mai potuto rimpiazzare i suoi veri genitori, sostituire quello che aveva perso.

Nostra figlia non è mai stata come Ginny, non ha mai cercato di scappare, e adesso ha un ottimo rapporto con la madre. Quindi… solo una piccola parte è autobiografica.

 

 

Quanto si avvicina il suo ruolo di genitore a quello di “papà per sempre” del libro?

Abbiamo alcuni punti in comune. Per esempio, per me è importante dire ai genitori che vogliono adottare che non sono soli, c’è sempre qualcuno disposto ad aiutarti in questo percorso.

È molto più difficile che avere figli naturali, c’è sempre un termine di confronto più o meno esplicito.

 

Autismo, affido e adozione: quanta importanza viene data, secondo lei, alle tematiche affrontate nel libro nella società di oggi?

Oggi l’autismo è un tema molto “caldo” e la società è molto attenta. Le persone ne parlano apertamente, si esprimono, è questo è un fattore positivo. Aiuta a confrontarsi, a migliorare e fare progressi nel comprendere “l’altro”.

 

Rispetto al passato, come è cambiato oggi il rapporto tra genitori e figli?

Nel passato, i genitori si sentivano custodi dei figli; oggi forse si sentono di dover essere delle guide. Credo che la prima cosa da fare sia capire quale sia il tuo ruolo in quanto genitore. Come si può aiutare un bambino a capire cosa vuole diventare o quali sono le sue potenzialità?  Forse, prima di tutto, noi dovremmo prendere coscienza di una cosa: non abbiamo tutte le risposte. Proviamo, sperimentiamo metodi diversi, abbiamo momenti di sconforto, facciamo errori. Eppure questo non è sinonimo di fallimento.

 

In base alla sua esperienza d’insegnante, quanto può essere utile alla sensibilizzazione riguardo a certe tematiche la lettura di questo libro nelle scuole?

Mi auguro che il mio romanzo venga letto nelle scuole medie e superiori, così come all’università. L’ho scritto come genitori ma anche come insegnante e credo che le persone possano diventare migliori confrontandosi facendo emergere nuove idee. Il romanzo per me è stata fonte di ispirazione e riflessione.  Scrivere è stato un approccio a nuovi modi di pensare, un modo per mettere insieme momenti di armonia ad altri più “dissonanti”. La vita è piena di momenti così e per imparare a far fronte a tutto, le persone devono cercare di vedere le cose nella loro globalità, ricordando che per quanto le cose possano sembrare difficili, c’è sempre speranza per il domani .

 

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