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L’Amleto di Ninni Bruschetta

Dopo il successo al Teatro Menotti di Milano la tourneé si sposta ora al Teatro Stabile di Catania

MILANO – L’Amleto, dopo Romeo e Giulietta, è una delle opere più famose di Shakespeare. Il fascino del tenebroso di Elsinore sta nella avanguardia delle sue tematiche: la profondità delle sue riflessioni, l’avvertire i propri limiti e le proprie paure vivendo nel tormento del dubbio (essere on non essere…). Amleto, così, anticipa il malessere dell’uomo romantico che scopre le sue profonde debolezze: il senso di limitatezza, l’attesa snervante, il giogo della coscienza (che ci rende tutti codardi). Tutto questo rivive nella pièce curata da Ninni Bruschetta, dove il principe di Danimarca domina il palco con i suoi sragionamenti. E se ne fa carico con una straordinaria interpretazione Angelo Campolo. “L’Amleto di Shakespeare”, dopo il successo al Teatro Menotti di Milano, va in scena al Teatro Stabile di Catania.

L’OLTRE AMLETO – Nella rilettura che propone il regista, l’Amleto, che in potenza è già un uomo moderno, abbandona le vesti tradizionali per rivivere in un’ambientazione post moderna. In questo sono d’aiuto i costumi – moderni – di Cinzia Preitano, le scenografie – al neon – di Mariella Bellantoni, le musiche di Toni Canto eseguite dal vivo dallo stesso autore e da Gianluca Sanzariello. La catarsi è comunque inevitabile, i timori del principe di Danimarca, le sue debolezze, i suoi complessi sono senza tempo. E’ un Amleto che, rifuggendo la temporalità, vuole farsi ancora più reale: il principe scende fra il pubblico, veste abiti moderni, improvvisa giochi linguistici. L’essere o non essere, è quello dello scoprirsi qui e ora e incredibilmente fragili e limitati.

IL METATEATRO – Shakespeare anticipa Pirandello con lo stesso grado di interiorizzazione psicanalitica, Bruschetta, fagocitati gli insegnamenti passati, supera i confini del teatro classico: abolita la finzione scenica, si va in scena senza sipario dopo che gli attori hanno danzato a tempo di musica. L’iniziale disorientamento (Orazio indossa un giacchetto di pelle) non impedisce un’immedesimazione inevitabile con il tourbillion del “marcio in Danimarca”. Con il teatro nel teatro, l’accento inevitabile sulla natura finzionale ed illusoria dell’intera rappresentazione viene rimarcato dallo straniamento ricreato dalla rivisitazione postmoderna.

SHAKESPEARE IN LOVE – Non va dimenticato che Bruschetta ha dedicato un profondo studio all’opera shakespeariana (Sul mestiere dell’attore, edizione Bompiani); due esempi gli allestimenti di Bruto, Giulio Cesare e Antonio e Cleopatra. La fedeltà al testo, ma soprattutto alla traduzione di Alessandro Serpieri non è un caso.  Il regista messinese ha collaborato con il noto traduttore: Bruschetta organizzò dal 1983 al 1989 con la Direzione Scientifica del Professor Serpieri, i convegni sull’opera di William Shakespeare per Taormina Arte. In conclusione, come ha dichiarato Bruschetta: “Amleto non è soltanto il cuore dell’opera shakespeariana e forse di tutta la letteratura teatrale, ma è anche e soprattutto, direi, una storia avvincente, un’avventura audace, un glaciale percorso di vendetta. Ma dietro questa storia, dentro questo racconto, c’è anche un viaggio: un figlio che ritorna al padre, un uomo alla ricerca della propria origine. Essere o non essere, appunto. Questa è la domanda.”

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