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La lettera emozionante di una studentessa dopo l’8 marzo 2020

A dar voce al cambiamento epocale che stiamo vivendo dentro e fuori di noi è la delicatissima voce di Blu Cini, una studentessa di 19 anni del Liceo musicale e coreutico Giuditta Pasta di Como

La lettera emozionante di una studentessa. Dopo il decreto dell’8 marzo 2020, un silenzio irreale è calato sulle nostre città, portando con sé desolazione, smarrimento, ma anche la possibilità di guardare al mondo che ci circonda con nuovi occhi. A dar voce al cambiamento epocale che stiamo vivendo dentro e fuori di noi è la delicatissima voce di Blu Cini, una studentessa di 19 anni del Liceo musicale e coreutico Giuditta Pasta di Como.

La sua lettera, pubblicata sul primo numero del giornalino scolastico, ci ha toccato profondamente, aprendo un reale e sincero spazio di riflessione. Uno spazio che si nutre dei sogni di Blu Cini e della sua musica, ma anche del suo amore per la conoscenza, che trapela nelle citazioni e nel ricorso al pensiero dei grandi maestri della filosofia e della letteratura. Ecco di seguito il testo della lettera.

4’33” Redenzione o libertà?

“Viene voglia di sdraiarsi proprio in mezzo alla strada. E guardare e aspettar che qualcuno gentile ti tocchi la spalla e dica: il mondo è finito signore se ne può andare.”

Il sogno dei versi di Benni sembra essersi realizzato dopo il decreto dell’otto marzo, che contro ogni nostra aspettativa, ha chiuso le porte al mondo, alla vita, alla quotidianità che eravamo soliti governare. Da un dinamismo e una frenesia sin troppo esasperati siamo passati, tutto ad un tratto, alla tiepida tranquillità delle nostre case. Dall’ansimare per le troppe corse ad un’apnea logorante per il troppo silenzio.

In questo ripetersi inesorabile di giornate tutte uguali riecheggiano le note di “Gretchen am spinnrade”. Un lied di Shubert che, attraverso il moto perpetuo e ossessivo del pianoforte e il lamento malinconico della voce di Margherita, racconta della pace perduta della ragazza dopo la dipartita del suo amato. In attesa di Faust, tesse l’arcolaio e intona grida di dolore che mutano sino all’esplosione di gioia al ricordo del bacio, per poi ricadere angosciosamente nel sentimento di oppressione iniziale. Il compositore riprende l’episodio di Goethe mettendo in risalto il tormento che vive Margherita, scissa tra una noia nauseante e un lancinante amarezza, con fugaci attimi di felicità. Shubert, pur raccontando una storia d’amore, disegna le suggestioni che, ora più che mai, abitano in noi.

Il pendolo di cui ci parlava Schopenhauer risuona impetuoso nelle nostre piane giornate e non possiamo più scappare, non abbiamo vie di fuga. Ed eccoci rivelata la nostra più grande paura: “Tutti i mali degli uomini derivano da una sola cosa, dal non saper stare senza far nulla in una stanza.”

Di fronte a questo tremore che ha colpito tutto il mondo ci vediamo costretti ad affrontare l’inquietudine di Pascal, che in quattrocento anni non ci ha ancora abbandonati.

Sentiamo sorgere una ad una le nostre ansie, preoccupazioni e turbamenti, i nostri errori, i nostri difetti e le nostre imperfezioni, che con grande destrezza abbiamo abilmente ignorato. Tutti i montaggi e gli allestimenti costruiti con cura spazzati via in un secondo: il vaso di Pandora è stato aperto.

Pochi giorni fa ho fatto un sogno. Ho fatto un sogno dove ci crollava il mondo addosso.
Andavamo tutti in giro portando sulle teste un pezzo di mondo distrutto, riuscivamo a fare poco e con fatica, e vedevamo niente di più che piccoli sprazzi di realtà. Eravamo tutti colpevoli di aver fatto crollare il mondo e dovevamo impegnarci per rimediare, per scontare la nostra pena. Non si poteva stare fermi. Il vulcano della città in cui eravamo stava per eruttare e dovevamo proteggerci.

Ci hanno detto che dovevamo trovare un fiume, il posto più lontano dal Vulcano in città. Il fiume non l’abbiamo mai trovato e il vulcano, che ogni giorno alla stessa ora esplodeva annegando tutta la città della sua lava incandescente, oggi non l’aveva fatto. A quel punto non ci rimaneva che portare a termine i nostri compiti, ognuno in sé stesso con il proprio pezzo di mondo sulle spalle.

Questo sogno mi ha lasciata parecchio turbata al risveglio, ma a posteriori ci colgo del poetico. Ho ritrovato in me la forza di vedere in quei piccoli sprazzi di realtà la mia meraviglia.

L’isolamento provoca un senso di deprivazione e sofferenza, ma è la nostra e forse unica occasione per affrontare la condizione naturale e necessaria della solitudine. Riscopriamo allora l’anima di Nietzsche, viaggiamo nell’oscurità di Simon & Garfunkel, riportiamo alla memoria il nostro fanciullino perduto. Se è vero che ogni cosa rivela il suo contrario, se è vero che anche il lirismo è dionisiaco e il caos è Apollineo, non ci resta che ballare con i nostri orrori. Guardarli in faccia, affrontarli, prenderli per mano e giocarci insieme. Demolirci e ricostruirci. “Schiavo di tutto ciò che mi circonda, invece di essere re, rinchiuso in un punto e attorniato dall’immensità, io comincio cercando me stesso.” E con le parole del filosofo, la nostra redenzione diverrà la terra della nostra emancipazione.

Blu Cini

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