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Ermal Meta e la sua lettera d’amore all’Italia

Fra i più apprezzati cantautori contemporanei, Ermal Meta rivolge oggi, 16 giugno, una lettera all'Italia, il paese che lo accolse esattamente 26 anni fa

Fra i più apprezzati cantautori contemporanei, Ermal Meta rivolge oggi, 16 giugno, una lettera all’Italia, il paese che lo accolse esattamente 26 anni fa. Con un lungo post su Facebook, il cantante di origini albanesi racconta il momento in cui per la seconda volta nasceva. Aveva 13 anni e scappava dall’Albania e da un padre violento per approdare in terra straniera: l’Italia. “Non fu amore a prima vista”, scrive Ermal Meta, “ma qualcosa da costruire con fatica, pazienza, lotta e infine pace. Adesso siamo totalmente in simbiosi anche se ogni tanto mi fa perdere le staffe”. 

La lettera di Ermal Meta all’Italia

Oggi compio 26 anni. Ero già vivo quando nacqui, avevo 13 anni e il 16 giugno del 1994 persi la vita che avevo per viverne un’altra. Attraversai il mare e misi i piedi su una terra straniera. Italia la chiamavano, si chiama ancora così. Non ne sapevo nulla, ma lentamente ho iniziato a guardarla e poi a vederla. Poi mi sono lasciato guardare a mia volta. Non fu amore a prima vista, ma qualcosa da costruire con fatica, pazienza, lotta e infine pace. Adesso siamo totalmente in simbiosi anche se ogni tanto mi fa perdere le staffe. Succede quando vedo alcuni che non hanno dovuto fare fatica per farsi amare da lei, trattarla come se ci fosse un posto più bello o migliore in cui vivere, quando l’arroganza viene chiamata forza, quando ci dimentichiamo che non saremo qui per sempre mentre lei si. Ci vedrà passare e lasciare tracce più o meno profonde. Lei non si arrabbia, sorride e a guardare bene, ogni tanto, in quel sorriso c’è dell’amarezza. Quando sbaglio le dico “dai sono giovane, ho solo 26 anni”, sperando di cavarmela, ma lei lo sa che ho barato, glielo ha detto la mia terra d’origine che si trova di fronte. Quella terra era una madre troppo povera e troppo disperata per occuparsi di tutti i suoi figli, così alcuni di loro li mandò da sua sorella, di fronte. Sotto il mare le loro mani sono avvinghiate dalla notte dei tempi come quelle di giganti sdraiati e noi piccoli uomini crediamo di appartenere a mondi diversi solo perché non vediamo con gli occhi questo legame. Non ci accorgiamo che parliamo la stessa lingua quando amiamo, quando gioiamo, anche quando ci incazziamo, quando ridiamo, quando ci abbracciamo, e che parliamo lingue diverse solo quando parliamo. Sorrido quando penso a quel giorno, ricordo che tremavo costantemente, come se facesse freddo. Avevo la sensazione di andare lontanissimo. Se potessi incontrare quel bambino per pochi secondi gli direi: “ehi, non ti preoccupare, stai solo andando a casa di tua zia che ti tratterà come un figlio.

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