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“Soltanto vive”, storie di donne che hanno subito violenze

Il poeta Stefano Raimondi nel suo "Soltanto vive. 59 monologhi" ha raccolto le storie di tante donne che hanno subito vari tipi di violenza.

Durante la giornata internazionale contro la violenza sulle donne, nell’ambito della presentazione del libro “Singolare femminile. Perché le donne devono tacere” di Nicoletta Polla-Mattiot, è intervenuto ad animare il dibatto il poeta Stefano Raimondi, autore di “Soltanto vive. 59 monologhi. Particolarmente intensa, poi, l’interpretazione dell’attrice Marta Comerio che ha letto alcuni brani tratti dai monologhi di “Soltanto vive” dove crudezza delle storie e poesia si fondono in un tutt’uno.

La prima e più antica forma di violenza psicologica sulle donne: il silenzio

La prima e più antica forma di violenza psicologica sulle donne: il silenzio

Il silenzio come prima forma di violenza psicologica sulle donne che ha già le sue radici nel mito, nelle religioni e nei proverbi di tutto il mondo

Chi è Stefano Raimondi

Raimondi è un poeta e critico letterario che si è occupato di linguistica e didattica poetica. Da sempre è molto attento al tema della violenza sulle donne. Riportando una frase di Antonio Porta, Raimondi sostiene che un poeta deve avere le antenne dell’attenzione e, proprio rispetto ad un tema così importante, le antenne devono essere particolarmente sensibili.

“Soltanto vive. 59 monologhi”

È una raccolta di poesie in cui Raimondi si fa raccoglitore di storie e dà voce al silenzio delle donne che hanno subito violenza e atteggiamenti sessisti e dispotici da parte dei loro compagni o dei loro stessi padri. Il silenzio va ascoltato, le richieste d’aiuto di queste donne vanno ascoltate.
Nel testo l’autore ha svolto, innanzitutto, un profondo lavoro su di sé per poter comprendere così profondamente il dolore vissuto dalle donne da parte di un uomo. E’ un testo pensato e scritto innanzitutto per gli uomini. 

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Chi sono le “soltanto vive”?

Sono le tante donne segregate tra le mura di casa, che non hanno la forza di opporsi alla violenza, cresciute in una cultura nella quale è normale subire, sopportare, tacere, dove la prima forma di angheria e di prevaricazione da parte dell’uomo è l’imposizione del silenzio. Silenzio a cui talvolta si sono consegnate da sole, a cui non riescono ad opporsi e, quando poi magari riescono a dire “basta”, il silenzio e la solitudine si materializzano nella violenza. Sono donne spesso lasciate sole, abbandonate a se stesse anche da quelle persone che sono loro intorno e che le volevano bene. Donne che sopportando ritengono di proteggere se stesse e i figli dalla vergogna. Donne che spesso per retaggio culturale sono consegnate al silenzio e alla violenza da altre donne. Donne che subiscono una manipolazione mentale e che vengono portate a pensare che il silenzio sia la loro condizione.

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Manipolazione come violenza sulle donne

Già, perché la violenza si perpetra anche laddove non c’è sangue, ma “semplice” manipolazione psicologica, dove c’è assenza di libertà che induce la donna a credere di essere colpevole e di dover perdonare l’altro che assume certi comportamenti per “troppo amore”.
E’ difficile rompere il silenzio se chi ti fa del male è tuo padre o il tuo partner e lo fa per “troppo amore”, perché ti protegge.
E la manipolazione poi raggiunge l’acme quando conduce la donna a togliersi la vita con le proprie mani per porre fine a quel dolore, a quell’inspiegabile dicotomia tra carnefice e essere amato.

L’amore non è fatto da veglie ma da vigilie.

Una poesia tra le 59

Lo so che sono una tra le tante: le

murate, le sconfitte dal silenzio, le

tolte male dai giorni, le

lasciate sole.

Lo so che sono come loro: le

accusate, le impaurite quelle

con le porte chiuse, quelle

lasciate lì a tremare.

Lo so che sono come sono le

invisibili, le mute, le

soltanto vive.

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