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Le donne e l’Olocausto: le storie di Etty Hilleseum e Anna Frank

Parlare di Olocausto non è mai semplice. Ma è necessario affrontare un tema spesso poco approfondito legato alla Shoah: quello riguardante le donne. Lo facciamo raccontandovi le storie di Etty Hilleseum e Anna Frank

Parlare di Olocausto non è mai semplice ma è necessario. Perché il giorno della memoria non è mai solamente il 27 Gennaio, bensì dovrebbe esserlo ogni giorno. Ogni giorno per ricordarci cos’è successo e cose non dovrebbe succedere più. Per acquisire quella consapevolezza, in assoluto la parola chiave di quest’epoca, che dovrebbe guidarci verso la costruzione di un mondo migliore.

Di questo e della storia di due donne che, con i loro diari, ci hanno ricordato l’importanza della resistenza, ne abbiamo parlato anche nella nuova puntata di “Culture Days” insieme a Stella Grillo.

La violenza sulle donne come arma di repressione

Nonostante il crescente interesse per le esperienze delle donne durante l’Olocausto, la questione della violenza sessuale rimane uno degli argomenti meno studiati. L’Ucraina del periodo bellico potrebbe essere un punto di riferimento e una lente attraverso la quale studiare le questioni della vittimizzazione sessuale e dell’agenzia sessuale delle donne ebree durante la Shoah.

Le violenze sessuali avvenivano in luoghi diversi, tra cui case, strade e prigioni ebraiche, luoghi di uccisione e nascondigli. Nelle centinaia di ghetti e campi (ad esempio, campi di concentramento e campi di lavoro forzato) dell’Ucraina occupata durante la Seconda Guerra Mondiale, le donne ebree erano particolarmente vulnerabili a vari modelli di umiliazione e abuso sessuale.

In questo contesto, gli stupratori attribuivano la colpa dello stupro alle donne stesse, ritenendo che lo “meritassero” per la loro scelta politica. Di conseguenza, le donne venivano stuprate non solo perché erano donne, ma soprattutto perché erano ebree.

Misoginia e guerra

La misoginia è uno dei fattori che incitano alla violenza di genere sia in tempo di pace che in guerra. La misoginia era una parte immanente dell’ideologia nazista, ben messa in pratica nel Terzo Reich. Le circostanze della guerra, ovvero la paura e la frustrazione degli uomini, provocarono l’aggressione verso gruppi vulnerabili, tra cui le donne.

I motivi personali sono legati all’educazione, alla mentalità e all’esperienza dei criminali. Alcuni uomini credevano nel loro “diritto” di costringere le donne a soddisfare i loro bisogni sessuali. Ma la pulsione sessuale non può essere considerata un motivo dominante dello stupro perché la violenza sessuale riguarda il potere, non il sesso. Lo stupro non riguarda il sesso nella sua manifestazione violenta. Lo stupro è violenza nella sua manifestazione sessuale.

In molti casi, lo stupro andava di pari passo con il saccheggio delle proprietà ebraiche. In questi casi, lo stupro era un metodo di terrore e tortura per intimidire le donne e scoprire l’ubicazione degli oggetti di valore, oppure uno strumento di punizione se i colpevoli non riuscivano a ottenere ciò per cui erano venuti.

Lo stupro di gruppo non era un fenomeno raro durante l’Olocausto. Gruppi di autori irrompevano nelle baracche e violentavano giovani donne davanti a tutti i presenti. Chi resisteva poteva essere picchiato o ucciso. Alcune ragazze e giovani donne venivano scelte appositamente per gli abusi sessuali. Venivano selezionate tra i residenti permanenti dei ghetti e dei campi.

Una questione di genere

Le esperienze delle donne durante la Seconda Guerra Mondiale dimostrano che alcune sofferenze sono effettivamente di genere, nessuna più della violenza sessuale. I campi nazisti e i ghetti in Ucraina erano solo alcuni dei luoghi della topografia del terrore sessuale contro le donne e le ragazze ebree. Ma è proprio lì, negli spazi di reclusione forzata e di mancanza di libertà, che la violenza sessuale era particolarmente concentrata, diffusa e brutale.

Le fonti disponibili ci portano alla conclusione che la violenza sessuale contro le donne e le ragazze ebree non fu solo un sottoprodotto della guerra; fu la guerra stessa, organizzata e controllata da coloro che negarono agli ebrei il loro stesso diritto all’esistenza. La violenza sessuale è stata sia una conseguenza della disumanizzazione degli ebrei sia un mezzo per la loro disumanizzazione, progettato per facilitare il processo di uccisione e per assolvere gli assassini nazisti e i loro collaboratori dalla colpa e dal rimorso.

Due donne da ricordare vittime dell’Olocausto

Le donne che hanno vissuto tali atrocità, spesso, sono riuscite anche a lasciarci preziosi documenti per alimentare e sviluppare la nostra memoria storica. Per non dimenticare. Perché nonostante la loro posizione di vittime, hanno saputo intraprendere un percorso di tale resistenza da riuscire a raccontare le loro esperienze, le loro storie, i loro pensieri, le loro famiglie. Stiamo parlando di Etty Hilleseum e Anna Frank.

Etty Hilleseum e la scoperta di sé

Etty Hillesum nacque il 15 gennaio 1914 a Middelburg, in Olanda, da una famiglia della borghesia intellettuale ebraica. Una grande donna, come lo è stata Anna Frank, non sempre al centro dell’interesse mediatico, ma che merita di essere ricordata. Il suo diario, formato da undici quaderni fitti fitti, di cui uno è andato smarrito, rappresenta una testimonianza della durarepressione nazista nei riguardi del popolo ebraico. Una testimonianza da rileggere sempre, soprattutto in occasione della Giornata della Memoria del 27 gennaio.

Etty Hillesum aveva 27 anni quando iniziò a scrivere ad Amsterdam il suo Diario e 29 quando fu uccisa ad Auschwitz nel novembre 1943, dove persero la vita anche i genitori e un fratello.

Prima della sua partenza per il campo di transito nazista di Westerbork, nel nord est dell’Olanda, Etty consegnò i diari all’amica Maria Tuinzing. Le chiese di portarli allo scrittore Klaas Smelik, nel caso in cui lei non avesse fatto ritorno, con la preghiera di curarne la pubblicazione. Oggi, è possibile leggere l’edizione integrale del Diario di Etty Hillesum nel libro pubblicato di Adephi.

Colpisce leggere il diario della scrittrice olandese e guardare a come oggi molte persone reagiscono al periodo che stiamo vivendo. L’umanità di Etty Hillesum dovrebbe fare da insegnamento. Non c’è mai odio nelle sue parole. C’è rispetto per sé stessa e per l’umanità. C’è amore per la sua gente e spera che anche un solo tedesco possa opporsi alla barbarie.

Anna Frank e il coraggio che sentiamo ancora nostro

Il 12 giugno 1929, a Francoforte sul Meno, nasceva una bambina di nome Anna Frank che sarebbe diventata il simbolo della Shoah per il suo diario personale, scritto durante l’interminabile periodo di clandestinità in una soffitta di Amsterdam, insieme alla sua famiglia. Il 10 maggio 1940, l’esercito tedesco invase l’Olanda, dove la famiglia Frank si era trasferita nel 1933. Anna Frank e la sua famiglia furono costretti a sottostare alle leggi razziali. Il 12 giugno 1942, Anna ricevette per il suo tredicesimo compleanno un quadernino a quadretti bianco e rosso, sul quale avrebbe scritto il Diario.

Anna Frank e la sorella Margot passarono un mese ad Auschwitz-Birkenau. Vennero poi spedite a Bergen-Belsen, dove morirono di tifo esantematico nel marzo 1945, solo tre settimane prima della liberazione del campo.

Il riconoscimento della memoria e la condanna, apparentemente unanimi, risultano ad un esame più attento fragili, insidiati non tanto dal revisionismo o dal negazionismo, ma piuttosto dal male sottile dell’indifferenza e dal risorgere di nuovi venti, inconsapevoli del passato, dell’intolleranza, dell’odio e della discriminazione. 

Per questo, il messaggio contenuto in questa frase di Anna Frank e in generale nel suo celebre libro “Il diario di Anna Frank” è indispensabile da trasmettere alle nuove generazioni, affinché nessuno dimentichi e possa ripetere gli errori del passato.

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