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Viaggio verso il tutto o verso il niente – racconto di Angelo Yari Russo

27 giugno 2016
Mi svegliai come al solito in tarda mattinata, ma questa volta tutto era diverso.
Gli assi di legno marcio e scolorito non proteggevano più la mia testa, non vedevo il pupazzo che mi aveva regalato nonna, né sentivo le urla di mia madre che litigava con papà.
Di urla, a dire il vero, ne sentivo altre, ma non erano le sue, non le conoscevo quelle voci. “Dove sono? Non è casa mia, cosa ci faccio qui? Dove mi avete portato?”
Il panico mi assale e fra mille dubbi la prima cosa che faccio è cercare la mia famiglia.
Corro in mezzo alla folla, vedo molto poco, sono tutti alti qui. Mamma dove sei? Ho bisogno di te. Eccola lì, seduta al fianco di papà e Rachid, che cerca di riposare in mezzo al frastuono di questi sconosciuti. Ancora non capisco dove siamo. “Mamma, mamma” urlo tentando di svegliarla “dove siamo? Perchè siamo qui, chi sono questi signori?”
Mia madre mi guarda negli occhi, intensamente… abbassa lo sguardo e scoppia in lacrime.
Provo a chiedere ancora, poi mi arrendo e inizio a piangere anche io.
Non ci capisco nulla, i grandi non li avevo mai visti piangere.

Dopo qualche minuto di pianto, mia mamma finalmente si riesce ad addormentare, ma io non ho per niente sonno.
Da lontano vedo una finestra piccola piccola, con un vetro quasi del tutto rotto e del metallo intorno, arruginito quanto la bici che avevo a casa mia! Voglio andare a vedere, voglio scoprire dove siamo. Mi affaccio, e davanti a me vedo ciò che non avrei mai immaginato: il mare, nessuna isola intorno, nessun porto, nessuna traccia di terra. Sono su una barca. Una barca malmessa, direi, con tutta la mia famiglia che dorme, almeno altre mille persone insieme a noi e tutto attorno il vuoto. Okay, so dove siamo (più o meno) ma dove andiamo? Quanto tempo staremo qui? Ancora una volta mille domande trapanano la mia testa.
Ma sono troppe, e senza riposta… ho deciso, non me ne farò più: prometto che da oggi in poi non mi scervellerò più con tutte queste inutili domande! Fatto ciò, prendo coraggio e mi convinco a fare un giro per la barca.
Girovagando incontro ogni tipo di persona: uomini che sembravano pescatori, anziani che cantavano strane canzoni, donne che badavano ai loro piccoli proprio come la mia mamma… da un lato invece tanti uomini che dormivano, tutti insieme uno addosso ad un altro.
Forse avevano freddo, chissà.
Inizio a sentire una puzza disgustosa, quindi torno indietro dalla mia famiglia.
“Ah, finalmente vi siete svegliati dormiglioni!” Loro stentano un sorriso, poi iniziano a borbottare qualcosa fra di loro che non riesco a sentire… papà se ne va verso prua con Rachid e mamma rimane con me, allora ne approfitto:
“Mamma, si può sapere dove stiamo andando e cosa ci facciamo su questa barca?”
“Amore bello, fra poco è il compleanno di papà, ricordi?” mi dice un po’ titubante.
“Sì, certo che mi ricordo, e quindi?”
“E quindi abbiamo deciso di festeggiare così, non sei contento? Un bel viaggio sul mare, e poi ci fermeremo anche in un posto bellissimo… si chiama Italia”
“Italia? Mh, sembra un bel nome… ma quanto tempo ci rimarremo?”
“Questo ancora non lo sappiamo, Mohed, ma tu non ti devi preoccupare, sarà una bellissima vacanza e ti piacerà un sacco, vedrai!”
Mamma non sembrava poi così convinta, ma mi ero promesso (ahimè) di non farmi più domande. Per il resto della giornata giocammo, parlammo di ogni cosa e conoscemmo tante persone che come noi andavano in “Italia”.
In fondo, non si stava poi così male lì.
30 giugno 2016
Aprii gli occhi svegliato dalle urla del comandante che parlava una strana lingua, stavano iniziando a litigare sempre più persone e…
“Mohed, mohed!” mi chiama il mio amico Brian, l’ho conosciuto qui, un tipo davvero simpatico. “Mohed, vieni a vedere!” mi portò sulla punta della barca “guarda lì, stiamo per arrivare” si vedeva la terra in effetti, ero contentissimo, non vedevo l’ora di esplorare nuove città, terre e sentieri e vivere nuove avventure… non ce la facevo più a stare su quella barca!
La puzza aumentava ora dopo ora, e mi iniziava a dare fastidio. Non saprei descriverla, un misto fra la puzza di pesce e quella di vomito, qualcosa di abominevole insomma!
E poi avevo fame, tanta fame, lì non si mangiava granchè bene… e solo due volte al giorno.
La giornata passò come al solito, fra le chiacchiere con Mamma e Papà (quando li trovavo!), i giochi con Rachid e Brian e la voglia sempre più forte di scoprire com’era l’Italia… chissà se loro hanno il deserto, pensai.

31 giugno 2016
Lampi, tuoni e una forte pioggia.
Gli assi di legno non proteggono la mia testa, il mio corpo è coperto solo da un vecchio lenzuolo. Ma fa freddo, tanto freddo.
La cosa che mi fa più paura è questo vento fortissimo, la barca ondeggia forte… per la prima volta non mi sento sicuro neanche fra le braccia di mia madre.
Una cosa buona, a dire il vero c’è: la puzza se n’è andata, perfino nel posto dove dormivano tutti quegli uomini (che ora non vedo più, si saranno svegliati tutti con ‘sto maltempo) non si sentiva quello schifoso odore di pesce morto.
Corro a dirlo a Brian, ne sarà felice anche lui! “Brian! Brian!” dormiva disteso nella parte inferiore della barca, coperto da un lungo velo… “Brian! Svegliati amico, devo dirti una cosa sensazionale”, non si svegliava.
Mi giro, vedo la mamma piangere a dirotto.
Cosa sta succedendo?! “BRIAN, BRIAN!”
Urlai più forte, ma lui non mi sentiva.
Era troppo lontano per sentirmi.

1 luglio 2016
Brian, mi manchi da morire.
Volevi esplorare nuovi posti, ed ora lo stai facendo un po’ più su di noi… spero tanto che almeno lì faccia un po’ meno freddo, e che tu stia tanto bene, a giocare a nascondino dietro le nuvole e ad “1,2,3 stella” con delle stelle vere.
Ti voglio bene, a presto.

Dopo poche ore arriviamo.
L’Italia è un posto affollato, con tanti uomini in divisa che ci aspettano per accompagnarci, ma accompagnarci dove? Cosa dobbiamo fare? Questa non è una vacanza.
Guardo mamma quasi in lacrime.
“Questa non è una vacanza, Mohed”, sussurra. Un mare in tempesta inondò stavolta il mio cuore.
Strinsi forte lei, papà e Rachid.
Andammo.
Non so dove, ma avevo promesso di non farmi domande.

Andammo.

27 giugno 2016

Il cellulare suona con la solita canzone che mi sveglia tutte le mattine.
Sono le 9.30, è il 27 giugno 2016.
Mi guardo intorno.
Scoppio a piangere, ancora sotto le coperte.
Ero nel mio letto, a casa mia, sotto un tetto e con tutte le mie cose. E no, non ero Mohed.

Non lo ero affatto, ma tutti avremmo potuto esserlo.
Capii tante cose, e da casa guardai quel mare in modo diverso.

 

Angelo Yari Russo

 

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