Sei qui: Home » Racconti » Il piccolo Karibù – Racconto di Paola Bonelli

Il piccolo Karibù – Racconto di Paola Bonelli

Il piccolo Karibù, così chiamavo una piccola statuina di ottone pesante, alta 5 cm., non avevo mai capito cosa, in effetti, rappresentasse però diventava, a volte, uno dei miei compagni di gioco preferiti.

Feci la sua conoscenza, se non ricordo male, verso i sette o gli otto anni e lo trovavo sempre nel “banchino” di mio nonno ovvero nel suo scrittoio, pieno di colonnine intarsiatee cassettini con in mezzo un grande cassetto.

Mio nonno era un artista e sulla scrivania, luogo intoccabile per tutti, ci si potevano trovare gli oggetti più disparati, originali che oggi avrebbero fatto gola a molti collezionisti come , ad esempio, una serie di timbri dell’ottocento, una bussola antica, orologi da taschino, scatolette intarsiate di ebano, una pipain spuma e si diceva che ci fosse anche un vecchio bocchino appartenuto forse a Garibaldi. Poi, naturalmente, fogli con i suoi disegni, ritagli di giornali, libri…e io, il pomeriggio, quando lui non c’era, mi sedevo nella sua poltrona davanti a tutti questi oggetti portatori di fantasia e per ognuno di essi la mia mente galoppava e si inoltrava nei più fa ntastici dei racconti… Quando, un giorno, spostando dei libri vidi questa piccola raffigurante per me un piccolo pigmeo e a cui d’istinto diedi il nome di Karibù.

Era dritto, con le gambe unite e i piedini paralleli, le braccine un po’ distaccate dal resto del corpo con le manine aperte e protese verso il basso, la pancina un po’ gonfia e un piccolissimo ombelico, la testina era leggermente, anch’essa, inclinata verso il basso come quando vogliamo toccare il mento con lo sterno.

Il viso aveva gli occhietti, il naso e la bocca incisi nell’ottone e, devo dire, non sempre riuscivo a vedere un’ espressione sorridente in compenso aveva due guanciottine simili a quelle di un bimbo e, per alcuni versi, poteva anche esserlo ma la mia mente chissà come era andata a finire in Africa.
Erano poi evidenziati dei capelli e la testa finiva un po’ a punta. Dietro poi una linea verticale attraversava il corpicino delineando il resto del corpo.

Quindi con questa piccola statuina lasciavo lo studio di mio nonno e andavo nel giardino di casa. Qui mia madre aveva piantato, oltre alle violette, gerbere, dalie, gerani e altri fiori stagionali, due piante di lilla’, una bianca e una appunto lilla e io su queste piante, diventate ormai degli alberelli, facevo vivere al piccolo Karibù le più svariate avventure trascorrendo così pomeriggi felici insieme ad altri piccoli bamboccetti che facevano da attori in queste piccole storie di cui Karibù era naturalmente l’assoluto protagonista.

Probabilmente la lettura dei racconti sulla giungla aveva suscitato la mia fantasia ma, all’imbrunire , come una novella Cenerentola, il piccolo Karibù ritornava nello scrittoio di nonno e io lo salutavo accarezzando il suo corpicino liscio come un petalo di rosae, sorridendogli, gli promettevo per la prossima volta nuove avventure.

Paola Bonelli

© Riproduzione Riservata